ITALIAIl brivido della missione

Con il terzo Convegno missionario nazionale la chiesa italiana si è messa in ascolto delle esperienze
di evangelizzazione delle chiese sorelle nei vari continenti e ha preso nuovo slancio per continuare il cammino del suo impegno missionario, nella comunione e corresponsabilità di tutti i battezzati.
Riportiamo la testimonianza di un prete cinese.

Oltre 1.800 delegati di diocesi, istituti religiosi, laici impegnati nell’evangelizzazione hanno partecipato al terzo Convegno missionario nazionale, tenuto a Montesilvano (PE) dal 27 al 30 settembre scorso.
Incentrato sul tema «Comunione e corresponsabilità per la missione», il convegno si è tradotto in uno «sforzo per disceere, verificare e dare nuovo dinamismo alle strutture di comunione per l’unica missione nella quale tutti i membri della chiesa e gli organismi sono impegnati», come afferma il messaggio finale alle chiese italiane, con lo scopo di «consolidare e dare nuovo slancio all’attività di evangelizzazione».
Nelle assemblee e lavori di gruppo, nelle conferenze e incontri di preghiera, sono riecheggiati come ritoelli alcuni principi fondamentali: la vocazione missionaria di ogni credente, in forza del battesimo; il ruolo imprescindibile del laicato nell’opera di evangelizzazione; la necessità di allargare lo sguardo oltre il proprio ambiente e i propri problemi, per salvare tutta l’umanità che attende ancora di incontrare Cristo e la sua buona notizia.
Per tutti i quattro giorni, è stato ribadito, come un chiodo fisso, che «solo in Gesù Cristo l’umanità può trovare e divenire quella famiglia quale Dio l’ha intesa nel crearla»; che «si parte in nome di Cristo e per proclamare e testimoniare Cristo», altrimenti si ritorna indietro alle prime difficoltà.
Grande spazio e risonanza hanno avuto le esperienze delle chiese in Africa, Asia e America Latina, in cui la fedeltà a Cristo e al suo vangelo ha spesso il martirio come sbocco naturale. Riportiamo, come esempio, la testimonianza di un giovane sacerdote cinese, per nove anni in prigione, ora studente in una università romana. Per motivi di prudenza, tralasciamo ogni dettaglio che possa ricondurre alla sua persona.

«Sono un sacerdote della Cina continentale. La chiesa cinese è strettamente legata a quella italiana, poiché a trasmetterci per primi il messaggio del vangelo sono stati i missionari italiani, come il francescano Giovanni da Montecorvino e il gesuita Matteo Ricci, due nomi che nessun cristiano cinese potrà mai dimenticare».
In Cina la chiesa ha vissuto la stessa esperienza di quella dei primi tre secoli in Italia: dalla prima trasmissione del vangelo a oggi, la persecuzione religiosa è stata una realtà sempre presente.
«Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani». Nell’anno del grande giubileo del 2000, il papa ha canonizzato 120 martiri cinesi, rappresentanti di una grande folla di testimoni uccisi durante la ribellione dei Boxer (1900).
Nel periodo della «rivoluzione culturale» (1966-1976), nella mia diocesi decine di fedeli, vescovi, sacerdoti, suore e laici, hanno testimoniato la fede con la propria vita. Il più eminente tra questi testimoni è un anziano laico: poiché si rifiutava di abbandonare la fede cristiana, fu ucciso davanti alla folla, immerso in acqua bollente.
Per diversi sacerdoti il governo comunista scelse una pena «meno dura»: furono rinchiusi in piccole gabbie come cani, dove non potevano alzarsi, né allungare le gambe, né soddisfare liberamente ai bisogni naturali. Molti hanno resistito per vari anni in tali condizioni, finché sono morti sotto una tortura così crudele.
Questo capitava oltre 30 anni fa. Attualmente, 2 vescovi, 15 sacerdoti e 2 diaconi della mia diocesi sono ancora in prigione a causa della loro fedeltà a Dio e al papa. Ancora oggi, il governo cerca con ogni mezzo di costringerli a rompere le relazioni con il papa e il Vaticano ed entrare nella cosiddetta «Associazione patriottica», una chiesa indipendente dal papa, creata dal governo.

