MONGOLIA (2)A passi… lesti

Dopo il grande gelo del regime comunista,
la Mongolia è alla riscoperta della religione
e della coscienza nazionale: un cammino
in cui si inserisce la chiesa cattolica. Ha solo 12 anni, ma con tutti i segni di una crescita sorprendente.

I paesi afflitti da gravi problemi economici e sociali rischiano spesso di perdere i valori tradizionali: non sembra sia questo il caso della Mongolia. Dopo la persecuzione religiosa, durante il regime sovietico-comunista, molti mongoli attendono la venuta di un grande personaggio, capace di scuotere il mondo con verità e saggezza: un uomo che possa aprire un’era nuova. Ne è una prova l’entusiasmo dimostrato da tutta la popolazione, nel 1991, in occasione della visita in Mongolia dell’ultimo discendente di Gengis Khan, il principe Dschero Khan, accolto come un re.
Nel paese, inoltre, si assiste a un risveglio della coscienza nazionale e, grazie alla riapertura di molti templi, alla riscoperta di antichi riti. Opere cinematografiche, letterarie e artistiche in generale traggono ispirazione dal patrimonio culturale tradizionale, interpretato in chiave profetica.
Sono soprattutto i giovani a farsi protagonisti della riscoperta del passato e a cercare con entusiasmo una verità più profonda, mantenendo viva la speranza di un futuro migliore. Ma al tempo stesso, corrono dietro a ciò che viene «importato» dall’estero, specialmente da Europa e Usa, alle novità introdotte nel paese attraverso la televisione e internet.

GIOVANE CHIESA
CHIESA DI GIOVANI

Uno dei segni più confortanti è vedere la grande sete di Dio che hanno i giovani e i mongoli in generale; il loro cuore aperto e disposto ad accogliere la «novità» del vangelo.
Per 65 anni la dittatura comunista si era adoperata con ogni mezzo, compresa la distruzione di 750 monasteri e l’assassinio di oltre 3.000 monaci, per cancellare ogni traccia di religiosità dall’animo della popolazione mongola.
Tale regime, però, è riuscito solo a provocare un enorme vuoto, che oggi alcuni sentono di poter colmare avvicinandosi a Gesù Cristo e al suo vangelo: le piccole chiese sono affollate e le comunità cristiane sono in continuo aumento. Numerosi sono i catecumeni, in maggioranza giovani e adulti, che si preparano al battesimo.
Sebbene la prima evangelizzazione in Mongolia risalga al vii secolo, in pratica la chiesa in questa regione è nata appena 12 anni fa: è una chiesa giovane, anche per l’età dei suoi membri. Giovani sono pure i missionari, provenienti da diversi paesi, che stanno spargendo i semi del vangelo e garantiscono una speranza di continuità. Fra i missionari cattolici, se si eccettua il vescovo, il più «vecchio» è il padre Eesto Viscardi, missionario della Consolata, che, a 53 anni, si sta inserendo nella chiesa locale con l’entusiasmo delle sue prime esperienze missionarie.
«La Mongolia è una terra di opportunità, un luogo in cui il messaggio di Gesù è praticamente sconosciuto – mi disse un giorno il pastore avventista Christian Grame, cornordinatore del progetto Mission Mongolia -. Sotto il comunismo tutte le religioni furono dichiarate fuori legge e la gente, in pratica, non ha mai sentito parlare di Dio, ma oggi è aperta e interessata ad apprendere».
Nei primi anni della missione cattolica (1992-93), gli unici fedeli che partecipavano all’eucaristia, celebrata in alcuni appartamenti, erano esclusivamente cittadini stranieri. Successivamente si unirono a loro le prime persone della popolazione locale, gettando così le basi della chiesa locale.
Oggi, la chiesa in Mongolia ha il suo vescovo e tre parrocchie con quasi 200 battezzati mongoli, un consistente numero di catecumeni, numerosi gruppi e opere di apostolato, strutture pastorali assai frequentate e molto attive, come asili, un collegio politecnico, centri di attenzioni ai bambini di strada, un istituto per disabili, una casa per ragazze madri. Tutto è portato avanti da 48 missionari e istituti religiosi.
Se si pensa che fino a 10 anni fa non esisteva nulla (comunità, operatori pastorali, strutture), non possiamo non vedere in tutto questo l’opera dello Spirito, che guida con mano sicura la chiesa nascente, nonostante le difficoltà che a prima vista appaiono insormontabili.

