Una zappa come arma

Regole inteazionali, aiuti allo sviluppo, povertà, immigrazione… È l’Africa, allieva di un «maestro» che la sfrutta, nel racconto di un leader legato
alla terra, che lotta per un nuovo umanesimo in politica e contro gli aiuti «avvelenati».

François Traoré è alto e corpulento. Quando indossa il grande boubou celeste, incute autorità e rispetto. Di umili origini, contadino e allevatore, è alla testa dell’Unione nazionale dei produttori di cotone del Burkina; nel 2002 è stato eletto presidente della Confederazione contadina del paese (Cpf).
La Cpf raggruppa la maggior parte dei coltivatori del paese saheliano, terz’ultimo nella graduatoria dello sviluppo delle Nazioni Unite, la cui popolazione, all’85%, vive di agricoltura. Tra Washington, Ginevra, Cancun e Ouagadougou, Traoré non è mai fermo: porta sulle spalle la causa dei contadini africani.

Qual è l’importanza del movimento contadino in Africa dell’Ovest?
Oggi, alcuni di noi agricoltori, che sono andati a scuola, hanno fondato un po’ ovunque movimenti contadini. Siamo coscienti che i mestieri di agricoltore, allevatore, pescatore possono nutrire onestamente noi e le nostre famiglie. Anzi, fanno vivere la società, perché, fino a prova contraria, non si è ancora fabbricato un seme in grado di nutrire l’uomo: si coltiva sempre. Siamo quindi coscienti del nostro ruolo e dell’importanza che ricopre.

Vi siete organizzati. Ma a livello mondiale che potere negoziale avete con le istituzioni inteazionali?

In passato il governo decideva sulle questioni che riguardano il nostro settore, a livello nazionale come internazionale, senza interpellarci. Oggi non è più possibile: se ci sono aspetti che non ci soddisfano o decisioni a cui siamo contrari, ci sentiamo in obbligo di far sentire la nostra voce ai diversi livelli.
Se gli organismi inteazionali sono umani e le leggi sono fatte per l’uomo, esiste uno spazio per farci ascoltare. Noi siamo una traccia in questo mondo, uomini che vivono nelle regole inteazionali e alle quali facciamo riferimento. Prendiamo, ad esempio, la lotta contro la povertà: c’è una grande strumentalizzazione su questo tema, a cui sono contrario; si devono ascoltare gli attori e accettare i cambiamenti, piuttosto che dire tante parole.
Da noi, un giovane che dall’età di 15 anni lotta contro la povertà, la può sconfiggere. L’umanità ha la possibilità di far vivere gli uomini sul pianeta, se le regole inteazionali sono applicate sinceramente e non sono violate dai grandi. Per esempio, la mondializzazione: per me, vuol dire che quelli che hanno il potere dovrebbero fare in modo che tutti possano mangiare, bere e dormire. Ma, nella mondializzazione di oggi, le grandi potenze vogliono appropriarsi di tutto il mondo. Se tante persone, i poveri, non riescono a vivere, cosa vuol dire allora mondializzazione?
A Doa hanno detto che faranno dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) uno strumento di sviluppo. Vuol dire cambiare la situazione di chi è in miseria. Ma la realtà rimane uguale. Solo guerre.
Non sono d’accordo su come si parla dei bambini soldato in Africa: il bambino africano e suo padre volevano strumenti e materiali per lavorare che non costassero cari. Ma le grandi potenze fanno di tutto perché le risorse naturali africane vadano a loro beneficio e l’africano continui a soffrire. Così danno loro un fucile o un kalashnikov e qualcuno, da qualche parte, li utilizza.
Sono contro le regole della mondializzazione, se queste non vanno nel senso in cui tutti gli uomini possano sentirsi parte di questo mondo.

A proposito di regole, ci parli di quelle sul commercio mondiale.