Io stesso, accusato di aver organizzato dei pellegrinaggi, sono stato in prigione ripetutamente a causa della fede e della fedeltà al papa; l’ultima volta rimasi in carcere dal 1996 al 13 luglio 2002, quando, grazie alle pressioni della società internazionale, fui liberato, espulso dalla patria e pervenuto in Italia.
Si sa, la prigione è un luogo orribile dappertutto; ma le condizioni di vita in un carcere cinese sono inimmaginabili e indescrivibili: a parte la perdita di ogni libertà personale, le più fondamentali necessità per una vita umana diventano un problema. I pasti consistono di uno o due panini cotti al vapore (mantou) e senza le minime condizioni igieniche; la carne non la si vede quasi mai. Non si può fare un bagno.
In una cella sono rinchiusi fino a 30 persone. Si vive insieme a criminali di ogni genere: assassini, ladri, truffatori, sequestratori, venditori di bambini…, che si tormentano a vicenda, fino a picchiarsi senza pietà. Non esistono tra loro sentimenti di amore o compassione. Le violenze peggiori vengono dai condannati alla pena capitale. Altri sono diventati violenti e sfogano sui nuovi arrivati la loro rabbia per i tormenti subiti all’inizio della loro prigionia. Vendette che ho subito anch’io.
Non avevo mai fatto nulla di male in vita mia; eppure dovevo vivere insieme ai più crudeli assassini, condividere la stessa stanza, dormire sullo stesso letto, essere trattato come loro… Tutto ciò mi procurava dolore e rabbia: era una situazione che non riuscivo ad accettare.
Poi, riflettendo sulla mia vocazione e la mia vita, nella preghiera e nel ricordo della parola di Dio, mi sono calmato e ho maturato reazioni più serene: sentivo che stavo camminando sulla stessa strada percorsa da Gesù.

Avevo un gran desiderio di ricevere la santa comunione, perché Gesù rafforzasse la mia debolezza. Ma nelle carceri cinesi ciò è impossibile. Anzi, come prigioniero a causa della fede, i poliziotti mi guardavano con speciale attenzione.
I criminali comuni possono ricevere varie cose dai parenti; ai prigionieri politici, invece, non è consentito avere contatti con la gente estea, neppure con i familiari, tanto meno ricevere da loro alcunché.
Desideravo tanto celebrare la messa, ma era impossibile procurarsi del vino, dal momento che, secondo le usanze cinesi, uniche bevande che accompagnano i pasti sono la birra e una specie di grappa.
Finalmente qualcuno riuscì a farmi avere di nascosto un po’ di vino. Ero pieno di gioia. Lo stesso giorno, per la prima volta dopo anni di prigione, celebrai la santa messa. Certamente fu la più semplice delle liturgie mai celebrate in tutto il mondo, senza altare, né tovaglie, né calice, né patena, ma soltanto alcune gocce di vino in una mano e un pezzo di pane nell’altra.
Le lacrime mi scendevano dagli occhi: il Creatore dell’universo veniva nel mondo, ma per lui non c’era posto; per il suo sacrificio non c’era alcun altare, come sul Golgota; il Figlio di Dio si degnava di entrare nella nostra prigione, piena di peccati e di odio.
Consumai in fretta il corpo e sangue di Cristo, che gli altri guardavano come cibo e bevanda normale. Poi, in silenziosa meditazione, ripensai alcuni momenti della vita di Gesù che più assomigliavano all’esperienza che stavo vivendo in quel momento della mia esistenza.
Dopo quella celebrazione eucaristica, il mio atteggiamento mutò completamente: una grande pace invase il mio cuore; accettai pienamente e con gioia tutte le sofferenze causate dalla prigionia. In quel momento capii veramente le parole di Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi darò sollievo» (Mt 11,28).

