DOSSIER VIETNAM La chiesa cattolica: martirio e profezia

Nel segno della croce

Non esiste in Asia una chiesa tanto perseguitata da secoli e così radicata nella cultura del popolo come quella vietnamita. Fecondata dal sangue dei martiri, essa resiste all’asfissiante controllo del regime comunista, per non essere asservita al potere e conservare la sua natura profetica.

Secondo la notizia tramandata dagli Annali imperiali della corte annamita, I-ne-Khu (Ignazio) fu il primo missionario che, nel 1533, predicò il vangelo nella provincia di Nam Dinh (Tonchino) e fu subito colpito da un editto di proscrizione. Nel 1580 ci riprovarono, nella Cocincina, alcuni francescani delle Filippine, ma anche la loro opera fu presto cancellata.
Ufficialmente la chiesa vietnamita nasceva il giorno di pasqua del 1615, quando due gesuiti, il napoletano Francesco Buzzoni e il portoghese Diego Carvalho, approdarono a Tourane (Cocincina) e celebrarono la messa con un gruppo di cristiani giapponesi esiliati dal loro paese natale. L’anno seguente la comunità contava 300 neofiti.
La presenza missionaria era scarsa e discontinua, poiché tutto dipendeva da una nave portoghese, che ogni anno portava da Macao merci e doni ai sovrani del Tonchino e della Cocincina, i due regni ostili in cui, già in quel tempo, era divisa la penisola indocinese.
Nel 1626 altri gesuiti arrivarono ad Hanoi e avviarono l’evangelizzazione del Tonchino. Uno di essi era il pistorniese Baldinotti. Un giorno, questi assistette a una curiosa rappresentazione teatrale all’aria aperta per la popolazione cinese di Hanoi: un personaggio vestito da portoghese, con una pancia enorme, da cui entrava e usciva un piccolo vietnamita. Si fece spiegare la scena: era una parodia del battesimo cristiano, in cui si «rinasce portoghesi».