L’Omc è un consesso di oltre 140 paesi: ci sono stati che firmano senza avere alcun interesse. Questa volta, a Cancun, l’Africa ha detto no. E le grandi potenze non hanno mandato giù questa posizione. Si sono dette che può essere un precedente pericoloso. Meglio cercare di addormentarci e farci proposte che portano a nulla di fatto. Come possiamo continuare a parlare di sviluppo e non accettare che l’uomo povero possa vendere bene il suo prodotto? Lui non chiede un regalo, ma di stabilire regole giuste.
Invece continuano i sottintesi, che non portano a nulla. È quanto è successo a Ginevra. Non hanno messo il dito sul problema, né dato delle scadenze. Ciò vuol dire che il povero non avrà il suo tornaconto e morirà; forse un’altra generazione di poveri vedrà una soluzione. Ma non ne sono sicuro: manca la volontà.

Gli aiuti sono utili allo sviluppo o sono un modo per mascherare un sistema dei paesi ricchi?
Vedo l’aiuto allo sviluppo come l’esca per acchiappare il pesce. Dal punto di vista umano, l’aiuto deve far sì che l’uomo giunga a risolvere i propri problemi da solo; ma se per 40 anni si continua ad aiutare e l’Africa non risolve i suoi problemi, vuol dire che l’aiuto è «avvelenato». La solidarietà è buona, ma quando nasconde degli interessi e produce più ricchezze a chi aiuta, allora è una distruzione. Bisogna cambiare questo meccanismo.

Cosa bisogna cambiare?

Gli uomini dei mass media possono essere una cinghia di trasmissione tra le società del Nord e quelle del Sud. Sono cosciente che in tutti i paesi sviluppati c’è la volontà reale per tessere vere relazioni. Molto spesso gli aiuti arrivano da uomini di buona volontà; ma poi sono utilizzati politicamente, all’insaputa dei donatori. Bisogna informare queste persone, che certamente non vogliono il nostro male.
La politica è per l’uomo e va fatta nel senso di un nuovo umanesimo. Spesso, invece, è utilizzata per gli interessi di qualcuno, all’insaputa della società civile. Esiste un altro modo di creare relazioni tra le società, basato su quello che possiamo cambiare nella vita degli altri. Un uomo del Nord riflette su cosa può cambiare nella vita di uno del Sud? Gli uomini si devono parlare per dirsi, in tutta sincerità, dove vogliono andare. Tutti gli esseri umani vogliono la prosperità e la pace per l’uomo.

Eccetto qualcuno.

È quello che dico: siamo utilizzati troppo spesso da un pugno di uomini. È un’ingenuità umana.

Per lo sviluppo dell’Africa, cosa devono fare la sua società civile e i suoi dirigenti?

L’Africa non deve farsi delle illusioni: ha subìto per lungo tempo. L’Europa è la maestra dell’Africa da 40 anni, senza darle un diploma. E non si può dire che non abbia avuto un buon allievo.
Ma cosa impedisce agli africani di dire: vogliamo forgiare il nostro sviluppo? Tradizionalmente, nelle nostre società, ne avevamo tutti gli strumenti, ma molti sono stati distrutti: in ogni villaggio c’era un sistema di difesa dei diritti umani. Dobbiamo ascoltarci e poter contare su noi stessi. È il momento di riflettere: governi e società civile.
Ma se le politiche dei nostri leaders sono teleguidate, non bisogna sorprendersi che l’Occidente continui a succhiare le nostre ricchezze. Ma in una società altamente analfabeta è facile venire usati. Guardiamo il destino dei nostri primi capi di stato: alcuni sono stati talmente sfruttati che, alla fine, i paesi occidentali non li volevano neanche più sul loro territorio. È un monito per i nostri dirigenti.

E l’Africa che cosa ha insegnato all’Europa?

L’Europa ha preso molto dalle società africane: ci sono prodotti che vengono da qui, trasformati in Europa e rivenduti in Africa. Noi non conosciamo bene il nostro valore umano e scientifico, le risorse naturali e il pensiero dell’uomo africano. È l’Europa che li conosce e li sa sfruttare. Su questo si dovrebbe fare il partenariato. È normale che i popoli abbiano scambi tra di loro, ma questi scambi devono dare frutti da entrambe le parti; invece, il ritorno è sempre stato minimo per il nostro continente. Il livello di povertà e sottosviluppo africano è una vergogna per l’Africa e per il mondo intero.
L’europeo deve capire che c’è qualcosa che non va se, ogni volta che viene a vedere l’africano, lo trova nella stessa situazione. È questa una collaborazione sincera?

