CIADLa cortesia di Dio
In Ciad si confrontano diverse religioni, le tensioni non mancano; piccoli, importanti passi vengono fatti.
Per scoprire che, alla fine, si può vivere insieme con rispetto e… simpatia.
Nei mesi trascorsi a Fianga, nel sud del Ciad, mi fu richiesto da parte del locale centro culturale giovanile di fare il punto sulle relazioni tra cristiani e musulmani in generale e, in particolare, nel Ciad. Una richiesta singolare, ma l’ho accolta volentieri, come una sfida. Non mi sono sottratto, soprattutto, perché si trattava di una richiesta fatta da giovani, che vivono in un ambiente assolutamente privo di mezzi per conoscere e consultare le fonti di informazione.
Il circolo culturale, composto da 170 studenti, dispone di una piccola biblioteca, messa insieme con l’aiuto dei padri della missione e organizza attività culturali con i modestissimi mezzi a disposizione.
La mia presenza in Ciad ha rafforzato in me la convinzione che la promozione della lettura, l’accesso all’informazione, il confronto di idee attraverso dibattiti e conferenze costituiscono una sfida sempre più urgente: la missione dovrebbe inserire queste attività tra le sue priorità.
Sia pure condotta con mezzi modestissimi e disorganizzazione impressionante, la scolarizzazione avanza anche nelle zone più recondite della savana. Ciò costituisce una grande sfida all’evangelizzazione.
PUNTINO NERO E CONTAGIOSO
Mentre preparavo la conferenza, si sono verificate alcune circostanze interessanti. Nel corso di una cena, offerta dai missionari all’imam e altri notabili musulmani del luogo, si ebbe modo di parlare di questa iniziativa e li si invitò a parteciparvi. Il direttore di una delle due scuole superiori di Fianga, un musulmano laureato in storia presso una delle università del Camerun, si è proposto di offrire il punto di vista musulmano su tale tema. Questo ha permesso un confronto simpatico e rispettoso, sia durante la preparazione immediata, sia nello svolgimento dell’incontro.
Con il termometro che oscillava tra i 41 e i 43 gradi, seduto sui banchi dell’area sacra, un folto gruppo di cristiani e musulmani (120 persone) hanno seguito la conferenza e partecipato appassionatamente al dibattito. Al termine mi è sembrato di cogliere gioia ed emozione, forse dovute al fatto di aver visto seduti fianco a fianco, laddove la domenica si mette la tavola dell’altare, un prete cristiano e un intellettuale musulmano. Essi parlavano tra di loro, con estremo rispetto, di divergenze, ma anche di possibili convergenze, non tanto sul piano dottrinale, ma almeno sul piano delle relazioni umane e di possibili prospettive comuni di azione.
Sono uscito da questa esperienza con la convinzione che una storia ormai lunga di rapporti cortesi e familiari tra missionari e imam stesse dando dei frutti che vanno nella giusta direzione, per offrire «uscite di sicurezza» a tutta la società planetaria, che si trova sempre più bloccata in vicoli ciechi.
Anche una sperduta missione nella brousse africana può e deve prendere posizione nei confronti delle fratture che portano il mondo verso conflitti sempre più aspri. Il microscopico puntino nero di Fianga non coltiva certo la pretesa di risolvere gli immensi problemi che ci agitano, ma può offrire il suo contributo esemplare e contagioso.
la tenda di abramo
Sulle relazioni tra cristiani e musulmani in Ciad, i vescovi hanno scritto interessanti documenti; ma le azioni concrete della chiesa ciadiana sono ancora più eloquenti. Tutte le attività di promozione umana nell’insegnamento, salute, cultura, sviluppo, movimenti giovanili, comunicazione sono messe a disposizione di tutti: cristiani, musulmani, animisti. Di più, all’interno di questi servizi e organismi della chiesa, spesso sono assunti dei musulmani, per lavorare a fianco dei colleghi cristiani.