Con la pace del cuore, la mia vita quotidiana diventava relativamente più facile: potevo ridere, scherzare, dimenticare le preoccupazioni. Gli altri prigionieri trovarono strano che, da un momento all’altro, non fossi più depresso e quasi non sentissi più alcuna sofferenza. Ne approfittai per condividere con loro la mia esperienza, benché la legge cinese proibisca assolutamente di parlare del vangelo ai prigionieri.
Mi resi conto come queste persone, che avevano perduto ogni speranza nella vita, avessero bisogno della buona notizia di Cristo Gesù. Non era facile parlare a persone che mi avevano accolto con odio, mi avevano picchiato, che non sapevano che cosa fosse un sacerdote, che non avevano mai sentito parlare di Gesù.
Ma col passare del tempo, ci siamo conosciuti meglio, fino a entrare in confidenza e familiarità. I loro cuori pieni di odio sono cambiati. Dalle mie parole e atteggiamenti hanno capito che il sacerdote è una persona buona. Nelle conversazioni ho cercato gradualmente di fare conoscere la nostra fede, di illuminare il significato della vita e della morte, di trasmettere la speranza che avevo in cuore.
Quando parlavo di queste verità tutti i compagni di prigionia erano attenti e accettavano le mie parole. Da quel momento sono diventato il loro centro di attenzione. Ogni giorno presentavo segretamente qualche aspetto del vangelo.
Dopo alcuni mesi, il clima era completamente mutato: la pulizia era regolare, i prigionieri non gridavano, non bestemmiavano, non si picchiavano come erano soliti fare prima; anzi, essi cominciarono ad aiutarsi e incoraggiarsi a vicenda. Quando mi raccoglievo in preghiera, nessuno mi disturbava.
I poliziotti della prigione si meravigliavano e non riuscivano a spiegarsi che cosa fosse successo. Ogni volta che passava l’ispezione per controllare ordine e igiene, la nostra cella otteneva encomi e premi.
Il vangelo di Cristo aveva cambiato il modo di vivere di molti prigionieri, dava loro nuovo coraggio per diventare umani. Alla fine, alcuni di essi chiesero di essere battezzati e di fare parte della chiesa.
È superfluo dire che, nonostante la vita in prigione fosse dura, mi sentivo pienamente realizzato come sacerdote, nel constatare come, attraverso la mia presenza, molti funzionari e criminali avessero cominciato a comprendere la chiesa e il vangelo di Cristo.

Dopo 300 anni di persecuzione, la chiesa di Roma riacquistò la completa libertà. Anche la storia della chiesa in Cina è segnata da secoli di persecuzione, ma sono convinto che Dio stia preparando la sua liberazione. Come cristiani e cattolici, dobbiamo affrontare tanti problemi, eppure la chiesa cresce velocemente, più che in tanti paesi liberi.
Ciò che più sorprende è che, proprio durante la persecuzione, il Signore della messe ha inviato un gran numero di operai e che durante i 20 anni di apertura politica (dalla metà degli anni ’80) si è registrata una crescente fioritura di vocazioni. Il fervore dei giovani missionari cinesi è indescrivibile.
Con la grazia speciale di Dio, il numero di nuovi cristiani è aumentato in fretta. In un piccolo villaggio, per esempio, dove tre anni fa non c’era alcun cristiano, oggi quasi tutti i 3.000 abitanti sono entrati nella chiesa mediante il battesimo. La ragione di tale crescita non è dovuta soltanto al lavoro dei sacerdoti, ma ogni cristiano è diventato missionario attivo.
Persiste ancora la pressione del governo sui cattolici, ma essa ottiene l’effetto contrario: i fedeli si uniscono più strettamente alla chiesa, ne sostengono le iniziative e si assumono le responsabilità nel lavoro pastorale. I cattolici uniti al papa sono oltre 6 milioni, numero superiore ai seguaci della «chiesa patriottica». Siamo ancora come una goccia nell’oceano, rispetto alla popolazione totale del paese, che conta 1,3 miliardi di abitanti. Eppure sono convinto che, con la grazia di Dio e l’impegno dei suoi sacerdoti e fedeli, in un futuro non troppo lontano, la chiesa in Cina potrà godere di una libertà come non ne ha mai avuta. Allora, il gigante cinese spalancherà le porte a Cristo e diventerà una forza di pace per tutta l’umanità.

Benedetto Bellesi

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