STATI UNITI D’AMERICAAltri quattro anni di guerre e terrorismo?

George W. Bush è stato rieletto. In attesa di capire come si comporterà, proviamo a fare un bilancio
dei suoi primi quattro anni alla guida della superpotenza americana.

Il «comandante in capo» rimane alla Casa Bianca. George W. Bush, texano (d’adozione) di 58 anni, figlio maggiore di George Bush, ha vinto le elezioni presidenziali del 2 novembre 2004 e per altri 4 anni guiderà la più forte nazione della terra. In tanti, soprattutto fuori dagli Usa, speravano che ciò non avvenisse (1). E li capiamo. I primi 4 anni della presidenza di George W. Bush sono stati i più travagliati e negativi della storia recente dell’umanità.
Qualcuno obietterà che Bush ha liberato due paesi dalla tirannide e difeso il mondo dal terrorismo. Proviamo a ragionare, mettendo in ordine i tasselli…

A proposito di terrorismo. Il terrorismo ha ricevuto linfa vitale dalle scelte politiche del presidente statunitense. Sir Ivor Roberts, ambasciatore britannico in Italia, durante un convegno pubblico, ha definito Bush «il più grande reclutatore per conto di al-Qaeda» (2).
Un’esagerazione di un diplomatico inglese un po’ eccentrico? Il 9 ottobre il New York Times ha raccontato un’intervista immaginaria a Bin Laden, che dice al giornalista: «Guardi, la più grande sfida che abbiamo di fronte non è essere capaci di ottenere l’arma chimica. Ma è quella di persuadere nuovi adepti, e Bush è diventato il nostro miglior reclutatore. Al-Qaeda vincerà se Bush sarà rieletto, inshallah» (3). A parte le trovate giornalistiche, secondo l’Inteational Institute for Strategic Studies (Iiss) di Londra la guerra in Iraq ha reso al-Qaeda più forte (4).
Il diritto internazionale è stato fatto a pezzi, travolgendo le Nazioni Unite, istituzione con molti difetti ma l’unica che ricomprenda la totalità delle nazioni del mondo. Lo ha ripetuto davanti ai rappresentanti di 191 nazioni (5) lo stesso Kofi Annan, di solito piuttosto timoroso: «Nessuno nel mondo deve essere al di sopra della legge (…) ogni paese che proclama la legalità in patria deve rispettarla all’estero e ogni paese che insiste che sia rispettata all’estero deve rispettarla in patria (…) a volte perfino la lotta contro il terrorismo viene strumentalizzata per violare, senza che sia strettamente necessario, le libertà civili».
Meno diplomatico di Annan è stato il suo predecessore, l’egiziano Boutros-Ghali: «Anche a Baghdad gli americani si sono dimostrati dei perfetti incompetenti» (6).
Nel corso dell’assise Onu, la guerra al terrorismo è stata letta anche in chiave diversa da quella dominante. Il presidente brasiliano Lula, ad esempio, ha dichiarato: «Se vogliamo eliminare la violenza, è necessario rimuovere le sue cause profonde con la stessa tenacia con cui affrontiamo gli agenti dell’odio. Dalla fame e dalla povertà non nascerà mai la pace».
Il gruppo di lavoro Alleanza contro la fame, creato per iniziativa dello stesso Lula, ha proposto l’istituzione di alcune tasse inteazionali (su vendita armi, transazioni finanziarie, trasporto aereo e marittimo, profitti multinazionali) per finanziare lo sviluppo e ridurre drasticamente la fame. Un’idea molto interessante, che però ha subito trovato l’ostilità di alcuni paesi, tra cui i soliti Stati Uniti (7).

A proposito di Iraq. La seconda guerra del Golfo è iniziata il 20 marzo del 2003. Dell’Iraq ormai non si sa più che dire, se non che il paese è nella più totale anarchia, senza legge né parte, né prospettive per una popolazione che – dopo aver contato 100.000 morti civili (dei quali a Porta a porta poco si parla…) (8) – non sa più da che parte girarsi.
Iyad Allawi, l’uomo che gli Usa hanno posto a capo del cosiddetto «governo provvisorio iracheno», prepara le elezioni di gennaio 2005. Intanto Falluja, la città sunnita ribelle, da mesi è assediata e ripetutamente bombardata dalle forze statunitensi, senza che il primo ministro iracheno spenda una parola in favore della sua popolazione.