La chiesa del Ciad ha creato strutture specifiche per favorire il dialogo interreligioso, specie quello cristiano-islamico, e può contare sulla competenza di alcuni esperti, come il gesuita Coudray, grande islamologo, profondo conoscitore della lingua araba, recentemente eletto prefetto apostolico di Mongo (Sudan).
A N’Djamena, inoltre, esiste un importante centro per l’incontro e il dialogo interreligioso, El Mouna, che pubblica una rivista di cultura (Carrefour), organizza conferenze e dibattiti, propone corsi di arabo e cura pubblicazioni sul tema.
Significativa è pure l’iniziativa della diocesi di N’Djamena di creare una parrocchia all’interno dei quartieri arabi della città, affidata al comboniano padre Renzo. Egli ha accettato con entusiasmo la sfida, anche se il lavoro è ancora tutto da inventare. Per il momento egli dispone di uno spazio recintato, coperto di stuoie, a cui significativamente ha dato il nome di «Tenda di Abramo».
IDENTIK MUSULMANO… O CRISTANO?
La gente cosa ne pensa, come vive concretamente le relazioni interreligiose? Nelle brevi visite ad alcune famiglie cattoliche di N’Djamena, ho ascoltato frequenti lamentele nei confronti dell’ex-arcivescovo e degli organismi ecclesiali di promozione umana: a loro giudizio, si occupano un po’ troppo dei musulmani. Sembrerebbe che i dirigenti della chiesa si trovino in una posizione più avanzata, rispetto all’insieme del mondo cattolico ciadiano.
Tuttavia, è nei quartieri popolari e nei villaggi che più frequentemente cristiani e musulmani vivono tutti i giorni gomito a gomito. È a questo livello che può nascere sia il maggior numero di conflitti, come il determinarsi di numerosissimi episodi di condivisione e aiuto reciproco.
Ne ho avuto la prova nel corso di un incontro tra i catechisti di Mokolo (Camerun), sul tema: «I punti di scontro, ma anche le cose belle che si possono mettere in evidenza nei rapporti tra cristiani e musulmani». Circa le motivazioni di contrasto, la maggior parte dei rilievi negativi non era di ordine dottrinale, ma nascevano su un terreno molto concreto: «Perché i musulmani non mangiano carne di animali, se non sono uccisi secondo un rito preciso? Perché vogliono imporre le loro osservanze a chi non condivide la loro religione?».
Tuttavia, le stesse persone, interrogate sugli aspetti positivi che potevano osservare tra i musulmani, hanno steso una lunga lista: tutti hanno riconosciuto il carattere di «oranti» che li contraddistingue; hanno sottolineato la loro obbedienza alla legge (religiosa) e la solidarietà in occasione di malattia o morte di qualcuno della loro comunità. Uno è arrivato a dire di aver visto un musulmano spogliarsi della sua gandura (sopravveste) per donarla a un portatore di handicap incontrato per strada.
Inoltre, lo stesso gruppo di cristiani ha riconosciuto come particolari virtù dei musulmani la fortezza, la pazienza, la ricerca della fedeltà a Dio, il compimento dei doveri religiosi, la preghiera… Tratti dell’identikit del vero cristiano!
In conclusione, la gente mantiene una posizione molto realista e pratica. Non è questione di sorvolare sui tanti motivi di scontro o sulle differenze, che rimangono sostanziali; se però si dà il tempo per andare a fondo, la gente è in grado di mettere in evidenza le ragioni di stima reciproca e di convivenza pacifica, talvolta carica di ammirazione.
Non sarà possibile praticare questo stesso metodo anche in Italia, sottraendo il discorso agli accesi dibattiti contrapposti (che non conducono a niente), per riportarlo nella zona più discreta degli incontri che escludono per principio polemica e contrapposizione?
TRE SFIDE
Il nord e il sud. Alcuni pensano che il sanguinoso conflitto che ha insanguinato il Ciad nel decennio 1980-90 sia scaturito dalla differenza religiosa tra la regione del nord e le province del sud. Tale semplificazione è negata dalle conclusioni di intellettuali di ambedue le sponde, raggiunte in un dibattito tenuto a N’Djamena e riportate in una recente pubblicazione.
