PALESTINA: analisi delle elezioni presidenziali (gennaio 2005)
Il neopresidente Mahmoud Abbas detto Abu Mazen è l’opposto del defunto
Yasser Arafat. Cocciuto e mite, è stato l’artefice occulto degli accordi di Oslo,
in seguito da altri affossati. Ha iniziato il suo mandato incontrando
(8 febbraio) Ariel Sharon. Ma la bomba ad orologeria è sempre innescata…
Mahmoud Abbas, meglio conosciuto col nome di battaglia, Abu Mazen (all’uso orientale = padre di Mazen, il figlio morto improvvisamente nel 2002), ha vinto le elezioni presidenziali palestinesi del 9 gennaio. Il 62,3% dei votanti lo ha scelto come presidente successore di Yasser Arafat.
Hanno votato il 60% degli aventi diritto. Tra questi non tutti hanno potuto esprimere il voto per la confusione organizzativa tipica orientale e per l’impegno d’Israele che, nonostante le promesse di un ritiro temporaneo dell’esercito per favorire lo svolgimento ordinato delle operazioni di voto, ha volutamente rallentato le operazioni di controllo ai check-point per non facilitare il primo diritto politico ufficialmente riconosciuto al popolo di Palestina. In tutta la Cisgiordania il 40% dei palestinesi non ha potuto votare. A Gerusalemme Est solo un migliaio di elettori su 120.000 aventi diritto ha potuto votare. E ha potuto farlo negli uffici postali, perché i seggi non erano neppure stati installati.
La percentuale di voti ottenuta da Abu Mazen equivale all’80/85% del totale dei votanti, se tutti avessero esercitato il loro diritto. Prendiamo comunque atto che le prime elezioni «abbastanza-democratiche» sono avvenute senza incidenti di rilievo e nell’euforia tipica degli eventi arabi.
IN NOME DEL POPOLO PALESTINESE
Abu Mazen non ha solo vinto, ma ha ricevuto un’investitura inequivocabile, riconosciuta anche dall’ala armata di Al Fatah e del gruppo irriducibile di Hamas. Morto Yasser Arafat, il padre-padrone dell’Olp, morto lo sceicco Yassin, fondatore della Jihad di Hamas, ora nessuno altro può formalmente presentarsi in nome di quel popolo se non Abu Mazen.
Scegliendo Abu Mazen, il tessitore cocciuto e mite, i palestinesi hanno impresso una svolta nel proprio futuro, chiedendo con un voto la fine della guerra e l’inizio delle trattative con Israele. La prima dichiarazione del vincitore, infatti, è stata lapidaria e in sintonia col sentire popolare: «Mi adopererò per porre fine alla sofferenza del popolo palestinese» e, per la prima volta, Israele è definito «vicino» e non nemico. Le sfumature terminologiche in Oriente hanno a volte una portata di trasformazione epocale e qualche altra sono più travolgenti di una rivoluzione.
Il secondo pensiero, una novità nelle procedure arabe, è stato il sentito ringraziamento alle donne che in massa hanno affollato i seggi/uffici postali e garantito lo svolgimento delle votazioni. Mossa vincente perché saranno le donne a decidere del futuro della Palestina, quando si alzeranno dalla loro sudditanza e allora anche il sole si avvicinerà alla terra. Da sottile diplomatico, Abu Mazen ha dedicato la vittoria a Yasser Arafat per obbligo di opportunità politica e con questa dedica ha sepolto il padre della resistenza palestinese in una nicchia di devozione onoraria e lo ha rimosso allo stesso tempo in quanto impedimento alla liberazione del popolo palestinese. Definitivamente.
DA OSLO A CAMP DAVID
Le reazioni inteazionali sono state unanimemente positive: si parla di pace vicina, di democrazia, di moderazione del vincitore, di ripresa del dialogo con Israele… tutti felici e contenti. Anche noi vogliamo essere contenti e felici, ma da persone serie che hanno a cuore la soluzione vera e giusta dello tsunami che devasta da 60 anni il Medio Oriente. La storia non fa salti qualitativi e una rondine non ha mai fatto primavera. Per fare baldoria, aspettiamo un poco per vedere compiersi alcune condizioni, premesse essenziali, perché il plebiscito per Abu Mazen si trasformi in vittoria.
