LETTERE – “Antisemitismo strisciante?”.

Spettabile redazione,
su Missioni Consolata di dicembre 2004 trovo pubblicata una mia lettera con un titolo incongruente e sbagliato «Antisemitismo strisciante?», anche se la brevissima risposta sembra condividee il contenuto.
Faccio osservare che semiti sono tutti i popoli del vicino Oriente e non solo gli ebrei: l’antisemitismo rivolto al solo Israele è un’indebita appropriazione letteraria. E mi sorge spontanea la domanda: si può criticare e condannare la politica di Israele senza essere tacciati di antisemitismo?
Max Cole
Brescia

«Si può criticare… senza essere tacciati di antisemitismo»? La risposta dovrebbe essere: sì. Ma abbiamo usato il verbo al condizionale.

Max Cole




LETTERE – Per la felicità di…

Cari missionari,
siamo tre amici. Siamo solo tredicenni e frequentiamo il terzo anno della scuola media statale «Carducci – Trezza».
Tutti e tre abbiamo obiettivi diversi per il futuro, ma tutti e tre abbiamo a cuore la tragica condizione che vige nella Repubblica Democratica del Congo. Il nostro interesse si è accresciuto quando, in chiesa, abbiamo trovato la rivista Missioni Consolata che, per l’appunto, parlava del Congo.
Sull’ultima pagina vi erano anche delle informazioni sulla scuola di lingua swahili di Torino. L’argomento ci appassiona parecchio; ma, data la nostra età e la lontananza, non possiamo frequentare la scuola. È per questo che vi chiediamo se, gentilmente, potreste inviarci dei fascicoli di lingua swahili per principianti. Saremmo molto felici se accettaste la nostra richiesta, che ci darebbe l’opportunità di realizzare un sogno e di formarci in maniera più aperta alle diversità che segnano questo nostro mondo.
Confidando pienamente nell’obiettivo che ci accomuna e precisando che, se necessario, siamo anche disposti a versare una certa quota per ricevere i fascicoli, porgiamo i nostri più distinti saluti.
«Kwa heri».
Sara, Ida e Fabrizio
Cava de’ Tirreni ( SA)

Con Sara, Ida e Fabrizio la speranza è assai di più di un obbligo… Ragazzi, vi ricordiamo che il kwa heri con il quale ci avete salutati sta per «arrivederci»; ma letteralmente significa: «per la felicità». La vostra felicità.

Sara, Ida e Fabrizio




LETTERE – Ritorna il Kossovo

Signor direttore,
complimenti a Snezana Petrovic e a voi per la lettera sul Kossovo (Missioni Consolata, gennaio 2005). È puntuale, condivisibile, chiara: un importante contributo alla verità sugli avvenimenti dell’ex Jugoslavia e sulla situazione dei serbi e delle altre minoranze in Kossovo. Essa dovrebbe diventare un punto di partenza per la soluzione dei problemi, così drammatici, di quelle popolazioni.
Occorrerà coraggio e molto impegno, per affrontare una battaglia che si presenta in questo momento decisiva, poiché gli stati occupanti stanno per determinare il futuro assetto politico del Kossovo e il destino di quelle persone.
C’è un debito di giustizia, da colmare, che abbiamo nei loro confronti.
Dr. Giuseppe Torre
Genova

Snezana Petrovic, nostra collaboratrice di nazionalità serba, spiega «perché i serbi in Kossovo non hanno votato».
La situazione in Kossovo rimane molto grave, come ci ha raccontato il nostro collaboratore Enrico Vigna, appena tornato dalla zona.
Del Kossovo abbiamo scritto anche nel nostro libro La guerra. Le guerre pubblicato dall’Emi (Bologna, 2004), con due ristampe in pochi mesi.