A proposito di Afghanistan. La prima guerra preventiva di George W. Bush risale al 7 ottobre del 2001. Dopo le emozioni, tanto telegeniche quanto effimere, del burqa e degli aquiloni, dell’Afghanistan non si è più parlato fino alle elezioni del 9 ottobre. Ha vinto senza fatica (e tra svariate contestazioni degli avversari) Hamid Karzai, l’uomo degli Stati Uniti. Sarà presidente dell’Afghanistan o, come malignamente sostengono in molti, semplice sindaco della capitale Kabul?
«Dire che le elezioni – spiega don Paolo Farinella – sono il segno della giustezza della guerra è come dire che dopo il temporale viene il bel tempo e dopo la notte sorge il sole. Chi ha voluto la guerra, chi vuole la guerra, deve sempre trovare una giustificazione e legge tutti i fatti in quest’ottica: avevo ragione. Se non si fossero svolte elezioni, avrebbero detto che le difficoltà erano più gravi del previsto e quindi bisognava incrementare la guerra per arrivare alla democrazia».
Che l’Afghanistan sia fuori controllo è testimoniato da due fatti. La produzione di oppio è tornata ai livelli ante-guerra (si parla di 3.600 tonnellate annue, in gran parte destinate al mercato europeo). Nel frattempo, l’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere ha abbandonato il paese dopo l’uccisione di 5 suoi membri (nel giugno 2004).

A proposito di 11 settembre. Ancora una volta qualcuno obietterà: «ma voi dimenticate la tragedia dell’11 settembre 2001!». Rispondiamo prendendo a prestito le parole di don Raffaele Garofalo (9): «Non si può pensare che, dopo l’attentato dell’11 settembre, gli Stati Uniti si siano guadagnata, di fronte al mondo, l’aureola di paese vittima innocente. Come commuove la sorte atroce subita dalle vittime delle Torri gemelle (esse sì innocenti), ugualmente dobbiamo essere sensibili al “terrorismo di stato”, agli spregiudicati interventi nordamericani nella politica di altre nazioni in tutto il mondo».
Racconta Ettore Masina, scrittore cattolico: «Ci sono momenti in cui uno si odia per avere avuto ragione: (…) più di vent’anni fa scrissi che le guerre che i poveri avrebbero, prima o poi, cercato di combattere per uscire dalla loro oppressione sarebbero state “naturalmente” feroci. Non possedendo mass-media per illustrare le sofferenze del proprio popolo né trovando chi se ne faccia portavoce, la disperazione dei miseri non può che portarli a creare eventi tanto terribili da costringere giornali e televisioni a registrarli con clamore; (…) convinti, sino al suicidio, che per i loro figli i paesi dominanti non abbiano pietà, essi stessi non sentono pietà per gli innocenti travolti nelle loro imprese. (…) Chi ha occhi per vedere, con la lucidità che tutti dovremmo conservare, sa che la guerra dei poveri è disumana perché essi sono stati disumanizzati. (…) Considero anch’io il terrorismo una spaventosa minaccia (…) ma so che accanto a me, dalla mia parte (che io lo voglia o no, e quindi con mia inevitabile complicità), c’è chi, da posizioni dominanti, nelle sedi e istituzioni in cui dovrebbe articolarsi una civiltà fratea o almeno attenta a un po’ di giustizia, provoca, alimenta e spesso sfrutta la collera dei poveri: quella collera che quasi cinquant’anni fa già il grande papa Paolo VI sentiva crescere nelle viscere della storia e inutilmente ci additava nella sua enciclica Populorum progressio» (10).
Sulla stessa linea interpretativa un altro prete, don Gianfranco Formenton (11): «Non c’è nessuna differenza, se non nelle parole e nelle proporzioni, tra un terrorismo degli eserciti regolari e un terrorismo fatto di bande armate al servizio di qualche mente malata. Uccidono, inesorabilmente, implacabilmente, gli uni e gli altri. (…) I criminali-terroristi sono tra le grotte delle montagne dell’Afghanistan e tra i palazzi del potere occidentale. Gli uni e gli altri si alimentano a vicenda».