Stimiamo Abu Mazen perché lo abbiamo visto all’opera negli ultimi vent’anni, quando tutti sparavano, si ammazzavano e si odiavano. Lui, solo ma lungimirante da vero patriarca antico e amante del suo popolo, preferiva incontrare quasi di nascosto personalità israeliane come Yossi Beilin che in Israele voleva lo stesso obiettivo. Mentre i responsabili politici e governativi maciullavano i loro figli in avventure disperate senza ritorno, seminando morte e odio a piene mani, due profeti nascosti e silenziosi costruivano mattoni di amicizia velata, lavorando per spalancare le porte al rivolo della pace nel deserto dell’odio e della morte.
I colloqui privati tra Abu Mazen e Yossi Beilin nel 1995 approdarono agli accordi di Oslo, dei cui meriti si appropriarono gli avversari degli stessi accordi che, infatti, li fecero fallire subito, dall’una e dall’altra parte. Il fallimento fu sancito definitivamente nel 2000 in America a Camp David da Ehud Barak e Yasser Arafat, testimone Bill Clinton. Abu Mazen si mise in disparte per non entrare in collisione con Arafat che appena lo tollerava perché lo ha sempre temuto come antagonista.
Egli non è un uomo di appeal e non ha quel carisma che gli eventi traumatici cucirono casualmente addosso ad Arafat che si trovò nel posto giusto al momento giusto. Uomo senza l’ossessione del potere ad ogni costo, Abu Mazen è sempre stato umile e non ha mai partecipato agli estenuanti riti orientali della spartizione della torta di potere. Quando fu nominato primo ministro da Arafat, si accorse che la sua era una carica vuota per coprire una facciata di corruttela ed ebbe il coraggio di dimettersi, dicendo apertamente che voleva governare e non regnare come un re travicello.
ABU MAZEN ED UNA DANZA IN SEI PASSI
Dopo l’euforia delle elezioni, per Abu Mazen e per il suo popolo inizia un lungo cammino, irto di trabocchetti e di pericoli che non saranno facili da superare, ma se qualcuno li può superare questi, oggi è solo Mahmoud Abbas detto Abu Mazen che deve guardarsi da un esercito di cecchini nascosti in ogni anfratto perché fallisca nel suo progetto di pacificazione.
Punto uno: la corruzione
Il primo nodo da sciogliere che è anche la prima battaglia, o meglio la prima guerra da vincere ad ogni costo, è la corruzione endemica in ogni struttura dell’apparato politico amministrativo palestinese. Arafat aveva creato ben 13 milizie dipendenti direttamente da lui che teneva saldo il cordone della borsa senza cederlo a nessun altro. Goveava pagando e manteneva la moglie e la figlia, che lo avevano abbandonato rifugiandosi in Francia, in un lusso sfrenato a spese della miseria dei palestinesi. Il suo popolo moriva letteralmente di fame e il raìs investiva in ogni parte del mondo, anche in società americane di bowling, senza mai rendere conto del suo operato e della destinazione dei fondi e intanto il popolo palestinese viveva nelle baracche dei campi profughi, privi di qualsiasi servizio sanitario. A Gaza gli scarichi delle acque nere sono ancora all’aperto. Una scelta politica calcolata ha anche giocato sui 60 campi profughi, senza risolvere un solo problema esistenziale delle persone per giocare la carta della mendicità internazionale e del sopruso israeliano su ogni tavolo. L’elemosina che il raìs elargiva benignamente, tipica della cultura tribale, aveva sostituito il concetto stesso dei diritti e dei doveri, tra l’altro assenti nel sentire arabo-orientale. Con l’elemosina ricevuta, i «sudditi» dovevano poi pagare funzionari e impiegati e polizia per qualsiasi pratica, qualsiasi atto pubblico e privato: targa della macchina, documenti personali, permessi e autorizzazioni.
Rompere questa spirale di corruttela comporterà una guerra civile sotterranea, se non dichiarata, tra le diverse fazioni palestinesi che non faciliteranno il compito ad Abu Mazen: se non porrà da subito la scure alla radice, «Abu-il padre» del popolo senza patria e senza terra rimarrà impigliato tra le spine di rovi potenti che lo soffocheranno senza pietà.
Punto due: la ricostruzione
Il secondo nodo da sciogliere, conseguenza diretta del primo è la ricostruzione economica che deve portare ad un minimo essenziale di stato sociale, attualmente del tutto assente. Abituato alla cultura del favore, l’arabo palestinese farà fatica ad accettare e rispettare le regole della convivenza democratica.