L’APOSTOLO DEL TONCHINO
Il vero fondatore della chiesa vietnamita fu il gesuita francese Alessandro de Rhodes (1583-1660). Esperto matematico, eminente linguista, padre de Rhodes arrivò a Hué nel 1625; due anni dopo passò ad Hanoi ed ebbe subito grande successo: con un orologio e un’opera di matematica di Matteo Ricci incantò il re, che fece edificare una chiesa ad Hanoi; battezzò la sorella del monarca; convertì nel primo anno 200 vietnamiti, in maggioranza bonzi, altri 2.000 nel secondo, più di 3.000 il terzo anno.
Ma nel 1630 fu espulso. Si stabilì a Macao, dove mantenne i contatti, tramite i missionari che potevano entrare nel paese, con i catechisti che vi aveva formato. Tra il 1640 e il 1645 toò in Cocincina e fu espulso altre tre volte: la terza fu imprigionato e bandito dal paese sotto pena di morte. E non mise più piede nel paese.
Inviato a Roma come procuratore (1649), sollecitò Propaganda fide perché ordinasse preti locali e istituisse la gerarchia, nominando vicari apostolici per l’Indocina, in modo da sottrarre l’attività della chiesa dal sistema del padroado portoghese. Fece conoscere in Italia e in Francia quel campo di missione, procurando personale e altri aiuti: dopo 50 anni di evangelizzazione c’erano 300 mila cattolici in Tonchino e altri 500 mila in Cocincina.
Tale successo è dovuto alla notevole bontà naturale della gente, che il missionario ricambiò con profondo e rispettoso amore. Per prima cosa, de Rhodes affrontò lo studio della lingua, arrivando a possederla perfettamente. Vero colpo di genio fu la trascrizione dei suoni della lingua parlata con le lettere dell’alfabeto latino, al posto degli ideogrammi cinesi, scrittura inaccessibile alle folle.
La lingua parlata, nella trascrizione in caratteri latini, permetteva la comunicazione delle idee religiose e le novità scientifiche dell’Occidente in modo comprensibile anche al popolo semplice. La stessa lingua diventò uno strumento letterario con cui i vietnamiti cominciarono a esprimere la propria cultura, attraverso opere scritte di religione, storia, poesia, legislatura…, per la prima volta staccata dalla letteratura cinese.
Sullo stile di adattamento praticato dai gesuiti a Pechino, padre de Rhodes si immerse totalmente nella vita e mentalità del popolo, per trovare i mezzi più consoni a trasmettere i valori evangelici: nella sua catechesi sfruttava gli elementi culturali locali, come poesia e spettacoli religiosi; rispettava i riti dei defunti, che riteneva «molto innocenti e senza danno per la santità della religione»; si preoccupava di presentare il messaggio cristiano in modo che non desse l’impressione di essere una dottrina straniera o una «legge dei portoghesi».
Geniale fu pure l’idea di evangelizzare i vietnamiti mediante i vietnamiti. A tale scopo fondò la Congregazione dei catechisti: li istruiva nella conoscenza e nella pratica della fede; li addestrava nella medicina; dava personalmente l’esempio, insegnando il catechismo e soccorrendo poveri e malati. Dopo un periodo di formazione, emettevano i voti di povertà, di celibato e obbedienza.
I catechisti vivevano nella stessa casa con i missionari e il personale della missione, formando una sola famiglia cristiana e apostolica. Oltre ad istruire la gente, esercitavano tutte le funzioni che non richiedevano il sacerdozio. Nasceva così una chiesa quasi autosufficiente dal punto di vista dell’evangelizzazione, che continuò anche in assenza dei missionari. Di fatto, dopo l’espulsione dei missionari dalla Cocincina (1645) e dal Tonchino (1663), furono i catechisti a mantenere viva la chiesa in Vietnam, nonostante le ricorrenti maree di persecuzioni e martirio.
centomila martiri
Alcuni incidenti banali offrono la chiave di lettura delle successive ostilità contro i cristiani: abbattutasi una forte siccità in una zona, la popolazione cacciò i missionari, con questa accusa: «Con il pretesto di insegnare la via del cielo, rovinano la nostra terra». Nella concezione vietnamita, infatti, cielo e terra erano elementi che esprimevano una visione della vita sulla quale era costruito l’intero tessuto sociale, che la predicazione cristiana sembrava mettere in pericolo.
Lo stesso de Rhodes e il compagno padre Márquez, per aver battezzato alcuni moribondi, furono accusati dagli stregoni di possedere «un’acqua di morte che avrebbe spopolato il regno». Nel 1629 il re del Tonchino emanò tre editti per proibire ai vietnamiti di farsi battezzare e di avvicinare i missionari, rimandati a Macao con la prima nave portoghese. L’accusa ai cristiani di minare le fondamenta dello stato dura ancora oggi.
Nella Cocincina gli olandesi sparsero una calunnia infame: i missionari di Macao erano l’avanguardia della conquista portoghese. Nel 1640 i missionari furono tutti espulsi. De Rhodes e compagni ritornarono a più riprese, finché il re proibì ai suoi sudditi di «abbracciare la legge predicata» dagli europei e di frequentare i missionari.
E cominciò la persecuzione. Nel 1645 il catechista Andrea, fu pescato in casa dei missionari e condannato alla decapitazione. La stessa sorte toccò a Ignazio e Vincenzo, altri due importanti catechisti. Un altro centinaio di cristiani persero la vita nelle ondate persecutorie che seguirono fino alla fine del secolo.
Le difficoltà della presenza di missionari stranieri rendeva più che mai urgente la creazione del clero locale. Nel 1668 arrivarono due vicari apostolici, che ordinarono preti due catechisti, uno in Tonchino e l’altro in Cocincina. Nello stesso periodo fu fondato l’istituto femminile delle «Amanti della croce».
Le ordinazioni si moltiplicarono per tutto il secolo seguente; si registrò una forte espansione cristiana, specie al nord. Ma proseguirono pure le persecuzioni, con fasi altee, prima in Cocincina, poi in Tonchino, facendo circa 30 mila martiri tra i cristiani vietnamiti e missionari stranieri.
I cristiani godettero di un periodo di relativa tolleranza a partire dal 1802, quando le due regioni furono riunite sotto un unico imperatore Gia Long. Questi salì al potere con l’aiuto di un contingente di soldati francesi, inviato su sollecitazione del vicario apostolico, mons. Pietro Pigneau de Behaine.
Alla morte di Gia Long (1820), il successore Minh Mang pose le basi per una nuova ondata di persecuzione. Dichiaratosi «figlio del cielo», padre e madre del suo popolo, pontefice, legislatore e giudice assoluto, impose al Vietnam una politica di isolamento e, nel 1833, ordinò a tutti i cristiani di «abbandonare» la religione straniera. E poiché questi non rinnegavano la fede, la persecuzione si abbatté su di loro con particolare virulenza in un clima di terrore.
Il terrore cessò nel 1840 e gli incidenti furono saltuari sotto il nuovo imperatore Thieu Tri. Gli successe Tu Duc (1847) che proclamò un’amnistia generale. Ma l’anno dopo scatenò una nuova persecuzione che, col trascorrere degli anni, sfociò in autentici massacri (1851-1862).
Nonostante le persecuzioni e uccisioni, distruzione di chiese ed esilio di cristiani, la missione perdurò, anzi fece progressi. In quasi 50 anni ci furono oltre 70 mila martiri, che, sommati a quelli del secolo precedente, fanno più di 100 mila. Di questa schiera di eroi, 117 furono beatificati in date differenti e tutti canonizzati nel 1988: 8 vescovi e 21 missionari stranieri, 37 preti indigeni, 20 catechisti e seminaristi, 1 suora e 20 altri cristiani.

