È assurdo rispondere al terrorismo con la guerra.
«Qualcuno vuole “uno scontro di civiltà”».
Non è facile trovarlo, ma quando ti risponde ha una voce calda e sicura e soprattutto parole chiare, ancorché concilianti. Padre Giulio Albanese è il vulcanico direttore della Misna, l’agenzia di informazione missionaria che già tanta credibilità si è guadagnata in pochi anni di attività.
Non nasconde la propria preoccupazione: per la guerra, il terrorismo, la pace, il giornalismo asservito o svilito a gossip.
Sulla chiesa rimane cauto e non vuole tornare sulle polemiche che hanno accompagnato l’omelia funebre del cardinale Camillo Ruini, pronunciata durante le esequie di stato per le vittime della strage di Nassiriya. E men che meno vuole commentare i virulenti attacchi subiti da monsignor Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, colpevole di aver detto verità troppo scomode per essere ammesse in pubblico.
Direttore, ci sono stati i morti iracheni, i morti statunitensi ed alla fine anche i morti italiani. Più che dalla giusta pietas il nostro paese è stato travolto da un’ondata di patriottismo non proprio disinteressato...
«Che senso ha questo patriottismo in un’epoca di villaggio globale? Se i confini nazionali sono ormai soltanto virtuali, allora anche la percezione del patriottismo dovrebbe essere cambiata.
Dobbiamo piangere per le sorti del mondo intero e di tante vittime innocenti delle quali spesso neppure sappiamo l’esistenza.
Noi della Misna siamo tra i pochi che danno notizia delle stragi quotidiane che avvengono, ad esempio, nei paesi africani.
Il patriottismo del 2003 dovrebbe avere un respiro globale. Insomma, è troppo facile piangere quando ci fa comodo…».
La guerra fa male e va male. Gli Stati Uniti lasceranno l’Iraq?
«Lo avrebbero lasciato se non ci fossero troppi interessi legati al petrolio e al business della ricostruzione. Certo di sbagli ne hanno fatti, anche dal punto di vista operativo. Tra l’altro, ormai hanno aizzato una guerra intrairachena in quello che prima del loro arrivo era il paese più laico del mondo islamico».
Il presidente Bush sostiene che la guerra in Iraq andava fatta per difendere il mondo dal terrorismo internazionale…
«Combattere il terrorismo con degli eserciti convenzionali? Già questo mi sembra uno sbaglio operativo clamoroso. Detto questo, l’unica lotta lecita è quella fatta attraverso la legge internazionale, l’unica in grado di difendere interessi non particolari».
Ma in un’epoca dominata dall’unilateralismo statunitense non è semplice parlare di diritto internazionale…
«Il papa ha detto che bisognava rispettare il diritto internazionale, che è stato palesemente violato. Questo significa che l’Onu deve tornare a svolgere un ruolo centrale e super partes. Sappiamo tutti che è un’istituzione burocratica, mastodontica, eccessiva, ma nonostante i limiti le Nazioni Unite rappresentano l’unica via d’uscita».
Come spiega il fenomeno del terrorismo?
«Prima di tutto una cosa va detta a voce alta: il terrorismo va condannato comunque, senza se e senza ma. Sempre. È vero che i terroristi trovano terreno fertile dove le situazioni di privazione e ingiustizia sono maggiori. Ma sicuramente essi non combattono per porre fine a ciò, come dimostra il fatto che le vittime delle loro azioni sono quasi sempre gente innocente. In realtà, credo si voglia arrivare al cosiddetto clash of civilizations, lo scontro di civiltà».
Cioè sta dicendo che qualcuno spinge verso questa direzione?
«Sì».
E chi perseguirebbe questo obiettivo?
«Io non posso dirlo, ma le dò un suggerimento. Pensi alla storia italiana e a quanti attori c’erano dietro la stagione del terrorismo negli anni ’70 ed ’80. Ora è su scala globale…».
Mi permetto di tornare alla domanda iniziale alla quale ha preferito non rispondere. Le tematiche della guerra, del terrorismo, della pace continueranno a dividere la chiesa italiana?
«Continuo a non rispondere. Però, un piccolo suggerimento ce l’avrei. Non è un’idea né nuova né originale, ma potrebbe essere qualcosa di positivo. Sto pensando ad un Osservatorio internazionale della chiesa cattolica italiana, formato da personalità religiose e laiche, che studi e valuti le problematiche inteazionali».
Nel suo libro lei è molto critico con il giornalismo italiano. Ora si dice che la guerra e la strage di Nassiriya lo abbiano ucciso…
«Il giornalismo italiano era in crisi già prima della strage di Nassiriya. Prigioniero del provincialismo e del gossip». •
Paolo Moila