Giuseppe Torre




LETTERE – Cina: persecuzioni religiose

Egregio direttore,
da anni leggo la vostra bella rivista, ma ho avuto solo ora l’occasione di leggere un numero da me dimenticato. Si tratta di aprile 2003: articolo «Cina il gigante si è svegliato», di Mirco Elena.
L’articolista, dopo aver bene descritto origine, storia, tradizioni, politica e risveglio economico della Cina, si è completamente dimenticato di accennare alle varie, continue e pesanti persecuzioni religiose: cristiani, missionari, vescovi… torturati e imprigionati tuttora, per non voler essere «patrioti», dipendenti dal governo cinese e non dal papa di Roma. Tutto questo si deve sapere e l’autore, Mirco Elena, si aggiorni! Non si può tacere questa triste realtà.
Missioni Consolata dovrebbe sempre sottolineare che in Cina esiste pure «la chiesa del silenzio», legata a Roma. Qualche vostro articolo nel passato l’ha ricordato e bisogna farlo anche ora.
A parte questa grave dimenticanza di Elena, leggo con piacere i vostri interessanti articoli ed invio anche alle missioni qualche modesta offerta.
prof. Giuseppe Tomaselli
Treviso

Grazie della solidarietà con i missionari e le loro comunità. Grazie anche del suo rilievo critico, pertinente. Però non si tratta di «dimenticanza», bensì di «complessità».
Non si possono affrontare «le persecuzioni religiose» in Cina con poche battute. La superficialità diventerebbe più grave dell’omissione.

Giuseppe Tomaselli




LETTERE – “Non avanzo soldi”

Cari missionari,
ricevo Missioni Consolata da un po’ di tempo con il conto corrente.
Quest’anno però non posso fare l’abbonamento, perché, essendo pensionata e con parecchie spese, non avanzo soldi. Non mi rimane che pregare per tutti, per la pace nel mondo intero…
Lettera firmata

Pregare per la pace è un contributo enorme…
D’altro canto non ignoriamo le difficoltà economiche in cui versano tanti nostri lettori. Nel 2003 le famiglie italiane che faticavano a giungere alla fine del mese erano il 38%. Oggi superano il 51%… «La gente – ha scritto Enzo Biagi – non legge i listini di Borsa, ma fa fatica a riempire quella della spesa. L’Eurispes precisa che tra noi ci sono 14 milioni di poveri. Non si vedono per strada, ma a tavola». Ecco perché siamo ammirati di fronte alla generosità di tanti nostri lettori.

Lettera firmata




Eucarestia & Missione

In questo anno, consacrato all’eucaristia, i cristiani sono invitati ad accostarsi con rispetto e devozione al mistero della presenza di Cristo in mezzo all’umanità. Il mondo missionario s’interroga su come la sua azione di evangelizzazione e di promozione umana può far riferimento all’eucaristia, quale momento privilegiato di riflessione nel suo incedere sui sentirneri della storia umana.
In una sana prospettiva missionaria, oltre alla devozione e al culto liturgico che le sono dovuti, l’eucaristia contiene numerosi e puntuali riferimenti all’impegno di denuncia per i mali della terra e di solidarietà con tutti gli oppressi del mondo. Ecco alcuni esempi.
Durante la messa della notte di natale 1537, nella cattedrale di Hispaniola (oggi Santo Domingo), fra’ Montesino de Guzmán, pronunciò una fortissima omelia contro i conquistadores spagnoli, che sulle terre appena scoperte rubano, ammazzano, seviziano gli indios. Quell’omelia colpì profondamente un giovane novizio domenicano, Bartolomé de las Casas: scosso dalle parole del suo confratello, diventò il più strenuo difensore degli indios.
Quella denuncia, pronunciata in una solenne celebrazione eucaristica, fu un incisivo punto di partenza per l’attenzione e la cura che la chiesa latinoamericana ha sviluppato verso gli indigeni lungo i secoli, difendendoli dai soprusi dei nuovi arrivati.
Sempre in un contesto prettamente missionario, l’eucaristia si fa memoria di martirio e celebrazione di speranza. Questo aspetto è testimoniato dallo scrittore cattolico giapponese Susaku Endo nel suo romanzo Silenzio, dove viene narrata la persecuzione che, tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, annientò tutte le comunità cristiane fondate da san Francesco Saverio. Si salvò solo un «piccolo resto». Nel 1870, quando i missionari europei poterono rientrare, arrivati nel porto di Nagasaki, si sentirono chiedere dai discendenti di quei cristiani giapponesi di celebrare l’eucaristia in memoria dei loro martiri: un’eucaristia attesa per più di 200 anni!