È vero che la stragrande maggioranza della popolazione del nord è musulmana e quella del sud cristiana o di religione tradizionale, ma non esistono frontiere: da un capo all’altro del paese tutti si sentono fieramente ciadiani, anche se non tutti sanno con precisione cosa significhi.
Pur ammettendo l’esistenza di un certo antagonismo tra nord e sud, ci si domanda se esso sia dovuto alle diverse religioni praticate, o non piuttosto ad altri fattori molto più decisivi. Molti ciadiani pensano che il sanguinoso conflitto che ha scompaginato per troppo tempo il tessuto sociale del paese sia stato causato dalla spartizione e gestione del potere e che la religione sia stata utilizzata dai diversi partiti e personalità in lotta come elemento catalizzatore per affermare i propri interessi.
Per capire la vera posta in gioco di tale conflitto, una chiave di lettura possono essere le controversie tra i nomadi allevatori di bestiame del nord, in prevalenza musulmani, e gli agricoltori sedentari del sud, prevalentemente cristiani o di religione tradizionale: i loro frequenti scontri non sono di natura religiosa, ma piuttosto conflitti di interessi.
Cittadini in una casa comune. La ripartizione della popolazione ciadiana tra islam, cristianesimo e religione tradizionale è un dato di fatto. È certo che i sanguinosi avvenimenti della guerra civile (1980-90) hanno portato le diverse etnie a raggrupparsi, spartendosi il territorio. Tuttavia, esse sono condotte a interagire in maniera sempre più frequente.
Se tutti questi sono cittadini a pieno diritto, quale forma dovrà darsi questo stato perché ognuno si senta in casa propria? Trovo la risposta in un’affermazione dell’ex-presidente del Senegal, Abdou Djouf: «Occorre riconoscersi come un paese di tolleranza e laicità attiva, capace di darsi una Carta costituzionale che assicuri a tutti la libertà di coscienza e il libero esercizio della religione».
Solamente attraverso il dialogo, il rispetto dell’altro, la neutralità dello stato sarà possibile costruire la casa comune, che deve essere il Ciad per tutti i suoi cittadini.
Il bilinguismo. Gli anziani del Ciad si sono interrogati a lungo su questo problema: «Come nostra lingua ufficiale, dobbiamo riconoscere l’arabo, la lingua del Corano, oppure continuare a utilizzare il francese, la lingua del colonizzatore?».
È probabile che le nuove generazioni ciadiane si trovino avvantaggiate, rispetto agli anziani, per sbarazzarsi con maggiore facilità di pesanti eredità, che rallentano il passo verso profondi cambiamenti. Occorrerà, per questo, desacralizzare la lingua araba e considerarla (come essa è in realtà) un importante mezzo di comunicazione, sia all’ interno che all’esterno del paese, con una frazione importante della popolazione mondiale.
Il bilinguismo non è un problema, ma una risorsa. D’altra parte, si pone il problema di come utilizzare l’immenso patrimonio linguistico del Ciad ai fini di una vera comunicazione tra le etnie che lo compongono. Le giovani generazioni, coinvolte negli attuali processi di globalizzazione, grazie alle loro particolati propensioni poliglotte (in Ciad si sono catalogate 300 lingue), non si fermano certo alla conoscenza di due lingue. Discutere di bilinguismo, forse, è tempo perso.
GIOVANI: SEGNO DI SPERANZA
Nel breve soggiorno a Fianga, ho avuto la fortuna di visitare la località di Gamba, un grande villaggio della brousse profonda. Mi sono reso conto che il villaggio era formato da diverse etnie concentrate, in maniera equilibrata, nei diversi quartieri: toupouris, moundangs e foulbes. Da un punto di vista religioso, la popolazione si distribuisce tra seguaci della religione tradizionale, cristiani (cattolici e protestanti), musulmani. Si tratta di un microcosmo, pluralista sotto tutti gli aspetti. Ciò non impedisce a chi vi abita di condurre una vita tranquilla.