CRISTO: MESSIA O NOVITA’

Una professoressa di lingua e cultura mongola mi diceva: «I vecchi sono buddisti; quelli di mezza età, come me, siamo atei; i giovani vogliono essere cristiani». Non so fino a che punto sia vera tale affermazione; è certo, però, che il cristianesimo è una novità per una popolazione che ha conosciuto questa religione solo dopo l’anno 1992, quando il nuovo regime ha aperto le porte alle differenti chiese cristiane, che oggi sono circa una quarantina.
Sono gli adolescenti e i giovani che si mostrano molto più aperti e interessati al cristianesimo. Incuriositi, partecipano alle celebrazioni, incontri e altri momenti della vita della giovane chiesa.
Dal momento che il 35,5% della popolazione mongola è sotto i 15 anni e il 50% ne ha meno di 25, i giovani sono non solo il futuro, ma anche il presente. Essi costituiscono, al tempo stesso, una sfida e una speranza, che ci impegna a cercare la strada migliore per la nostra attività di evangelizzazione. In Mongolia, infatti, non possiamo entrare nelle scuole. Anche in quelle cattoliche non si può esporre alcun segno religioso. Nemmeno la cattedrale ha la croce all’esterno dell’edificio. Fuori del tempio non sono ammesse manifestazioni religiose pubbliche.
Come possiamo farci conoscere? L’unica strada percorribile è quella di diventare persone dal cuore giovane e testimoni dell’amore. La testimonianza attrae molte persone, che si mettono in cammino con noi.
L’ultima parrocchia, eretta meno di due anni fa, ha iniziato con diverse attività per giovani: corsi di inglese, principalmente, di musica, danza, cucito. E poiché tali iniziative si tenevano in luoghi senza insegna, erano i giovani stessi a fare pubblicità: «Vieni a vedere» dicevano i pionieri ai coetanei che domandavano dove si svolgessero tali corsi.
In questo modo i giovani conoscevano padre Felix, un sacerdote africano, alto e simpatico, che riceve tutti con uno smagliante sorriso.
Simpatia, amabilità, amore, insieme ai corsi, è quanto la piccola comunità cattolica offre ai giovani. Nessuno è obbligato a partecipare alla messa o altre attività religiose. Ma subito essi si domandano: «Perché questi stranieri si interessano di noi? Da che cosa sono mossi? Andiamo a vedere!».
E le celebrazioni, inizialmente frequentate da un pugno di persone, due suore e pochi mongoli, cominciano ad essere affollate da adolescenti e giovani; i canti passano gradualmente dall’inglese al mongolo: oggi, canti, letture, preghiere, tutto avviene in lingua locale.
Ogni sabato e domenica si formano gruppi di discussione, tanto che lo spazio è ormai insufficiente per accogliere tutti e la comunità si sta muovendo per comperare un terreno dove costruire una struttura più ampia per dare vita a nuove attività.
Padre Felix continua a dire ai giovani: «Ricordate, domenica prossima dovete invitare un altro amico». E così avviene: chi diventa amico di Gesù, vuole comunicare ad altri la sua scoperta. E ognuno diventa apostolo nel proprio ambiente.