Golda Meir, primo ministro d’Israele dal 1969 al 1974, soleva dire: «Comincerò ad avere paura degli Arabi, il giorno in cui rispetteranno una fila in un pubblico ufficio». Aveva ragione. Nel mondo arabo, palestinese in particolare, esistono «traffici» non imprese o attività economiche strutturate, per cui la vera prima grande impresa da costruire sarà il rispetto delle regole condivise e accettate. Un’economia senza regole civili e sociali è solo una pia illusione.
Punto tre: un cambio di sistema
Il terzo nodo da sciogliere è la creazione di pesi e contrappesi giuridico-politici espressivi della realtà palestinese che deve essere artefice del proprio destino. È il superamento del concetto tribale del potere.
Non sappiamo se si possa impiantare in Oriente un sistema democratico (?) come quello occidentale, ma sono certo che Abu Mazen deve trovare un sistema che debba rendere efficace e autentica la rappresentatività decisionale che riguarda l’intero popolo senza ancora una patria intera. Ciò comporta la formazione di una classe dirigente giovane, composta di uomini e donne, proiettata sul futuro, ponendo così un freno all’emorragia dell’emigrazione che naturalmente coinvolge sempre le teste pensanti in ogni campo.
Punto quattro: i gruppi armati
Il quarto nodo da sciogliere riguarda i gruppi armati, da Hamas alla Jihad, ai martiri di Alaqsa alla stessa ala armata di Al Fatah, il partito che fu di Yasser Arafat e che ora esprime Abu Mazen. Sarà sufficiente che uno di questi gruppi spari, anche in aria, un colpo di kalashnikov in direzione di Israele ed ecco che il governo Sharon accuserà Abu Mazen di incapacità di governare la violenza e la non volontà politica di raggiungere un accordo. In questo modo anche il moderato Abu Mazen diventerà un estremista nemico di Israele con un requiem per altri 50 anni.
Punto cinque: con Israele
Il quinto e penultimo nodo da sciogliere prima di cantare vittoria, riguarda la posizione politica da assumere nei confronti di Israele. Su questo versante, il nuovo presidente palestinese può giocare la valanga di voti e il plebiscito che gli ha dato un ampio mandato popolare come l’ultima spiaggia per Israele. Abu Mazen deve stanare Israele e inchiodarlo alle sue responsabilità, ma senza giocare al rialzo come faceva Arafat, al quale in fondo non conveniva trovare un accordo con Israele come non conveniva a questi trovare un accordo con Arafat.
Il primo passo è approfittare di questo climax internazionale degno di un classico innamoramento e battere il ferro finché è caldo, sfruttando la simpatia e la stima che Abu Mazen porta in dote in tutte le cancellerie diplomatiche, Stati Uniti compresi. È il momento dell’audacia e della serietà che deve avere un solo obiettivo: porre finalmente fine alle sofferenze del popolo palestinese, affrontando il rodeo delle trattative con Israele non da solo, ma con il viatico delle cancellerie europee, asiatiche (Russia e Cina in primo piano), statunitense, latinoamericane e africane. O Abu Mazen sarà capace di trasformare il nodo palestinese in «nodo di Gordio internazionale» o morirà di asfissia e con lui anche le speranze del suo popolo.
Punto sei: l’educazione
Il sesto e ultimo nodo da sciogliere riguarda il futuro che è già iniziato. Il suo nome è plurimo: bambini, adolescenti e giovani. Questa è la scommessa più importante per la Palestina, per Israele, per Abu Mazen e per la pace del mondo intero. I rapporti tra Israele e i palestinesi da sessant’anni sono cementati dall’odio viscerale inculcato fin dal concepimento. L’altro è il nemico. Vale una sola legge: la vendetta. Si insegue un solo obiettivo: la distruzione dell’altro. Con un solo metodo: violenza e terrore.
Ora all’orizzonte spunta una nuova alba, di cui l’elezione di Abu Mazen è la premessa timida e forte. Inizia anche l’ora più buia che normalmente precede sempre l’aurora e in quest’ora buia si scateneranno tutte le forze contrarie sia all’interno dei palestinesi che all’interno di Israele. Il ritiro dei coloni dalla Cisgiordania potrebbe essere una valanga in discesa libera e potrebbe fare saltare qualsiasi governo, qualsiasi accordo. Occorre più che mai sapienza, lungimiranza e autorevolezza morale.
