A 45 anni, dopo una lunga esperienza di volontariato, Otello Bisetto è stato ordinato sacerdote della diocesi di Tunisi. Essere prete in Tunisia, dove si registrano profondi mutamenti, costituisce una grande sfida per la chiesa locale.
La lunga strada percorsa da Otello Bisetto, sfociata nell’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 22 maggio 2004 nella cattedrale di Tunisi, potrebbe racchiudere, per molti versi, una parabola di questo nostro tempo, sia che cerchiamo di interpretarlo dal punto di vista umano che da quello di Dio.
Otello ha 45 anni.
Negli anni di infanzia è passato attraverso qualche anno di collegio, poi ha frequentato la scuola pubblica fino a diventare geometra.
Parte per tre anni nello Zaire come volontario. Ritorna per continuare a esercitare la sua professione; ma poco dopo… incorre (!) nella Caritas diocesana, che lo impegna nel servizio ai migranti. È il periodo in cui il fenomeno dell’immigrazione assume proporzioni sempre più importanti anche qui da noi.
Diventa così il primo responsabile della Casa di Accoglienza di Giavera (TV), di cui aveva contribuito sia per il disegno, che per la ristrutturazione e per l’impostazione dello stile di convivenza.
Dà inizio insieme con altri alla cornoperativa «Una casa per l’uomo» a Montebelluna.
Viene allontanato dalla Caritas e si lascia assorbire totalmente dalla cornoperativa che, anche per suo impulso, si espande e crea nuovi servizi: dall’offerta di alloggio alla politica regionale per l’alloggio delle fasce sociali a rischio di esclusione, alla mediazione culturale, segretariato sociale, ricerca e formazione, disagio sociale, insegnamento della lingua seconda «L2», ecc…
Abbandonata Giavera,
va a vivere con tre algerini, musulmani praticanti, uno dei quali è presente a Tunisi nel giorno dell’ordinazione sacerdotale.
Si propone ad alcuni responsabili diocesani di Treviso per essere prete nel segno di una doppia fedeltà: ai poveri e alla chiesa locale. Ma il periodo del «discernimento» si conclude con un rifiuto: «Sei bravo ma non sei fatto per noi…».
Si sposta a San Floriano, dove va a vivere con don Olivo Bolzon e Marisa Restello; nel frattempo continua a confrontarsi da un punto di vista vocazionale con don Feando Pavanello. Decide, quindi, di partire per due anni per la Tunisia, dove può continuare la sua ricerca fino alla richiesta, questa volta accolta, di diventare prete a servizio di quella chiesa locale che vive la sua fedeltà a Gesù e la sua testimonianza di fede e di speranza cristiana in contesto musulmano.
Il 22 maggio 2004 diviene prete per l’imposizione delle mani del vescovo Twal, del nunzio dell’Algeria e Tunisia e di tutti i preti della Tunisia, che per l’occasione s’erano riuniti al gran completo. Con tutta evidenza si tratta di una vita che è parabola di questo nostro tempo.
Una esistenza che incrocia alcune fra le molte situazioni di frontiera e di rottura che si sono prodotte e si stanno producendo in questi ultimi decenni della nostra storia.
La sua decisione di essere prete per la chiesa in Tunisia si realizza, d’altra parte, in tempi che sembrano annunciare una mutazione della chiesa locale, non da tutti condivisa e che alla lunga potrebbe risultare non adeguata.
La sua ordinazione
sacerdotale si svolge alla luce di una intuizione luminosa. Era dal 1962 che non accadeva un tale avvenimento in Tunisi, al punto che la stessa stampa locale ne traccia un sia pur breve trafiletto. Dopo 42 anni, un adulto di nazionalità italiana, Otello, e un giovane francese, Nicolas, vengono chiamati all’ordine del presbiterato ringiovanendo per ciò stesso la chiesa locale.