PARTICOLARI ATTENZIONI

Negli ultimi 10 anni sono molte le chiese cristiane arrivate in Mongolia: tutte confermano che i mongoli sono aperti al cristianesimo, anche se le cifre non sono esaltanti: su una popolazione di 2,5 milioni, i battezzati nelle varie confessioni sono poche centinaia. Il gruppo più numeroso, con circa 400 membri, è quello della chiesa avventista, presente nel paese dal 1993. Essa è sostenuta dagli avventisti australiani, che hanno fatto un gemellaggio di solidarietà e cooperazione con la rispettiva comunità in Mongolia. Con lo stesso approccio si muovono altre chiese evangeliche, come quella dei pentecostali, sostenuti da coreani e americani.
Anche le piccole comunità cattoliche crescono grazie agli aiuti delle chiese sorelle sparse nel mondo. Si tratta infatti di una chiesa ancora bimba, che sta muovendo i primi passi, fragile e povera di mezzi materiali e di personale.
Lo ha ricordato anche il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (ex Propaganda fide), nel discorso pronunciato a Città del Guatemala il 26 novembre 2003, in occasione dell’apertura del secondo Congresso americano missionario: «In numerosi paesi dell’Asia, la chiesa sta facendo i primi passi. Pochi mesi fa sono stato in Mongolia per la consacrazione episcopale del primo prefetto apostolico di Ulaanbaatar, mons. Wenceslao Padilla, missionario di Scheut, filippino. La sua comunità cattolica non arriva ancora a 200 persone».
Eppure è una comunità che desta gli entusiasmi e le attenzioni di una chiesa nascente, come ai primi tempi apostolici. Così si esprime lo stesso cardinale, in occasione della sua seconda visita in Mongolia a distanza di un anno: «Come un padre o una madre di famiglia, pur avendo molti figli, rivolgono naturalmente le loro attenzioni soprattutto a quelli più piccoli, perché maggiormente bisognosi di essere aiutati nella loro crescita, così la giovane chiesa della Mongolia può rappresentare il figlio appena nato: dopo i primi vagiti ha bisogno di cure e attenzioni per irrobustirsi, per crescere e poi camminare sulle proprie gambe.
Guardando alla storia di questa nazione, si può parlare di una crescita prodigiosa della chiesa in un periodo di tempo abbastanza breve. Vedere i missionari e i fedeli dedicarsi senza riserve all’assistenza dei più deboli, considerandoli come fratelli, senza fare differenze di alcun tipo, è spesso una scintilla che accende il fuoco della fede e genera nuove conversioni. Soprattutto i giovani si lasciano coinvolgere con grande disponibilità e generosità. Il santo padre ha più volte ripetuto in 25 anni di pontificato, che i giovani sono la speranza della chiesa: sono sicuro che essi sono anche la speranza della giovane chiesa della Mongolia».
(Fine seconda puntata – continua)

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IL PAPA E’ ATTESO

P rofondamente ancorati allo sciamanismo, per tre secoli i mongoli furono padroni dell’Asia e parte dell’Europa; sottomisero civiltà millenarie, ma anziché distruggee tradizioni, arte, cultura e religioni, le assorbirono, costituendo un impero immenso e straordinariamente variegato.
Il francescano Guglielmo di Rubruck, che nel 1255 raggiunse l’antica capitale Karakorum, nel suo vivacissimo resoconto riferì di una cultura sorprendentemente dinamica e tollerante. Sul suo cammino incontrò templi buddisti, moschee, chiese cristiane nestoriane, e dappertutto gli obbo, cumuli di pietre votive di ispirazione sciamanica.
Qualche anno prima (1246), Giovanni da Pian del Carpine era stato inviato da Innocenzo iv per sondare la possibilità di un’alleanza contro l’islam. La risposta del Khan fu molto decisa: «Se il papa vuole parlarmi, venga di persona».
Dai tempi dei missionari francescani in oriente gli orizzonti sono cambiati. Dopo mezzo millennio di umiliante sottomissione alla Cina e alla Russia, che la schiacciano anche geograficamente, la Mongolia sta timidamente cercando di rialzare la testa. E anche l’esigua comunità cattolica dà il suo contributo prezioso.
I mongoli aspettano il papa, che l’anno scorso ha cancellato la sua visita programmata per il mese di agosto. «Sembra incredibile – rivela padre Pier Kasemuana, congolese, provinciale dei missionari di Scheut e professore all’Università di Ulaanbaatar -, ma Giovanni Paolo ii è amato profondamente dai mongoli, una popolazione così lontana e quasi totalmente buddista».

Uan Carlos Greco

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