Aprire le porte
Tutte le volte che qualcuno mi chiede: «Ma cosa vuol dire, concretamente,
dialogo interreligioso?», mi sento un po’ a disagio. Non è facile rispondere. Perché dialogare non significa tanto «fare qualcosa», ma incontrare, capirsi, creare relazioni di amicizia… Proprio come nel «pellegrinaggio» che vorrei raccontarvi.
Il mio compito missionario in Corea, da qualche anno, è il dialogo interreligioso. È questa una dimensione dell’evangelizzazione con la quale molte persone ancora non sono familiari. Infatti, mi trovo un po’ imbarazzato tutte le volte che qualcuno mi chiede: «Ma cosa vuol dire, concretamente, fare il dialogo interreligioso?».
Non è facile rispondere. Perché dialogare non significa tanto «fare qualcosa», ma… molte cose: incontrare persone, parlarsi, capirsi, creare relazioni di amicizia e fiducia… Proprio come in questo «pellegrinaggio» un po’ speciale di cui vorrei parlarvi…
La partenza
Quando sono salito sul pullman dei «pellegrini» quella mattina del 23 novembre scorso, l’atmosfera al suo interno era fredda quasi come l’aria pungente dell’esterno. C’erano già varie persone e altre continuavano ad arrivare. Ma ognuno sembrava stare un po’ sulle sue, cercando un posto appartato dove sedersi, o concentrandosi sul giornale, alzando solo la testa di tanto in tanto, per «controllare» i nuovi che arrivavano. Evidentemente, tutti avevano ricevuto un invito simile a quello che avevo ricevuto io, ma il fatto di non conoscerci e di essere tutti di religioni diverse ci teneva ancora bloccati.
Questo tipo di «pellegrinaggio interreligioso» viene organizzato quasi ogni anno dal Kcrp (Conferenza coreana delle religioni per la pace), ramo nazionale dell’omonima organizzazione mondiale di Dialogo interreligioso (Wcrp), con il contributo finanziario del Ministero della cultura coreano. Avevo già partecipato una volta, nell’ormai lontano 1998, ma poi avevo perso i collegamenti, da quando ero stato destinato a Roma per qualche tempo.
Appena il pullman si muove, gli organizzatori prendono il microfono e cominciano le presentazioni. Non c’è che dire: siamo proprio un gruppo molto eterogeneo. C’è il vescovo anglicano della diocesi di Seoul e due dei suoi sacerdoti, più la pastora di un’altra chiesa, a rappresentanza dei protestanti; due laici buddisti (uno dei quali è l’attuale direttore generale del Kcrp); due monaci e una monaca del buddismo Won (una religione autoctona della Corea, che si rifà al buddismo, ma allo stesso tempo se ne differenzia nei simboli religiosi, nel fondatore e nell’insegnamento); ben quattro rappresentanti del Ch’on-do-kyo (altra religione autoctona coreana, fondata nel 1860… come avrò modo di sapere durante il viaggio); due rappresentanti del confucianesimo (uno dei quali già conosciuto in una mia precedente visita all’Università confuciana di Seoul); due membri di una religione che mai e poi mai avevo sentito nominare prima (un culto sorto dalla «religiosità popolare» coreana, in un’isola al sud del paese e che si rifà alla filosofia taoista orientale). E i cattolici? Beh, ci sono io (sono anche l’unico non coreano!) e tre laici, membri del Consiglio del Kcrp e che quindi sono anche gli organizzatori del viaggio. Che strano: neppure una suora!
Il bello è che, man mano che si fanno le presentazioni, l’ambiente si riscalda. Le persone sembrano uscire dal guscio dove si erano rifugiate e si aprono all’incontro. Saluti, sorrisi, scambio di informazioni… qualcuno cambia di posto e si avvicina. I giornali vengono messi da parte e il brusio delle conversazioni riempie il pullman…
Il dialogo comincia.
L’itinerario
Trattandosi di un «pellegrinaggio» interreligioso, è chiaro che le mete da visitare sono «luoghi sacri» appartenenti alle varie religioni. Secondo lo stile coreano, gli organizzatori hanno preparato e distribuiscono tutto: libretto informativo, lista dei partecipanti, acqua, frutta e delizie varie in quantità… perfino alcune pagine con inni, o canti sacri delle varie religioni. Così, tra una conversazione e l’altra, in cinque ore di viaggio, arriviamo a Kyong-ju, città storica e d’arte di primaria importanza in Corea.
