DOSSIER KENYASETE DI ACQUA, PACE E GIUSTIZIATratta di esseri umani

Mete turistiche rinomate a livello internazionale, Malindi, Mombasa e altre città della costa del Kenya sono teatro del sordito commercio di esseri umani, esportati anche… in Italia.

Appena tramonta il sole, su Malindi scende la confusione. Nel resto del paese, la gente si affretta verso casa per godersi il meritato riposo, qui si sveglia per la seconda volta.
Città della costa kenyana, con circa 300 mila abitanti, sfacciatamente ricca, Malindi può essere scambiata facilmente per un distretto a luci rosse di un’affaccendata e spensierata città europea, come Amsterdam.
Quanti turisti, sdraiati sulla spiaggia, fissano il cielo come se stessero aspettando che le stelle portino loro un messaggio da casa! Bambini che si rincorrono sulla sabbia, sotto la pallida luce della luna. Ragazzi scarsamente vestiti, abbordano i turisti con cenni fin troppo allusivi. Le ragazze sfrecciano da una strada all’altra come in pieno giorno. Cosa fanno? Non è difficile scoprirlo.
Come una luce nell’oscurità attira a sé gli insetti, lo splendore di questa città costiera, attira gente da ogni dove. Ricchi turisti fioccano per le vacanze; piccoli e grandi investitori, locali e stranieri, vengono per fare affari… e i poveri si affollano per raccogliere le briciole.
Queste ragazze che si crogiolano nell’affascinante notte di Malindi fanno parte dell’ultimo gruppo. Non hanno soldi per alloggiare in albergo, tanto meno da investire in affari, vengono per vendere se stesse.
Oltre alle donne, ci sono i cosiddetti «ragazzi di spiaggia». Molti di essi vengono da comunità pastorali: non vendono souvenir, né si esibiscono in danze tradizionali per rallegrare la vita nottua degli alberghi. Sono pronti a procurare ragazze su richiesta, a procacciare avventure esotiche a donne straniere o diventare essi stessi un brivido di giovinezza per vecchie e ricche turiste d’oltremare.

LUCCIOLE
Padre Linus Jappani, incaricato del turismo presso la Commissione giustizia e pace della diocesi di Malindi, accusa la povertà che regna lungo la costa e nelle regioni circostanti: è questa che spinge le ragazze alla prostituzione.
Oltre a organizzare la celebrazione della messa in diverse lingue, per i turisti cattolici presenti negli alberghi della costa, padre Jappani ha il compito di togliere tali ragazze dal marciapiede. Il suo lavoro non è un letto di rose, dice: «Convincere le ragazze ad abbandonare tale vita non è un compito facile, perché non ho nulla da offrire come alternativa, una volta uscite dal giro».
Durante l’intero anno in cui egli è uscito per parlare alle ragazze, è inciampato in varie realtà. La maggior parte di queste ragazze non sono del posto, ma vengono dalle regioni intee del Kenya; molte di loro sono state raggirate, ingannate e spinte alla prostituzione. Sono poche le donne che battono tale strada volontariamente per arricchire in fretta; moltissime quelle che ci cadono per inganno.
Suor Lucy Kerubo, della Commissione giustizia e pace della diocesi di Malindi, tenta di chiarire le loro origini: dice che queste ragazze vengono da ambienti poverissimi, per lo più da zone rurali. Solo un quarto di esse sono locali (dell’etnia giriama). Molte vengono da Kitui, nel Kenya orientale, zona famosa per la sua disperata povertà.
È chiaro che qualcuno ci guadagna su questa disperazione, sempre pronto a rifornire il mercato di ragazze per qualsiasi occorrenza. La clientela è abbondante: l’afflusso di turisti lungo la costa, le navi militari straniere che attraccano a Mombasa fanno andare gli affari a gonfie vele.