A proposito di anti-americanismo.Qualcuno obietterà: «Criticare la politica di Bush è anti-americanismo ed essere anti-americani significa schierarsi con i nemici dell’Occidente!».
«No – ha detto Boutros-Ghali -, non esiste alcuno scontro di civiltà. Ci sono, piuttosto, conflitti tra ricchi e poveri, tra stati sempre più ricchi e continenti sempre più drammaticamente poveri».
Dopo l’11 settembre, Bush ha potuto introdurre norme che riducono drasticamente le libertà civili dei suoi connazionali, dichiarare guerra all’Afghanistan, rinchiudere i prigionieri nella grande Bastiglia di Guantanamo, voltare le spalle all’Onu ed invadere l’Iraq, concedere appalti e commesse alle industrie di famiglia della sua amministrazione, dissipare l’attivo del bilancio e accumulare un considerevole passivo, predicare la democrazia in una parte del mondo e sostenere i regimi repressivi dei paesi di cui ha bisogno. Affermazioni, tutte queste, non di un presunto «anti-americano», ma di un illustre estimatore degli Stati Uniti (12).
Moises Naim, direttore dello statunitense Foreign Policy, ha scritto: «Come dimostrano i sondaggi, l’anti-americanismo è il più diffuso dei sentimenti condivisi dalle opinioni pubbliche. Perciò all’estero è sempre più difficile per i politici difendere la causa degli Stati Uniti o collaborare con Washington» (13).
Dopo la rielezione di Bush, le reazioni delle cancellerie mondiali sono state caratterizzate da un freddo linguaggio di circostanza; soltanto pochi paesi – tra cui la Russia di Putin e l’Italia di Berlusconi – hanno pubblicamente giornito.
Si dice preoccupato don Aldo Antonelli: «Ritengo Bush estremamente pericoloso, non tanto per quel che è ma per il mondo che gli sta dietro e che lui rappresenta. Bush esce dall’ambiente del protestantesimo evangelico. I suoi biografi ufficiali ci dicono che legge la Bibbia ogni giorno. In effetti il presidente mostra una forte vocazione religiosa. Pensa di essere stato chiamato da Dio alla presidenza; dichiara l’unicità storica degli Stati Uniti, un paese scelto da Dio per redimere il mondo. Egli ha anche definito questa sua fede con un nome: “teologia della libertà”. È qualcosa di molto vago, che lui spiega con la volontà divina di liberare l’intero genere umano da oppressione e schiavitù. In questa visione, le truppe americane sarebbero uno strumento per promuovere la libertà voluta da Dio».

A proposito di media ed informazione. Sono in molti a criticare aspramente le due televisioni satellitari arabe: al-Jazeera (Qatar) e al-Arabya (Dubai). Si obietta: «Propagandano l’odio e lo scontro di civiltà», «Sono contigue ai terroristi». Sicuramente sono vicine al mondo arabo ed islamico di cui sono emanazione, ma i media occidentali sono super partes? Certamente no.
Troppo spesso chi non è d’accordo con l’interpretazione dei media dominanti o è un incapace o, peggio, è un connivente con il terrorismo.
Negli Stati Uniti, le televisioni come Fow News (appartenente a Rupert Mardoch, il magnate dei media mondiali) non sono di certo un esempio di correttezza. D’altra parte, la stragrande maggioranza degli statunitensi vede la tv e sicuramente non legge il New York Times, il quotidiano che la scorsa estate ha fatto pubblicamente una severa autocritica per non aver indagato sulle informazioni (poi rivelatisi false) foite dalla Casa Bianca rispetto all’Iraq e alle armi di distruzione di massa.
In Italia, la situazione dell’informazione è addirittura peggiore, perché, invece di spiegare ed aiutare a capire, sobilla, esagera, incita allo scontro. A settembre, il settimanale Panorama titolava in copertina: «Guerra all’Occidente». Nell’editoriale, il direttore Carlo Rossella scriveva: «La guerra contro l’Occidente, contro di noi, è stata dichiarata. I terroristi la combattono senza porre limiti alla barbarie. Meritano una risposta dura, spietata, unanime. Così li sconfiggeremo» (14).
In questo quadro, va inserito il linciaggio mediatico a cui sono state sottoposte le «due Simone»: Il Gioale, Libero, Il Foglio, La Padania si sono particolarmente distinti in questo gioco al massacro alquanto sospetto. Qualcuno ha addirittura utilizzato la morte di Jessica e Sabrina nell’attentato di Taba per coniare il termine di «anti-Simone» (15).
Quelle stesse Simone che si sono guadagnate la copertina di Time, il noto settimanale statunitense…(16).