DAL COLONIALISMO AL COMUNISMO
Con l’occupazione francese dell’Indocina (1886) cessarono le persecuzioni sanguinose. Ciò permise alla chiesa vietnamita di espandersi, fino a diventare la più importante tra le chiese in Asia (quasi il 10% della popolazione), dopo quella delle Filippine.
Ma non finirono le difficoltà per la comunità cattolica: da una parte la politica anticlericale della Francia del tempo ne condizionava il lavoro; dall’altra i nazionalisti vietnamiti continuavano a presentare il cristianesimo come una religione straniera, con l’aggravante, ora, del sospetto di favorire la colonizzazione.
Tali sospetti furono enfatizzati dal partito di Ho Chi Minh, tanto che, nel 1931, un prete vietnamita e alcuni cristiani furono massacrati dai comunisti in un villaggio dell’Annam.
Il peggio per i cristiani è cominciato con la fine del colonialismo (1955), quando il paese fu diviso in due: nel nord, nella «Repubblica democratica» di Ho Chi Minh, cominciarono subito le purghe contro coloro che non si mostravano entusiasti del nuovo regime, facendo 1 milione e mezzo di morti. I cristiani furono i primi bersagli.
Oltre 860 mila nord vietnamiti fuggirono nel sud: di essi più di 676 mila (75%) erano cattolici. L’esodo di altri milioni continuò negli anni seguenti e durante la guerra del 1963-75, periodo in cui i vietnamiti cattolici si sono dimostrati fortemente anti-comunisti e, quindi, favorevoli ai governi sostenuti dagli Stati Uniti.
La successiva unificazione del paese, nel 1975, sotto il regime comunista del nord, segnò un’ulteriore pagina di sofferenza e di emarginazione per i cattolici vietnamiti: chiusura di tutti i seminari e noviziati; confisca delle scuole; incarcerazione del vescovo coadiutore di Saigon, ingerenze del governo negli affari della chiesa, espulsione del delegato apostolico, impedimenti ai vescovi di comunicare con la Santa Sede.
Nel 1989 il card. Roger Etchegaray, inviato speciale del papa, poté visitare 10 delle 25 diocesi del Vietnam. Tale visita è servita in certo senso per sbloccare la situazione, avviando un dialogo col regime comunista. In seguito, una decina di delegazioni del Vaticano si sono recate ad Hanoi per trattare con il governo; nell’ultima, in giugno 2001, sembra che le autorità vietnamite si siano mostrate più aperte e cordiali rispetto alle visite precedenti.
Ora in Vaticano si parla di «segnali di buona volontà» provenienti da Hanoi. L’ultimo è del gennaio 2005: negli incontri tra il presidente vietnamita Tran Duc Luong e quello della camera italiana, Ferdinando Casini, in visita al Vietnam, Tran ha affermato che «non vi sono contrasti tra Hanoi e Vaticano» e che per i «rapporti diplomatici» tra i due è solo «questione di tempo».
I mezzi di comunicazione di stato hanno dato risalto a tale evento, usando espressamente i «rapporti diplomatici»: per alcuni sarebbe quasi un impegno da parte del governo vietnamita. Ma altri sospettano che si tratti della solita carota, per imbonire l’opinione internazionale e nascondere il solito bastone.
chiese piene
Negli anni successivi all’unificazione, la politica del governo marxista-stalinista mirava a distruggere la chiesa cattolica. Poi, sull’esempio della Cina, ha cercato di fondare una specie di chiesa patriottica, chiamata «Associazione dei cattolici patriottici»; ma senza successo: i pochi aderenti sono solo a Ho Chi Minh.
Non potendo sopprimerla, e grazie ai mutamenti politici seguiti alla caduta del muro di Berlino, lo stato non considera più la chiesa «oppio» del popolo, ma continua a essere sospettoso e cerca di asservirla alla sua causa, usando il bastone e la carota.
Alcune chiese e proprietà confiscate nel passato, ormai ridotte in uno stato fatiscente, sono restituite con solenni cerimonie ufficiali. In tali occasioni partecipano sempre eminenti personalità del regime, che elogiano e incoraggiano l’opera della chiesa, soprattutto perché si prende cura di handicappati, ospedali, lebbrosari, orfanotrofi, asili infantili e altre opere sociali.
Ma intanto lo stato continua a mantenere il pieno controllo su tutte le attività caritative, sociali, educative e culturali della chiesa, specialmente quelle rivolte ai giovani.
Ancora più asfissiante è il fiato del regime sul collo del personale ecclesiastico: lo stato controlla le nomine episcopali e le ordinazioni sacerdotali; gli spostamenti di vescovi, preti, religiosi, suore anche per fini pastorali; le ammissioni e la formazione dei seminaristi, alcuni dei quali devono aspettare anche 10 anni prima di poter essere ammessi.
Nonostante le restrizioni, continua la fioritura di vocazioni sacerdotali e religiose, specialmente nella vita consacrata femminile. In ogni diocesi sono almeno 100 giovani disponibili a entrare in seminario, ma i seminari concessi dal governo sono appena 6 e ciascuna diocesi non può mandarvi più di 10 seminaristi ogni due anni.
Ma il problema più grande, riguarda la formazione e l’aggioamento del clero. Il governo impone ai seminaristi lo studio della filosofia marxista-leninista, materia normalmente riservata ai membri del partito comunista.
Nonostante il clima di ostilità in cui vive, la chiesa vietnamita è viva, attiva, entusiasta della propria fede: la pratica religiosa è altissima (80-90%); i laici continuano con coraggio il loro impegno nella chiesa e nella vita sociale. Continuano le conversioni, perfino tra le fila degli impiegati statali, col rischio di perdere il lavoro o almeno di essere considerati impiegati di serie «B».