Cosa pensa degli africani che continuano a rischiare la vita per emigrare in Europa?

Salif Keita, cantautore maliano, dice: «Se un europeo viene in Africa è un cornoperante; se un africano va in Europa, è un immigrato». Che l’uomo possa andare dove vuole fa parte delle leggi universali. Oggi, gli italiani che vogliono venire in Burkina non hanno alcun problema, sono i benvenuti. Ma per gli africani si sono create delle situazioni che li obbligano a emigrare. L’80% degli africani che vanno in Europa lavora duro e i loro paesi beneficiano di questo lavoro. Allora, perché si dice sempre che sono dei delinquenti? Se nel mondo intero si aprono le frontiere, allora che sia uguale per le merci e per gli uomini! E se vogliono che restiamo a casa nostra, che non saccheggino le nostre risorse; lascino che i nostri politici e le nostre società civili scelgano il nostro futuro!

Per esempio, l’Unione Europea non ha una politica comune in materia d’immigrazione…

Se l’Ue si è messa insieme, è anche per regolare un certo numero di affari in modo comune, come la moneta. L’immigrazione è un problema. L’Europa può essere abbastanza saggia da risolvere, per prima cosa, la questione dello sviluppo dell’Africa.
L’Europa ha molto sfruttato le risorse africane; l’America ha preso gli uomini, le braccia valide. Entrambi i continenti devono qualcosa all’Africa. Dovrebbero quindi pagare, ma non lo fanno; continuano, invece, a parlare d’aiuto. Che l’aiuto non sia più un inganno! Per andare da un villaggio all’altro abbiamo problemi, mentre in Italia ognuno ha l’asfalto fin davanti alla sua porta, ha il telefono in casa. Qui, gente e animali bevono la stessa acqua! Bisogna che le persone siano informate che tutto ciò è sorpassato: non è una cosa di cui vantarsi. Se un italiano dice che continua ad aiutare l’Africa, non fa la nostra fierezza. Dobbiamo cambiare la forma: questa non è adatta, non cambia nulla.

In Burkina si stanno sperimentando gli Ogm nel campo del cotone: pensa che invaderanno l’Africa?

Gli Ogm, per me, sono tecnologia. È come la radio: cento anni fa non esisteva. In Europa e in Africa si consumano già prodotti geneticamente modificati. Noi abbiamo posto delle domande a ricercatori ambientali ed economici, a scienziati di qui, che non hanno interesse a vedere la propria gente scomparire. Quando avranno risposto, potremo accettare o respingere gli Ogm.
Noi, leaders contadini, non vogliamo che s’introduca qualcosa che possa essere un pericolo. Per esempio, la tecnologia degli armamenti: chiedo ai paesi che la utilizzano di fermarsi, non è utile all’uomo. Se l’umanità smettesse di produrre armi, sarebbe un bene anche per noi. Invece, si continua. Le potenze non vogliono che si fabbrichi la bomba atomica, ma la posseggono e continuano a perfezionarla.
L’umanità deve riflettere sulle tecnologie e poi scegliere. È quello che stiamo cercando di fare per gli Ogm. Ci sono tecnologie nocive, che fanno gli interessi delle grandi potenze e, quindi, si continua a sviluppare. Che siano Ogm, armi o altro. L’ho detto a Washington: i paesi ricchi non sono contenti se non vedono la miseria dell’Africa nelle loro televisioni, i morti di Aids, gli immigrati che partono e lasciano a morire i loro figli. Immagini forti. Dobbiamo superare questo.

È ottimista sul futuro del movimento contadino in Africa?

Sì. Noi, leaders attuali, dobbiamo capire che non potremo cambiare tutto. Dobbiamo lavorare per formare i nostri successori, in modo tale che questa lotta continui. È una lotta sincera, dell’uomo, dell’agricoltore: la sua arma è la zappa.

Barco Bello

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