A proposito di ambiente ed economia. George W. Bush considera l’ambiente una merce qualsiasi, invece che un unicum, con il risultato di aver contribuito a stravolgere, forse irreversibilmente, gli ecosistemi mondiali. L’affossamento del Protocollo di Kyoto (a novembre firmato anche dalla Russia), già di per sé totalmente insufficiente come strumento di preservazione ambientale, si accompagna al fatto che gli Stati Uniti sono, di gran lunga, il paese più inquinante del mondo (17). La mercificazione dell’ambiente rientra nella ideologia neoliberista, che considera il libero mercato alla stregua di un dogma.
Con sempre meno risorse e meno potere, gli stati sono schiacciati dalle politiche economiche neoliberiste, che privilegiano l’individuo e l’iniziativa privata rispetto alla collettività e al bene pubblico.
«La sfera pubblica – scrive Joel Bakan – è oggi sotto attacco. (…) Negli ultimi due decenni, le corporation hanno sferrato un’offensiva energica per far arretrare i suoi confini. Con le privatizzazioni, gli stati hanno ceduto alle corporation il controllo di istituzioni un tempo considerate “pubbliche” per natura. Nessun ambito è rimasto immune dall’infiltrazione. Le società di distribuzione dell’acqua e dell’energia elettrica, la polizia, i servizi di emergenza e i vigili del fuoco, gli asili nido, l’assistenza e la previdenza sociale, le scuole e le università, la ricerca scientifica, le prigioni, gli aeroporti, il sistema sanitario, il genoma umano, i mezzi di comunicazione, lo spettro elettromagnetico, i parchi pubblici e le strade sono stati tutti sottoposti, o stanno per esserlo, a una privatizzazione totale o parziale. (…) Basare un sistema sociale ed economico su queste caratteristiche è un approccio pericolosamente fondamentalista» (18).
Gli stessi statunitensi hanno visto allargarsi, nel 2003, la forbice sociale: 35,9 milioni di americani vivono sotto la soglia di povertà, mentre 45 milioni non hanno alcuna assicurazione sanitaria (19).
«Il sogno americano – ha scritto l’economista Jeremy Rifkin (20) – è troppo centrato sul progresso materiale personale e troppo poco preoccupato del benessere generale dell’umanità».
Secondo don Paolo Farinella, «l’America come popolo bianco (cioè quello che comanda) è immaturo, banale e superficiale… Chiede una cosa sola: non cambiare un tenore di vita che genera livelli di spreco strepitosi. Tutto il resto (il mondo, l’Iraq, ma anche Bush o Kerry) poco importa. Ciò che conta è il loro supposto benessere che, sebbene malato, deve essere mantenuto a spese del mondo (vedi protocollo di Kyoto, che anche Kerry si era impegnato a non firmare). Il welfare in America non c’è e non ci sarà, perché la società ha un fondamento religioso d’interpretazione, basato sul principio teologico vetero-protestante: la ricchezza è segno della benedizione di Dio, la povertà segno dell’abbandono: il ricco può essere compassionevole e fare l’elemosina, ma tu, mondo, grida sottovoce e non pretendere troppo».