TRAFFICO UMANO
L’Onu definisce il traffico umano come «reclutare, trasportare, trasferire, alloggiare una persona per mezzo di minacce o uso della forza o altre forme di coercizione, rapimento, frode, inganno, abuso… a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento include la prostituzione altrui, lavoro forzato, schiavitù, rimozione di organi».
I paesi di tutto il mondo hanno sperimentato differenti livelli di traffico di esseri umani. I casi più grandi sono negli Stati Uniti, dove ogni anno, secondo il Catholic Relief Services (Crs), oltre 2 milioni di persone (per lo più donne e bambini) sono oggetto di traffico.
A riguardo dell’Africa, si è parlato di bambini uccisi e i loro organi asportati e venduti al mercato nero internazionale; di ragazze portate in Europa, Americhe e nei paesi asiatici ricchi per essere ridotte a schiave del sesso; di giovani venduti e costretti a lavorare nelle lucrative piantagioni di vari paesi africani; altri sono rapiti per combattere nelle numerose guerre che continuano a insanguinare il continente.
Dopo il quasi collasso dell’economia, la perdita del lavoro e la crescente povertà nelle aree rurali e urbane, molti kenyani sono stati costretti a stili di vita inimmaginabili. I trafficanti ne hanno approfittato, facendo promesse di impieghi ben remunerati e buone condizioni di vita: disperazione e false promesse fanno molte vittime.
Ottenere notizie dettagliate sul traffico umano in Kenya è praticamente impossibile, poiché l’affare è condotto in estrema segretezza. Molte organizzazioni hanno cercato di seguire varie piste; ma molte tracce finivano nel nulla. «Nessuno parla del traffico umano e di prostituzione in piena luce; avere dettagli è un’impresa difficile» dichiara Juma Kamau, un operatore sociale della diocesi di Mombasa.
Tuttavia, i rapporti dell’Associazione delle religiose del Kenya (Aosk), della Commissione giustizia e pace delle diocesi di Malindi e Mombasa, di Solwodi (Solidarity with women in distress, organizzazione ecclesiale che cerca di riabilitare le ragazze dalla prostituzione) hanno raccolto alcune informazioni, ancora alquanto nebulose, sul traffico di donne, specialmente di ragazze.

UNA RETE PERVERSA
La rete coinvolta in questo lurido commercio serpeggia lungo una strada che dalle spiagge penetra nei villaggi rurali del Kenya, anche lontanissimi, come quelli della regione di Kakamega, nell’ovest del paese. Donne mature si recano in questi villaggi e convincono i genitori di ragazze con promesse di impieghi ben pagati nei grandi alberghi della costa.
Gli accordi sono fatti con tale astuzia che le ragazze, spesso analfabete, sono incaricate di gestire modei congegni, difficili da maneggiare con efficienza. Quando questi si rompono, le giovani sono ricattate e costrette ad assumere un altro compito che il datore di lavoro offre loro per ripagare il debito.
Padre Jappani fa capire che le mafie coinvolte nel traffico umano operano da diversi bordelli, camuffati da case residenziali o ville lungo le città costiere di Malindi, Kilifi, Watamu e Mombasa. I proprietari di queste case, spesso locali donne d’affari con connessioni ad alto livello, impiegano buttafuori: guai a chi tenta di ficcarci il naso. «Visitare qualsiasi di questi sospetti bordelli è un suicidio: non se ne ritorna vivi» ammonisce.
Quando non ci sono clienti, le padrone costringono le ragazze a lavorare nei saloni per massaggi o di parrucchieri. Questi luoghi diventano una passerella, per mostrare le ragazze in vendita.
Queste padrone, inoltre, assumono intermediari che vanno sulla spiaggia e accolgono i turisti appena mettono piede negli alberghi, per poi portarli nelle case dove le disperate ragazze sono ormai disposte a tutto per sopravvivere.
La signora Emma Ndonye, della Commissione giustizia e pace di Mombasa crede fermamente che queste ragazze sono state usate per scattare film poografici per il mercato internazionale.
Alcuni turisti, poi, hanno iniziato attività alberghiere in Kenya e attirano i propri concittadini con l’offerta di ragazze. In prossimità della stagione turistica, essi ricorrono a inserzioni pubblicitarie per offerte di lavoro. «Perché arruolano ragazze sprovvedute, invece di esperte intrattenitrici?» domanda la signora Emma. «Di fatto, è evidente perché alcuni di questi turisti, che possiedono case residenziali nel paese, impiegano tanti domestici proprio quando aspettano i visitatori».