Abu Mazen possiede queste caratteristiche, Sharon sta tentando di ricostruirsi una verginità perduta da tempo col pronto soccorso di Perez e del partito laburista. Entro mille giorni dalle elezioni di Abu Mazen, è indispensabile raggiungere un accordo anche minimale che abbia l’avallo politico dei due popoli e non solo delle rappresentanze partitiche.
Un punto essenziale di questo accordo deve riguardare la costruzione di alcune scuole che segnino il confine tra i due Stati al posto dell’orrido e orrendo muro di apartheid costruito sulla viva carne della terra di Palestina. Segnare i confini con edifici scolastici aperti dai due lati confinanti dove educare insieme i bambini ebrei e palestinesi di oggi, i governanti di domani. Educarli a crescere insieme, imparando le rispettive lingue, con maestri dell’uno e dell’altro popolo per stemperare la diffidenza e la paura dell’altro fino a trasformarle in reciprocità libera e liberante. Solo così, fra 50 anni, Abu Mazen e il suo dirimpettaio israeliano potranno dire di avere vinto la sfida della Pace.
LA SANTA SEDE E L’ITALIA
Il punto di appoggio su cui fare leva per iniziare il pellegrinaggio del diritto nelle città dell’est e dell’ovest, del sud e del nord, dovrà necessariamente partire da Roma: dalla Santa Sede in particolare, perché essa fu la sola che, in epoca non sospetta (15 febbraio 2000), contro il parere dell’opinione comune mondiale, firmò un protocollo di reciproco riconoscimento con l’Autorità palestinese, compiendo così un raro atto diplomatico che ebbe le fattezze del gesto profetico nell’anno giubilare del secondo millennio cristiano. Quel riconoscimento oggi ha il suo peso e diventa un viatico di notevole portata nelle sedi diplomatiche del mondo ad Oriente come ad Occidente.
L’Italia berlusconiana, purtroppo, ha creato anche un vulnus nella politica mediorientale che era stato un distintivo d’onore degli ultimi 60 anni: punto di raccordo tra le esigenze di sicurezza d’Israele e il bisogno di giustizia del popolo palestinese, soggetto arabo di diritto.
La stessa posizione geografica dell’Italia ne ha sempre facilitato la missione di pontiera fra i tre continenti: arabico-asiatico, africano ed europeo. In questo ruolo di prim’ordine si distinse il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira che già negli anni ’50-’70 con i «Colloqui del Mediterraneo» fu indefesso profeta del «sentirnero di Isaia», che inesorabilmente conduceva i figli dispersi sulla stessa terra e nemici per condizioni storiche verso l’ineluttabilità dell’unica pateità: Abramo.
Israeliani e palestinesi, discendenza abramitica, possono violentare la Pace in modo sistematico con ogni forma di guerra, possono ritardare gli appuntamenti della Storia, ma sono condannati ad una inesorabile pacificazione.
L’INSEGNAMENTO DI ABRAMO E L’EREDITÀ DELLE «3P»
Come Abramo, Abu Mazen deve avere il coraggio di lasciare le «tre P»: il padre, il paese e la patria.
Il padre Arafat lo ha lasciato per sempre e senza rimpianti. Ora deve superare il concetto di «paese» ed accettare la convivenza con l’altro figlio di Abramo, Israele. Infine, deve porre mano all’aratro dell’identità palestinese e ritessere un concetto di «patria» che finalmente possa assidersi alla mensa del consesso dei popoli. Non più popolo-paria ai margini del deserto, senza petrolio e senza arte né parte, ma popolo di diritto che difende i suoi diritti e interessi non uccidendo i suoi stessi figli scagliati come kamikaze contro altri figli, ma innalzando l’emblema della giustizia che si conquista nella normale dialettica politica, nelle sedi mondiali dove ancora si esercita il magistero della legge internazionale come stativo di ogni popolo e Stato.
Solo allora inizierà un’era di Pace-Shalom-Salam.
Box 1:
Piccolo glossario
Abramo
Secondo la tradizione è il primo patriarca biblico, fondatore della discendenza ebraica attraverso la moglie Sara. Anche i popoli arabi si attribuiscono la pateità abramitica attraverso la discendenza di Agar, schiava di Sara.
