«Missioni Consolata» di marzo scorso pubblicava «Il compito in classe di Federico», che riportava anche pareri, colti in famiglia, su George Bush, Silvio Berlusconi e la guerra in Iraq.
Il compito ha suscitato varie reazioni. Ecco l’ultima.
Cari redattori,
dopo aver letto le reazioni indignate per «Il compito di Federico», sento di dover prendere la parola: prima di tutto per una critica verso Missioni Consolata e la mamma del ragazzo.
L’aver pubblicato «il compito» ha voluto dire scoprire il fianco, dare occasione ai lettori che non condividono la linea editoriale della vostra stimata rivista per condannare un’espressione di non violenza. Senza tener conto del fatto che avete esposto uno studente di neanche 14 anni ad attacchi di persone sconosciute, che non possono permettersi di definirlo come «un povero ragazzo», il quale si esprime secondo quanto ascolta in classe e famiglia o alla televisione.
Conosco Federico come persona attenta a ciò che gli accade attorno, studente con ottimi risultati, ragazzo sensibile ed educato. Dobbiamo fargli il processo, perché nella sua famiglia, forse (mi auguro) come in tutte le famiglie, si parla di politica, di guerra e pace, mentre lui è lì, ascolta i genitori, le altre persone adulte e probabilmente ne condivide il pensiero? Chi non è stato in qualche modo condizionato dall’ambiente in cui è nato e cresciuto?
Sarebbe forse più accettabile che Federico esprimesse «il pensiero unico» che sta affermandosi non solo in Italia, ma nel mondo, a livello globale, vale a dire l’assoggettazione totale ad un sistema culturale imposto da televisione, pubblicità e consumo?
Vorrei che il dibattito non si fosse sviluppato sulle pagine di una rivista, che coinvolge prettamente adulti, ma che avesse avuto luogo nella scuola di Federico, che i suoi insegnanti avessero trovato spunto dal suo tema per far discutere gli studenti, per farli crescere nell’attenzione, nel rispetto dei valori fondamentali della nostra Costituzione, nell’analisi critica di opinioni e fatti, nella progettazione di un domani meno ingiusto.
Le famiglie sono quelle che sono: diverse, tradizionali o scompaginate; dialogano con i figli o a mala pena li conoscono. È difficile intervenire in questa sfera; ma la scuola no, è un’altra cosa, è affare nostro, di tutti. È alla scuola prima di tutto che va il mio pensiero, all’università, a tutti i luoghi preposti all’educazione dei nostri ragazzi: è un mondo in pericolo, spesso insufficiente ad arginare la deriva culturale di una società in declino, e le riforme finora attuate altro non hanno fatto che aggravare la situazione.
Per la scuola dobbiamo impegnarci, perché gli insegnanti ritornino al loro ruolo fondamentale di educatori, perché non si sentano per tutta la vita lavorativa dei precari, perché in università non ci siano insegnanti di serie A e altri senza alcun diritto, sfruttati e abbandonati ogni qualvolta si presentano manovre di riduzione dei costi.
Se non investiamo oggi nell’educazione la partita col domani è già persa.
Lucia Avallone – Torino
Eccellente esemplare di lettera critica, ma ricca di contenuti. Signora Lucia, condividiamo i suoi rilievi sulla scuola.
Quanto a Federico, aggioiamo la situazione:
– il ragazzo ha vissuto con serenità la polemica che l’ha coinvolto;
– ha superato l’esame di terza media con «ottimo»;
– dopo «il compito», la mamma dello studente e la professoressa di italiano hanno iniziato a discutere in modo costruttivo.
Forse è proprio vero: non tutto il male viene per nuocere.
Lucia Avallone