Nella medesima liturgia si celebra il 50° di sacerdozio di due preti: Mario Garau, un italiano nato in Tunisia, figlio di minatori sardi, e Michel Prignot, un francese della Mission de France, che ha fatto l’operaio, ora in pensione.
I due preti giovani ricevono le pianete dai due anziani. Questo gesto ha tutta la dolcezza e il sapore di un passaggio del testimone.
I due anziani hanno realizzato la loro vocazione attraversando il periodo coloniale, poi quello dell’indipendenza, infine il periodo della costruzione, dell’autonomia identitaria, politica ed economica del paese.
Molti dei loro colleghi non se la sono sentita di affrontare cambiamenti talmente rapidi e radicali e sono ritornati alle chiese dei loro paesi d’origine. Ma chi è rimasto ha cercato di leggere con gli occhi dello Spirito e con amore appassionato la storia della Tunisia.
Hanno vissuto una fedeltà dinamica alla chiesa locale. Per guadagnarsi da vivere, uno ha fatto l’infermiere nel modesto ospedale di Gafsa, l’altro l’operaio, scoprendo via via nuove strade di sequela, di testimonianza e servizio all’ambiente e al popolo musulmano che essi non hanno cessato di amare.
Si sono trovati a essere, insieme a tutti gli altri che avevano preso la decisione di rimanere in Tunisia, costruttori e partecipi di una chiesa essenzialmente missionaria, proiettata al di fuori di se stessa, ma non proselistica.
Ora si affaccia
su questa chiesa la tentazione di una mutazione genetica. Essa è tentata di spegnere lo slancio missionario, la sua particolare diaconia al mondo musulmano, paga del fatto che imprenditori, funzionari di banca, personale di ambasciata con le loro famiglie al seguito riempiano le poche chiese rimaste.
Otello e Nicolas dovranno essere in grado di scegliere tra la fedeltà alla missione di diaconia della chiesa o il ripiegamento gratificante su se stessa. Tale decisione dovrà essere presa comunque all’interno di una società e di una chiesa che cambiano.
Solo qualche anno fa era impossibile parlare di cristiani tunisini. Ora ho sentito che alla vigilia della pasqua di quest’anno, su iniziativa di un professore di università, è stata affittata una grande sala in un hotel del centro di Tunisi, dove si sono riunite 550 persone per cantare e proclamare la propria fede in «Gesù, il Vivente».
Si ha l’impressione che il confessare la propria fede in Cristo sia ormai più frequente, anche se non meno difficile, che nel passato.
È successo che, quando alcuni di questi cristiani (senza alcun’altra specificazione: evangelici, ortodossi, cattolici…) furono interrogati su chi era stato all’origine della loro scelta di fede, rispondevano che la televisione, internet o i contatti con il mondo esterno avevano fatto loro conoscere ciò che prima non conoscevano.
Stanno franando
le barriere che pretendono circoscrivere e legare fedi e religioni a un determinato territorio. Non esiste più nei fatti né una «casa dell’islam» né una «casa degli infedeli».
Essere preti in Tunisia, dentro a queste mutazioni profonde, diventa una grande sfida, probabilmente paragonabile a quella che la chiesa dovette affrontare dopo la dichiarazione d’indipendenza di questo paese.
Fatti nuovi stanno domandando a questo e agli altri paesi islamici risposte nuove sul piano culturale, religioso e politico.
Il fatto che la Tunisia, come altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, abbia deciso di far parte della zona di libero scambio con la Ue, inciderà sulla vita economica, ma anche sul costume del paese.
All’interno delle società arabo-musulmane alcune realtà come «democrazia», «promozione della donna», «libertà di coscienza», «pluralismo religioso e culturale» sono concetti in movimento e di cui ancora non si avvertono gli esiti futuri.
C’è un continente in movimento da questa parte del Mediterraneo e Otello ha preso la decisione di viverci dentro da uomo e da prete.
Giuliano Vallotto