Accordi di Oslo
Oslo 1: Il 20-29 agosto 1993, a Oslo in Norvegia va in onda il 10° tentativo di pace degli ultimi 30 anni tra Israele e Palestinesi; tra il 9 e il 10 settembre Yitzhak Rabin e Yasser Arafat si scambiano lettere di reciproco riconoscimento formale. Oslo 2: Il 28 settembre 1995 l’Olp di Arafat e Israele firmano un accordo temporaneo sulla Cisgiordania e la striscia di Gaza su un parziale controllo palestinese sui territori occupati. Israele riconosce ufficialmente «i diritti dei palestinesi sull’acqua in Cisgiordania».
Al-Fatah
Partito maggioritario dell’Olp (v. sotto) fondato alla fine degli anni ’50 da Yasser Arafat che ne è stato il presidente fino alla morte (2004).
Camp David
Dopo la Casa Bianca, è la seconda residenza (estiva) ufficiale del presidente americano.
Coloni
Ebrei che si sono insediati abusivamente nei territori palestinesi, dove hanno costruito villaggi e attività agricole con l’obiettivo di riprendersi la «terra d’Israele», secondo loro, illegittimamente occupata dagli arabi palestinesi. Sostenuti da tutti i governi israeliani dal 1948 ad oggi, si considerano i pionieri del ritorno nella Terra Promessa e sono in grado di condizionare l’opinione pubblica e i governi. Sono Ebrei irriducibili che vogliono la distruzione totale dei Palestinesi e non accettano di lasciare pacificamente gli avamposti occupati.
Hamas
Acronimo di Harakat al-Muqawamah al-Islamiyyah (Movimento di resistenza islamico) fu fondata dallo sceicco Ahmed Yassin e Mohammed Taha nel 1987 con un solo motivo: la distruzione dello stato d’Israele al cui posto impiantare uno stato palestinese islamico. La guerra israelo-palestinese è «una lotta religiosa tra islam ed ebraismo che può essere risolta solamente per mezzo della distruzione dello stato di Israele». È presente specialmente nella Striscia di Gaza e Cisgiordania. Hamas si è assunto la pateità della maggior parte dei kamikaze che si sono fatti esplodere in Israele, seminando morte e terrore tra civili e anche militari. Ha grande seguito tra il popolo che da Hamas riceve sostegno economico e assistenza.
Jihad (Islamica)
Altro gruppo di irriducibili resistenti palestinesi che hanno fatto del terrore la loro arma privilegiata. Letteralmente «Jihad» significa «sforzo/impegno» e indica il «combattimento» spirituale, interiore sulla Via di Allah, poi, erroneamente passato ad indicare la lotta armata.
Muro
Dopo la seconda Intifada (2000-2002) che ebbe come conseguenza diretta decine di kamikaze che si facevano esplodere in centri affollati, il governo Sharon, appellandosi alla «sicurezza d’Israele», ha deciso la costruzione di un muro per isolare gli insediamenti dei coloni dagli attacchi palestinesi. Definito dalla maggior parte degli stati di diritto «muro della vergogna», in concreto, il muro ha finito per dividere e rinchiudere in un ghetto di apartheid interi villaggi arabi, separando i palestinesi dai luoghi di lavoro e dalle campagne, al fine di rendere impossibile la vita e costringere all’emigrazione.
Olp
Organizzazione per la Liberazione della Palestina è fondata a Gerusalemme Est il 2 giugno 1964 dal primo vertice della Lega araba. Nel gennaio del 1969, ne assume la guida Yasser Arafat, leader del partito maggioritario di Al Fatah.
Raís
Titolo arabo che significa, signore/padrone/capo.
Pa.F.
Box 2
E la pace darà buoni frutti
La pace produrrà mille pampini di giustizia e ogni pampino farà sbocciare mille grappoli di pace e ogni grappolo fruttificherà mille acini di giusti e ogni giusto pianterà mille ulivi e ogni ulivo vivrà e darà olio per mille anni. In quel giorno, i figli di Palestina e i figli di Israele, ambedue scaturiti dalle viscere di Abramo per Sara e per Agar, sosteranno al pozzo della Pace per attingere l’acqua della giustizia e nessuno dei due popoli avrà più sete per mille anni a venire perché l’acqua invaderà il deserto e il diritto scorrerà come un fiume che alimenta la vita. Solo allora sarà veramente iniziato il terzo millennio, un millennio in cui la Giustizia incontrerà la Pace che si baceranno davanti a Israele, davanti alla Palestina, coram mundo.
Auguri Mahmoud Abbas, che Dio Misericordioso abbia pietà di te e dei governanti israeliani e vi benedica nel vostro entrare e nel vostro uscire ( Dt 28,6).
Paolo Farinella