A proposito di chiesa. Si chiamano Jackie Hudson, Carol Gilbert e Ardeth Platte e sono suore domenicane che stanno vivendo una condizione particolare (21). Sì, perché le tre religiose sono detenute in 3 carceri statunitensi: Jackie ad Adelanto (per 30 mesi), Carol a Alderson (per 33 mesi), Ardeth a Danbury (per 41 mesi). Sarebbe bello sapere quanti hanno letto o sentito parlare di queste 3 donne. Pochi, crediamo. Ma non necessariamente per colpa loro: è difficile che trasmissioni come Porta a porta, settimanali come Panorama o quotidiani come Il Gioale o Libero parlino di un fatto simile. Troppo dirompente, troppo poco «moderato» e soprattutto troppo foriero di messaggi inadeguati in tempi di guerra permanente. Suor Jackie (di 69 anni), suor Carol (56) e suor Ardeth (67) sono in carcere perché il 6 ottobre 2002 sono entrate nella base missilistica di Greeley (vicino a Denver, nel Colorado) per protestare contro i missili a testata nucleare lì custoditi.
Se non fossero sufficienti Jackie, Carol e Ardeth, ci piacerebbe sentire l’opinione di padre Roy Bourgeois, missionario di Maryknoll, che nelle prigioni Usa ha trascorso più di 4 anni per aver protestato contro la School of the Americas, la scuola degli assassini (22). «L’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti – scrive padre Bourgeois – ha reso molto più difficile protestare in questo paese, soprattutto davanti alle basi militari. Il cosiddetto Patriot Act e il Dipartimento per la sicurezza nazionale (Department of Homeland Security), creati dopo la tragedia dell’11 settembre, rendono difficoltoso agli attivisti dei diritti umani l’organizzazione di qualsiasi manifestazione per la pace e la giustizia».

A proposito di futuro. In questo quadro, cosa ci riserveranno i prossimi anni? Se Bush proseguirà sulla strada intrapresa durante il suo primo mandato, probabilmente ci saranno altre guerre preventive (Iran?, Siria?, Sudan?, Corea del Nord?, ma rischiano pesanti interferenze anche Cuba e Venezuela) e una recrudescenza del terrorismo su scala mondiale. Verranno sprecate risorse immense per la corsa ad armamenti sempre più sofisticati, sottraendole ad impieghi utili a rendere il mondo un luogo più vivibile: per ridurre le diseguaglianze, per preservare un ambiente sempre più disastrato.
Insomma, con George W. Bush ancora alla Casa Bianca, è difficile intravvedere un futuro di tranquillità per l’umanità, a meno che, sul palcoscenico della politica mondiale, non si affaccino nuovi attori-protagonisti (l’Europa, purché non divisa, per esempio) in grado di contrastare il monologo statunitense. Nella speranza di essere smentiti dai fatti, al momento abbiamo una sola certezza: passati i prossimi 4 anni, George W. Bush non potrà più essere rieletto.

BOX 1

VITTIMEisraeliani 960

(dal 28 settembre 2000 al 3 nov. 2004)

• in Iraq:

civili iracheni 14.304-16.439
soldati coalizione 1.301
di cui soldati statunitensi 1.155
soldati iracheni 4.895-6.370
resistenti iracheni (*) 24.000

(dal 19 marzo 2003 al 10 nov. 2004)

Altre ricerche:
100.000 morti civili, secondo uno studio pubblicato il 29 ottobre dalla rivista medica internazionale The Lancet (www.thelancet.com); lo studio è stata effettuato dalla scuola di medicina pubblica della Johns Hopkins University, dalla scuola di infermieristica della Columbia University e dalla Mustansiriya University di Baghdad.

(*) «Iraqi resistance fighters» o «insurgents», secondo la definizione di Foreign Policy e dei maggiori media Usa.