Vivendo insieme sul filo delle generazioni, la gente, pur connotata da grandi differenze, ha trovato un linguaggio comune e regole di comportamento sociale non scritte, ma osservate da tutti.
Guardavo con soddisfazione la sfilata dei giovani del villaggio che si dirigevano tutti insieme verso la stessa scuola: una di quelle «case comuni» dove si sta forgiando il cittadino del futuro. Impossibile distinguere tra di loro chi era toupouri e chi moundang, chi cristiano e chi musulmano. Erano semplicemente dei giovani.
A questo proposito, alcuni musulmani ciadiani, organizzati in un’associazione per il dialogo tra giovani appartenenti a diverse religioni mi dissero: «Noi invitiamo tutti i politici a una presa di coscienza, per evitare tutto ciò che può contribuire a creare una divisione tra i giovani, i quali hanno imparato a familiarizzare tra di loro, a conoscersi e amarsi. Ci dà fastidio sentire parlare ancora di nord e sud, di musulmani e cristiani».
In occasione della festa del montone, chiamata localmente tabaski, avevo accompagnato il parroco di Fianga in una visita al grande imam, che ci invitò a unirsi a lui per fare gli auguri al sottoprefetto e a varie autorità locali. Verso la fine del ricevimento, in casa del sottoprefetto, l’imam recitò la preghiera della fatiha (prima sura del Corano) per la città e le autorità locali. Con nostro grande stupore, terminata la sua preghiera, ci invitò a fae una cristiana per gli stessi scopi. Il Padre nostro che recitammo fu seguito in rispettoso silenzio da tutti i presenti.
Alla fine del giro, arrivati di fronte all’abitazione dell’imam, questi ci invitò a entrare, perché anche a casa sua non mancasse la nostra preghiera cristiana, per invocare su di lui e la sua famiglia la benedizione di Dio.
Restai profondamente colpito da questi gesti, che manifestavano una grande apertura di spirito: gli uomini religiosi, se sono tali, non possono non essere rispettosi. La cortesia è il segno di Dio, perché è lui stesso cortese e misericordioso verso tutti.
BOX 1
ANIME DELL’ISLAM
L a presenza dell’islam in Ciad cominciò nel 1090, quando un musulmano salì al trono di Karen. Per alcuni secoli, fu professato dalle persone prossime alla corte reale e uomini di lettere. L’inizio di una vera islamizzazione delle campagne iniziò nel secolo xvii. L’islamizzazione del Ciad si svolse in forma piuttosto pacifica, anche se si legò alla tratta degli schiavi, a spese delle popolazioni non islamizzate. Ma, dal momento che un musulmano non poteva essere fatto schiavo da un altro musulmano, molti si convertirono all’islam per evitare la riduzione in schiavitù.
Con la colonizzazione (inizio 1900) il rapporto di forze tra il nord (a maggioranza musulmana) e il sud venne rovesciato in favore di quest’ultimo. Le popolazioni meridionali, di religione tradizionale, si trovarono in posizione difensiva, a volte di aperto conflitto con quelle del nord, e, dopo pochi decenni di dominio coloniale, incominciarono ad aprirsi verso il cristianesimo: dapprima verso le chiese protestanti, poi verso la cattolica.
Dal punto di vista religioso, attualmente la popolazione del Ciad potrebbe essere così divisa: su 5,5 milioni di abitanti, 2,9 milioni (il 53%) si considerano musulmani;1,4 milioni (25%) sono cristiani; 1,2 milioni (22%) di religione tradizionale.
I n campo musulmano, esistono tre tendenze:
– islam delle confrateite: più tradizionale e con forte radicamento popolare;
– islam riformista: di tendenza wahabbita (Arabia Saudita), più radicale e, talvolta, molto critico verso l’islam delle confrateite;
– islam delle élites modee: presente soprattutto tra gli studenti delle scuole superiori e la classe insegnante aperta al nuovo; ma senza rinunciare al radicamento nella religione musulmana.
Giuliano Vallotto