I n occasione dell’anno eucaristico, iniziato proprio nello scorso ottobre, mese missionario per eccellenza, Giovanni Paolo ii ha ripreso ed evidenziato questi temi nella lettera apostolica Mane nobiscum Domine. In essa il papa ricorda che «l’eucaristia ci spinge a mostrare solidarietà verso gli altri, rendendoci promotori di armonia, di pace e, specialmente, di condivisione con i bisognosi.
L’«Anno dell’Eucaristia» deve condurre le comunità diocesane e parrocchiali a un particolare interessamento per le varie manifestazioni della povertà nel mondo, come fame e malattie nelle nazioni in via di sviluppo, solitudine degli anziani, disoccupazione, sofferenze degli immigrati. Questo criterio di carità sarà il «segno dell’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche».
L’eucaristia, prosegue il papa, «non è solo espressione di comunione nella vita della chiesa; essa è anche progetto di solidarietà per l’intera umanità. Nella celebrazione eucaristica la chiesa rinnova continuamente la sua coscienza di essere segno e strumento, non solo dell’intima unione con Dio, ma anche dell’unità di tutto il genere umano».
Ogni messa, anche se celebrata nella più umile delle comunità e nelle regioni più sperdute della terra, porta in sé il segno indelebile della universalità. Il cristiano che partecipa all’eucaristia, impara a farsi promotore di comunione, di pace, di giustizia e di solidarietà in tutte le circostanze della vita.

I l nuovo millennio è iniziato avendo davanti a sé lo spettro del terrorismo e la tragedia della guerra. La grande famiglia missionaria, che reca in sé come la coscienza storica di un cammino di evangelizzazione che ha plasmato intere generazioni, chiama i cristiani a vivere più che mai il mistero dell’eucaristia come scuola di pace, in cui uomini e donne, partecipando alla vita di Cristo, si fanno tessitori di dialogo e comunione, oltre che costruttori incessanti di cammini di giustizia e di pace.
Interessanti pagine di vita attendono ancora di essere scritte nel meraviglioso libro della missione, da chi con fede e umiltà celebra e partecipa al mistero dell’eucaristia.

Mario Bandera

Mario Bandera




002-Così sta scritto – Dalla Bibbia le parole della vita (2a. puntata)

DIO LI BENEDISSE E DISSE LORO:
«Siate fecondi…» (Gen 1,28)

Il verbo «benedire» e il sostantivo «benedizione», in secoli di pratica cultuale, hanno perso il loro significato originario. Vogliamo tentare di recuperare «una» dimensione biblica, senza pretendere di esaurire tutta la complessità di significato che questi termini hanno.

a) In accadico, kara¯ bu significa pregare, consacrare, benedire, salutare. In arabo, baraka esprime beneficio, flusso benefico che viene da Dio, dai santi, dalle piante, da cui benessere, salute o felicità. In ebraico, la radice brk da cui il verbo ba¯ rak, dotare di forza vitale, e il sostantivo bera¯ ka¯, forza salutare o vitale, ha anche il significato di inginocchiarsi e ginocchio.

In Oriente, il termine ginocchio è un eufemismo, cioè un modo attenuato e indiretto per indicare gli organi sessuali maschili; in questo senso vi sarebbe una parentela con l’accadico birku, ginocchio e grembo.

b) Questi cenni etimologici dicono un nesso tra benedire/inginocchiarsi e benedizione/ginocchio, stabilendo un collegamento tra benedire/benedizione e gli organi sessuali maschili. Se qualche lettore si stupisce ora, lo invitiamo a proseguire nella lettura fino in fondo, garantendo che non siamo maniaci.

In base alle loro conoscenze «scientifiche», per gli antichi è l’uomo che trasmette la vita, mentre la donna è solo una incubatrice di seme. Discendenza, infatti, in ebraico si dice «zera’» che il greco biblico traduce con sperma (Gen 12,7; Gal 3,16). Ecco il senso: benedire significa trasmettere la propria capacità generativa a un altro rendendolo fecondo. Questa benedizione è unica: una volta data non può più essere tolta.

 

Quando si benedice Dio, si usa sempre il participio passato passivo ba¯ rûk, benedetto, perché in Dio la benedizione è uno «stato» permanente della sua persona, mai un augurio: «Sia benedetto!», che indica un compiersi nel tempo. Dio «è» Benedetto. Sempre. È la benedizione stessa.

Quando Dio benedice trasmette la sua potenza vitale, la sua capacità generativa per rendere partecipi della sua pateità generante. «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi”» (Gen 1,28), dove il nesso tra «benedire» ed «essere fecondi», cioè generare, è evidente.