Fonti:
• Foreign Policy in Focus,
Washington (Usa)
• www.iraqbodycount.net
• http//icasualties.org/oif
• Afp / Internazionale

NOTE

(1) Secondo un’inchiesta internazionale della GlobeScan e dell’Università del Maryland, in un’ipotetica votazione in 35 paesi di tutti i continenti George W. Bush vincerebbe soltanto in 3 stati (Polonia, Nigeria e Filippine). Risultati similari sono stati raggiunti dai sondaggi del Pew Research Centre e del quotidiano inglese The Guardian (15 ottobre).
(2) Testuale: «The best recruiting sergeant ever for al-Qaida». Si veda Corriere della sera del 20 settembre e The Guardian del 21 settembre.
(3) Si veda l’articolo di Nicholas Kristof sul New York Times del 9 ottobre 2004: «Dreaming in Kabul».
(4) A questa conclusione giunge «Military balance 2004-2005», l’annuale rapporto dell’Iiss. Su al-Qaeda: Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli 2004.
(5) Discorso d’apertura della 59.a sessione, 21 settembre 2004. Kofi Annan aveva già parlato di «guerra illegale» in un’intervista concessa all’inglese BBC il 16 settembre.
(6) Intervista realizzata da Marc Innaro (Rai), 3 ottobre 2004.
(7) Sul quindicinale Adista del 2 ottobre 2004.
(8) La cifra è quella pubblicata da The Lancet (vedere il box con tutte le statistiche). Essa è nettamente più alta di quella foita e continuamente aggiornata sul sito: www.iraqbodycount.net.
(9) Da «Terrorismo e politica del terrore» su Adista del 18 settembre 2004.
(10) Ettore Masina, «Lettera 100», settembre 2004.
(11) Su Adista del 25 settembre 2004.
(12) L’ex ambasciatore Sergio Romano sul Corriere del 3 novembre 2004.
(13) Moises Naim sul settimanale L’Espresso del 30 settembre 2004.
(14) Panorama del 16 settembre 2004.
(15) Pierluigi Battista su La Stampa del 12 ottobre 2004. Altra stranezza: il Corriere del 22 ottobre si è scandalizzato – con un corsivo in prima pagina – del linguaggio utilizzato da un magistrato di Bari, che ha definito gli ex ostaggi Cupertino, Stefio, Agliana e Quattrocchi dei «mercenari», ma non ha usato parole altrettanto severe per chi ha insultato le 2 Simone.
(16) Time, 11 ottobre 2004.
(17) Sulle disastrose politiche ambientali di Bush, si veda Robert F. Kennedy jr., «Crimes against nature» (Crimini contro la natura), Harper Collins, 2004.
(18) Joel Bakan, «The corporation: la patologica ricerca del profitto e del potere», Fandango 2004. Bakan è professore di diritto costituzionale all’Università British Columbia di Vancouver.
(19) Dati del Census Bureau, l’Istat statunitense: nel 2003, 35,9 milioni di persone vivevano sotto la soglia di povertà, 1,3 milioni in più rispetto al 2002. In rapporto alla popolazione totale, significa che 1 cittadino su 8 della nazione più ricca del mondo è povero. Sempre nel 2003, il numero delle persone senza copertura sanitaria è salito a 45 milioni, 1,4 in più rispetto al 2002: il 15,6% della popolazione Usa.
(20) Jeremy Rifkin, Il sogno europeo, Mondadori 2004. Sugli stessi temi anche il libro dell’inglese Will Hutton, Europa vs Usa, Fazi 2004. Mentre sono opposte le tesi espresse da Robert Kagan, Il diritto di fare la guerra, Mondadori 2004. Dello stesso autore, Paradiso e potere, considerato una sorta di manifesto del neoconservatorismo statunitense.
(21) Informazioni sulle tre suore incarcerate su www.domlife.org (il sito delle suore domenicane degli Usa) e su www.jonahhouse.org (sito Usa di solidarietà). Vi si trovano anche gli indirizzi a cui spedire eventuali lettere.
(22) La School of the Americas oggi si chiama «Weste Hemisphere Institute for Security Cooperation» (Whinsec) ed ha sede a Fort Benning, in Georgia. Per conoscere la storia di Roy Bourgeois, si legga il libro di Mike Wilson, Padre Roy contro il Pentagono. Il prete anti-terrorismo (americano), Edizioni San Paolo, 2004.

Paolo Moiola

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