PER VIE TRAVERSE
Se un turista vuole una ragazza da portare in patria, gli basta solo sborsare un po’ di denaro e il proprietario di un bordello organizza un frettoloso matrimonio con il personale che lavora nel suo locale.
Così la ragazza finisce sui marciapiedi europei, spesso sotto gli stessi padroni che operano in Kenya. La strada per l’«esportazione» varia a seconda della destinazione. In Italia esse arrivano con voli diretti, oppure sono trasportate furtivamente, passando per l’Egitto. Quando i trafficanti sospettano di essere seguiti, passano per differenti paesi, in modo da far perdere le tracce, prima di atterrare in Italia.
Altre destinazioni sono la Germania e l’Olanda. Una volta nella nuova terra, donne e ragazze sono costrette a prendere nuovi nomi, poiché i trafficanti confiscano i loro documenti. Quelle che riescono a tornare a casa, raccontano atroci storie di sofferenze e agonia.

POVERTÀ E MOLTO PIÙ
La povertà è la causa principale della prostituzione; ma anche i genitori sono colpevoli, negando ai loro figli l’appoggio morale di cui hanno bisogno o, addirittura, spingendoli praticamente sulla strada.
«A volte sono i genitori stessi a comandare ai figli di uscire a procurare cibo e denaro per gli altri membri della famiglia» lamenta la signora Emma. E racconta la storia di una ragazza di Kilifi: fu venduta a 9 anni; tornata a casa dopo la morte della madre per Aids, diventò la concubina del suo genitore; dopo pochi mesi morì anche il padre; dovendo sostenere i suoi fratellini, la ragazzina continuò a prostituirsi, finché la sua tenera vita fu barbaramente stroncata: per il disaccordo sul pagamento con un cliente, fu assassinata e il suo corpo buttato sul ciglio della strada.
Un agiato dentista di un paese europeo, era solito vantarsi con i suoi coetanei di avere quattro giovani sorelle tutte per sé quando era in vacanza a Malindi. La prima ragazza la ottenne dopo aver pagato al padre una certa somma di denaro; poi, aumentando la cifra, ebbe la seconda figlia; quindi la terza e la quarta: tutte con il consenso dello sciagurato genitore.
Nelle città lungo la costa la situazione sembra essere andata fuori controllo: l’ingannevole fascino della ricchezza facile e in fretta ha intrappolato perfino coppie sposate. Pur di fare soldi, alcuni mariti concedono alle mogli di andare a caccia di turisti. A Kilifi capita pure il contrario, racconta la signora Emma; alcune mogli permettono ai mariti di cercarsi una donna facoltosa. «Mariti che portano un’altra donna nel letto matrimoniale è parte delle storie che le donne di etnia mijikenda si raccontano alla fontana» lamenta.

SPERANZA DI RIABILITAZIONE
Il timore che i genitori trasmettano tale modello di vita ai propri figli ha indotto la diocesi di Mombasa a lanciare il progetto Solgidi (Solidarity with girls in distress, emanazione di Solwodi) per aiutare le bambine nate da genitori dediti alla prostituzione, affinché non seguano i loro passi. «Cerchiamo di far sì che i genitori non trascinino i loro figli nel loro sistema di vita notturno, sponsorizzando le ragazze in scuole piuttosto lontano dai loro genitori» dice Agnes Maillu, direttrice del programma Solgidi.
Padre Linus, la cui commissione si occupa della riabilitazione delle ragazze spinte in tale commercio da circostanze fuori del loro controllo, dice che molte ragazze sono disposte a smettere e avere una vita più decente; ma insistono perché, prima di cambiare, si procuri loro un’alternativa per poter sopravvivere. «Qualcosa sta muovendosi – continua padre Linus -. Varie persone ci aiutano in tale riabilitazione, collaborando con la diocesi di Malindi».
Rimane ancora il problema delle ragazze imprigionate in ville e residenze private. La signora Emma ha raccolto varie idee, per liberarle e trovare lavori alternativi, ma per ora è impossibile realizzarle, conclude amaramente: «Tutti sanno che quelle case sono zone proibite».