Luoghi sacri dei buddisti – I primi a essere visitati sono luoghi del buddismo. Al tempio di Ki-rim ci aspetta un personaggio che ho il piacere di conoscere già da diversi anni. Si chiama Pop-myong ed è un monaco buddista, che qualcuno certamente definirebbe «atipico». Sempre pronto alla battuta e allo scherzo, perfettamente «aggiornato» su cantanti e personaggi dello spettacolo, costantemente mescolato ai giovani, che ogni anno porta addirittura in pellegrinaggio in India, zaino in spalla…
È lui che ci guida nella visita al tempio («Nel tempio ci sono cinque diverse fonti d’acqua… chi ne beve diventa saggio e raggiunge presto l’illuminazione!». «Quella statua di Budda è fatta di cartapesta e data dal tempo del regno di Shilla…»). Poi, subito dopo, le rovine di un altro tempio e una tomba «marina», collegata direttamente a quelle rovine («unica al mondo» la descrive il pannello turistico piantato sulla riva). Si tratta della tomba del gran re Mun-mu (morto nel 681), che ha riunificato sotto il suo comando la penisola coreana, allora suddivisa in tre regni.
Fu quello un periodo di grande espansione del buddismo in Corea, tanto da diventae la religione ufficiale. Il re morì, chiedendo la costruzione di un tempio-memoriale e di avere le sue ceneri deposte nel mare, per potersi trasformare in drago e continuare a difendere la nazione dai pericoli estei… La sua tomba, infatti, consiste in un isolotto che emerge a 200 metri dalla riva, con un laghetto al suo interno (curiosamente, a forma di croce), al centro del quale emerge una grossa pietra, sotto cui – si afferma – sono state poste le ceneri del grande re.
Ma non tutto è visita e spiegazioni; bisogna anche fare cena e raggiungere l’hotel, dove passeremo la notte. È in questi momenti informali che la spontaneità e le relazioni raggiungono il loro punto più alto e vero. Si chiacchiera allegramente, si ride, si pongono mutuamente domande, anche impegnative. L’ambiente è molto disteso… Perfino il vescovo anglicano sembra mettere da parte la sua «dignità episcopale», inserendosi bene nella compagnia.
Luoghi sacri del Ch’on-do-kyo – Il giorno dopo è la volta dei luoghi sacri del Ch’on-do-kyo. Veniamo portati, dopo colazione, ad un piccolo villaggio nei dintorni di Kyong-ju, dove c’è il «Ritiro di Yong-dam». In questa piccola casa rurale, immersa tra i boschi (peraltro rivestiti di bellissimi colori autunnali, nel momento in cui la visitiamo), il fondatore del Ch’on-do-kyo, Ch’oi-je-woo, nel 1860 ebbe la grande «rivelazione» che lo portò a fondare, appunto, la nuova religione. Il principio è: Dio non abita lassù nei cieli, lontano dagli uomini, ma abita il profondo, il cuore di ogni uomo.
Questa religione è vista come la «nuova creazione» del mondo. Infatti, sulla parete del Centro di formazione, costruito oggi accanto alla Casa del ritiro, c’è scritto a grossi caratteri: «Sii ri-creato e diventa una persona nuova!». I riti sono semplici e molto basati sull’uso degli elementi naturali, come l’acqua, che sgorga cristallina accanto alla Casa del ritiro (vedi box). Confesso che non conoscevo quasi nulla del Ch’on-do-kyo e, con questo pellegrinaggio, ho cominciato a vederla come una religione «simpatica»!
Luoghi sacri del confucianesimo – Nel pomeriggio, già di ritorno a Kyong-ju, è la volta del confucianesimo. Nel Hyang-kyo, una delle antiche e caratteristiche «scuole» confuciane, troviamo già preparate un gruppetto di persone, rivestite di abiti da cerimonia, pronte a svolgere per noi e assieme a noi un rito in onore di Confucio. Uno dei due rappresentanti del confucianesimo che è parte della nostra comitiva si offre di spiegare, per filo e per segno, le varie fasi del rito.
Entrata solenne, portando la tavoletta con il nome del Maestro; abluzione; processione all’interno del tempio (salendo ogni scalino prima con il piede destro); proclamazione solenne del motivo del rito (la nostra visita, in questo caso); offerta di incenso, inchini, uscita (dalla parte opposta a quella di entrata, scendendo ogni scalino prima con il piede sinistro). Tutto solenne, compassato, codificato, preciso… Noto che le persone che svolgono il rito sono tutte anziane. Non mi meraviglia: il confucianesimo, pur essendo molto vivo nella mentalità sociale coreana, non è certo al top degli interessi dei giovani modei (beh, questo è vero anche per altre religioni!).
Nella condivisione serale, particolarmente lunga, viene chiesto se il confucianesimo sia veramente una religione. Uno dei rappresentanti dice di no; ma l’altro, immediatamente, lo corregge e dice di sì. Certo, tutto dipende da cosa si intende per «religione». La condivisione, comunque, è bella e ricca. Ognuno dice come si è sentito nella visita ai luoghi di una religione diversa dalla propria. Prevale nettamente la volontà di non «farsi la guerra», di capirsi, il desiderio di unità e di collaborazione (per quanto possibile).