PROFEZIA A RISCHIO?
Un giorno il regime comunista sparirà anche dal Vietnam, come è avvenuto in altri paesi. Ma come sarà la chiesa vietnamita, quando riavrà la sua piena libertà? L’interrogativo che si pone anche padre Chan Tin, redentorista vietnamita di 84 anni.
Egli denuncia l’«arsenale giuridico» con cui il governo soffoca la libertà religiosa, ma lamenta anche la «rassegnazione» della chiesa vietnamita nell’accettare l’ingerenza del potere nei suoi affari, illusa dagli scampoli di apparente libertà.
«Il fatto che lo stato esige la sua previa approvazione nella formazione, nomina e collocamento interno alla chiesa – spiega padre Chan -, fa sì che quanti lavorano nella chiesa e per la chiesa siano, alla lunga, alla mercé del potere, pronti a conformarsi alle sue esigenze. Senza contare che, dai ruoli guida nella chiesa, rimangono escluse le persone più competenti e capaci di autentica testimonianza cristiana. Alla fine la chiesa diverrà a poco a poco un docile strumento nelle mani del potere. Una volta giunto a questo stadio, il potere potrà lasciarle libertà totale, perché essa non avrà altra capacità che quella di eseguire gli ordini del partito e dello stato».
Tale politica sottile e peiciosa, lamenta padre Chan, sta minando alla radice il carattere profetico della missione della chiesa, la quale si accontenta di vedere le chiese strapiene la domenica, ma che di fronte a certi casi di abuso di potere, rimane in silenzio o al più accenna a qualche timida protesta.
«La politica religiosa di questo regime sta snaturando la chiesa cattolica e le altre chiese del paese – confessa padre Chan -. Temo che quando esso sarà passato, la mia chiesa non sarà più una chiesa autentica; che essa non possa più andare a testa alta, fiera dei suoi sacrifici e del suo coraggio, come lo ha fatto nel passato, gloriandosi delle centinaia di migliaia di martiri».
Più ottimista è il messaggio che Giovanni Paolo ii ha affidato ai vescovi del Vietnam, durante la visita ad limina, alla fine di gennaio 2004. Per la prima volta il governo vietnamita ha «concesso» a tutti di recarsi a Roma. «Quando farete ritorno al vostro nobile paese – ha detto il papa -, fate sapere ai vostri sacerdoti, religiosi, religiose, catechisti, fedeli laici e specialmente ai giovani, che il papa prega per loro e li incoraggia ad affrontare le sfide che pone il vangelo, prendendo esempio dai santi e dai martiri che li hanno preceduti lungo il cammino della fede e il cui sangue versato rimane un seme di vita nuova per l’intero paese…
La vitalità e il coraggio dei laici vietnamiti che anche oggi vivono e celebrano la loro fede in condizioni spesso difficili, la decisione altrettanto coraggiosa dei sacerdoti nell’annuncio del vangelo, come pure la fioritura delle vocazioni alla vita consacrata, specialmente nella vita religiosa femminile, sono fattori molto importanti per il futuro della chiesa in questo paese dalla storia così spesso travagliata».

Benedetto Bellesi

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