BOX 1

«MANI PULITE» MADE IN KENYA

Lo sapevano tutti, ma non si osava parlarne in pubblico. Sui giudici circolavano i nomignoli coloriti: iena imparruccata, bigliettaio, kifagio (spazzino), raccatta palle, sticky fingers (dita adesive), toga puzzolente, mani unte, casello daziale… La gente diceva: «Non sprecare i soldi con gli avvocati. Paga il giudice».
Ma bisogna dare atto al governo di Kibaki, per avere avuto il coraggio di rivelare in pubblico il marciume accumulato negli ultimi 25 anni del regime di Moi.
Le due inchieste in corso, Goldenberg e quella sui giudici corrotti, sono solo una parte delle tragiche vicende occorse in Kenya sin dall’indipendenza, come i casi Ouko, Kaiser, Kariuki, Mboya, Pinto, Muge, Julie Ward, Boyles, Makenzie, Mbai e altri assassinati. E poi scontri tribali, con l’espulsione d’intere popolazioni; torture di Nyayo House, saccheggio degli enti parastatali, banche fatte fallire, elezioni truccate, appalti fraudolenti.
Per fare giustizia sui casi annoverati, occorrerebbe una pletora di costose commissioni. Per il momento, ci si può accontentare di portare avanti quelle in corso, dando atto al governo del coraggio dimostrato per metterle in atto.
Limitandoci alle vicende dei giudici corrotti, riportiamo le «tariffe» medie richieste dai giudici, a partire dai gradi più alti: giudice Corte d’Appello 166.600 euro; giudice dell’Alta Corte 16.600 euro; magistrato ordinario 1.660 euro; impiegato legale 56 euro.
Poi ci sono tariffe per i servizi speciali: 555 euro per la remissione per offese minori; 6 mila per l’assoluzione per offese gravi; 11 mila per il proscioglimento dalla pena capitale. Infine tanti servizi minori: rilascio sotto cauzione (110 euro), rinnovo della cauzione (220 euro); variazione delle condizioni di cauzione (145 euro); agevolazione generale nella sentenza (555 euro); procurare una condanna falsa (890 euro).
Inoltre, magistrati corrotti domandano una tangente del 10-30% per ogni risarcimento monetario concesso in casi d’assicurazione, incidenti ecc. Non tutte le «tangenti» sono basate su soldi contanti. Alcuni domandano favori sessuali, o doni materiali, da qualche bottiglia di whisky a un bue grasso a seconda delle disponibilità del cliente.
Mentre i magistrati di bassa categoria sono pagati una miseria, ossia circa 320 euro al mese, quelli delle alte sfere, che sono anche i più corrotti, vengono adeguatamente rimunerati: un giudice della Corte d’Appello percepisce da 2.100 a 4.750 euro al mese, a seconda della anzianità raggiunta, senza contare altri benefici di cui godono: autovettura con autista, guardia del corpo, alloggio sussidiato con personale di servizio, indennità varie in contanti, assicurazione, ferie generose ecc.
Attualmente, oltre una ventina di magistrati sono stati licenziati o hanno dato le dimissioni. Tuttavia l’operazione «mani pulite made in Kenya» durerà a lungo.
Dulcis in fundo: è appena arrivata la notizia che non tutti i giudici sono succubi alla tentazione delle «mazzette» in contanti. Altri cedono a lusinghe di carattere più umano o perfino sentimentale. Una giovane donna magistrato, mentre conduceva una causa di divorzio, s’invaghiva dell’uomo in questione, tanto da andarvi a coabitare insieme prima ancora del termine del processo. La sentenza fu emanata speditamente.
G. Ferro (da Eldoret, Kenya)

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