Quando l’uomo benedice, trasmette tutta la sua energia di vita a colui che è benedetto. Ora si capiscono meglio le parole di Dio a Caino dopo il fratricidio (Gen 4,10). Dice il testo ebraico: «La voce dei sangui (demê, sic! plurale) di tuo fratello urlano vendetta a me dal suolo». I sangui, cioè tutte le generazioni future contenute nel grembo di Abele e stroncate da Caino urlano a Dio, perché futuro e presente sono legati in vita e in morte.

In Genesi 27 si narra la storia di Giacobbe che carpisce con inganno la benedizione al fratello Esaù, il quale implora per sé la benedizione; ma il padre Isacco non può riprendersi tutta la sua capacità generativa che ha trasmesso al fratello, il quale resterà benedetto per sempre (v. 33).

Esaù supplica il padre piangendo: «Non hai conservato per me una benedizione?» (v. 36); «hai dunque una sola benedizione?» (v. 38). Isacco non può più benedire Esaù, perché ha trasmesso tutto il suo seme promessa/premessa del futuro che cova nella sua potenza generativa a Giacobbe.

La benedizione/fecondità patriarcale conduce la storia della salvezza verso il futuro e viaggia attraverso il figlio minore e non il maggiore. Giacobbe deve scappare dall’ira del fratello; il padre lo accompagna con queste parole: «Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi» (28,3), che sono l’eco di Dio creatore in Gen 1,28: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi”».

c) La benedizione, come atto che trasmette la vita e la capacità di generarla in ogni relazione umana, comprende un gesto, l’imposizione della mano o delle mani, e una parola, che accompagna e spiega il testo. Il gesto senza la parola è solo mimica; la parola senza il gesto è solo suono evanescente. È la stessa dinamica della creazione: «Dio disse… e così fu».

Parola e fatto. Dabar/Lògos. La Parola è il senso dell’avvenimento, che è incarnazione della Parola. Non a caso gli avvenimenti della storia personale, di coppia, di famiglia, di comunità, di popolo, di popoli sono «le parole» con cui Dio parla agli uomini e alle donne di tutti i tempi, mentre la scrittura ne è il codice cifrato per comprenderne senso e portata, in forza del principio che Dio parla agendo e agisce parlando: parola/fatto, cioè dabar.

In sintesi, benedire vuol dire essere in comunione di vita con colui/coloro che ricevono la benedizione; in senso spirituale significa generare colui/coloro che si benedice. Altrimenti: chi benedice è responsabile della vita di colui/coloro che benedice. 

 

Il nostro tempo è segnato da una sciagura: le parole sono separate dagli avvenimenti e, spesso, le parole si rincorrono a vuoto, approdando a nulla. Si rischia di perdere la parte migliore della vita, se non si riscopre il nesso amoroso e generante tra «parola» ed «evento» della vita: è il senso della benedizione dell’esistenza, quell’evento di vita e di amore che ci genera gli uni agli altri per renderci fecondi gli uni per gli altri.

La frattura diventa cataclisma, quando sono le guide (genitori, insegnanti, formatori, presidenti del consiglio, deputati, superiori, parroci, vescovi…) a smarrire il raccordo tra parola ed evento, generando incertezza ai loro governati: i sangui degli eventi taciuti urlano a Dio.

Lo stesso vale per la vita di fede: rito e vita stanno insieme, altrimenti i sacramenti sono solo «rituali» amorfi e senza sapore. Inutili. Vuoti. Nel marasma politico che attanaglia il mondo intero e il nostro popolo, in questo momento grave della nostra Repubblica assistiamo a un genocidio delle parole, utilizzate come corpi morti, senza anima e senza vita, perché usate come strumenti per ingannare e camuffare la realtà, piegandola ai propri piccoli e meschini interessi. Oggi in Italia domina la logica dell’utile, non la dinamica feconda della benedizione generante.

Incaati nella storia, i cristiani hanno il dovere e l’onore di rendere testimonianza alla Parola con le loro parole accompagnate da gesti di verità e coerenza, affinché la loro vita e presenza nella storia siano una «benedizione di fecondità», capace di generare quanti incontrano sul loro sentirnero di carne, per ritrovare in ciascuno e in tutti il volto velato di Dio, il quale, benedicendo, ci rende fecondi di vita e artefici di Storia: profeti dell’amore, per amore e con amore.

È la benedizione della tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, che scende feconda e ri-generante su tutti i nostri lettori e le loro famiglie. Amen!

Paolo Farinella

Paolo Farinella