Luoghi sacri del buddismo-Won – La notte l’avevamo già passata in una «casa di ritiri» di questa religione. Al mattino, dopo colazione, abbiamo visitato il santuario di Song-ju. In questo paesino è nato, cresciuto, ed ha ricevuto l’illuminazione (nel 1916) il venerabile Chong-san (1900-1962), che divenne il secondo patriarca di questa religione, subito dopo la morte del fondatore vero e proprio del buddismo-Won, So-Tae-san. «Educa il popolo per costruire un mondo di pace» è il contenuto essenziale della rivelazione ricevuta in quel luogo. Possiamo addirittura stringere la mano ad una figlia del patriarca, ormai anziana monaca, ma con un sorriso smagliante e una vitalità impressionante. Ci invita tutti a costruire la pace.
Non posso evitare di pensare, dentro di me, a quanto «ottimiste» siano tutte queste religioni orientali, circa l’uomo e la sua capacità di trovare, seguire e realizzare il bene con le sole sue forze. Non sembrano prendere in seria considerazione la forza del male, che domina il cuore umano, e del peccato…
Luoghi sacri dei cattolici – Subito dopo il santuario di Song-ju, proprio nello stesso paesino, facciamo una brevissima visita al Centro di recupero per alcornolizzati, retto dalle suore di una famiglia religiosa francescana. Il posto è molto bello, costruito poco a poco dagli stessi pazienti, con una varietà di forme impressionanti e con abbondanza di statue della Madonna e della Via Crucis, un po’ dappertutto sulla collina. Tutti restano… meravigliati!
Meraviglia che cresce ancor di più durante la visita alla grande abbazia benedettina di Wae-gwan. Ci accoglie con un sorriso il superiore della comunità (l’abate è assente) e ci porta in chiesa. A me sembra proprio di «tornare a casa»! Il superiore si sforza di spiegare a quell’uditorio così inusuale la realtà della vita religiosa nella chiesa cattolica, la differenza tra sacerdoti diocesani e religiosi; le differenze, nell’unità, tra le varie famiglie religiose… Tutti ascoltano con attenzione, ma non credo che riescano a capire. Infatti, molti toeranno con me sull’argomento, dopo la visita.
Assistiamo alla celebrazione dell’ora sesta dei monaci e tutti, poi, mi diranno essere convinti di aver assistito alla messa… E quale meraviglia, da parte loro, rivedere le stesse persone, che prima erano avvolte nell’abito benedettino, indossare ora la tuta da lavoro, nel laboratorio per la fabbricazione di arredi sacri e in quello delle vetrate colorate… Non c’è che dire: la chiesa cattolica suscita rispetto, ammirazione a non finire e… (devo dirlo?) un po’ di «timore» su tutti («Ma perché la chiesa cattolica vuole far diventare cristiano il mondo intero?» – mi chiedeva sul pullman una signora del Ch’on-do-kyo).
Ma è già pomeriggio e ci aspetta un lungo viaggio per tornare a Seoul. Nel pullman si chiacchiera, si dorme, ci si scambiano indirizzi e numeri di telefono, si canta… e, all’arrivo, ci si separa con quella punta di dispiacere che sempre si prova a separarsi dagli amici; però, con la promessa di ritrovarci e continuare il dialogo.
Dopo questo tipo di esperienze di dialogo interreligioso, mi restano sempre nel cuore alcune sensazioni. Innanzitutto, la consapevolezza della mia grande ignoranza circa le altre religioni. Sì, so qualcosa, ma il vero «centro» delle religioni ancora mi sfugge. Quanto devo ancora studiare e sforzarmi per sapere e capire… È solo una «magra consolazione» l’aver constatato, una volta ancora, che l’ignoranza sul cristianesimo da parte degli altri è almeno pari alla mia sulle loro religioni.
Resta poi la sensazione di incompletezza. Ma non è certo realistico aspettarsi che un «pellegrinaggio interreligioso» di tre giorni possa coprire tutti gli ambiti e gli aspetti complessi del dialogo tra le differenti religioni. Diciamo che queste iniziative cominciano ad «aprire la porta». Toccherà poi a noi, interessati e dediti al dialogo, approfondire gli argomenti, entrare nel vivo delle esperienze religiose e spirituali delle varie fedi, anche se non è certo facile.
Infine, resta il proposito di mantenere e consolidare le relazioni create durante il pellegrinaggio. Da parte mia, ho promesso ai rappresentanti del Ch’on-do-kyo che andrò ad assistere, un giorno, al culto domenicale nella loro sede centrale di Seoul. Tutti mi hanno chiesto di avvisarli, perché vogliono accompagnarmi e spiegarmi bene le cose… Inoltre, la monaca del buddismo-Won lavora in una delle loro «parrocchie», non troppo lontana dal nostro Centro di dialogo interreligioso. Certamente andrò a trovarla, magari assieme al nostro gruppo. E speriamo che qualcosa di nuovo possa nascere…
Diego Cazzolato