Da alcuni decenni il problema ecologico è dibattuto a livello internazionale. Da un punto di vista sociale, l’ecologia è diventata un problema di coscienza civile, la questione etica per eccellenza, soprattutto nella prospettica occidentale. Dai vari summit mondiali tenuti su tale argomento, si sono levate voci allarmanti, prospettando un futuro catastrofico per il nostro pianeta e di ogni essere vivente che lo abita, se l’uomo non inverte la rotta del dissennato sviluppo economico e consumistico e non imbocca la strada di uno sviluppo sostenibile.
Nella visione cristiana, non è in gioco solo un’ecologia «fisica», attenta a tutelare l’habitat dei vari esseri viventi, ma anche un’ecologia «umana», che renda più dignitosa l’esistenza delle creature, protegga il bene radicale della vita in tutte le sue manifestazioni, facendo sì che l’ambiente si avvicini sempre più al progetto del Creatore.
L’impegno per la promozione della vita e la percezione di un disegno provvidenziale della creazione sono due momenti inscindibili della «teologia cristiana della natura», che riecheggia nell’insegnamento del magistero della chiesa nei riguardi del problema ecologico.
Può sembrare contraddittorio: l’ecologia è una scienza concreta, mentre la teologia ci parla dell’uomo e del suo rapporto con Dio. Invece il legame c’è ed è molto profondo, dal momento che la teologia cristiana mette al centro l’uomo creato in questo mondo e per questo mondo.
L a natura vivente, vegetale e animale, partecipa all’«opera redentrice di Cristo» ha ricordato il papa nella Novo Millennio. «La natura stessa, com’è sottoposta al non senso e al degrado provocato dal peccato, così partecipa della gioia e della liberazione di Cristo». La frase rievoca un’espressione celebre e «scandalosa» della lettera di Paolo ai Romani: «Tutto il creato soffre e geme come una donna che partorisce, perché anch’esso sarà liberato». Ogni filo d’erba sospira la liberazione che viene da Cristo e l’aspetta dall’uomo, il solo vivente che possa deliberatamente salvarsi e, insieme a sé, salvare gli altri esseri viventi. È più che teologia: è escatologia della natura.
Dio ha dato all’uomo la responsabilità sulla natura, ma l’uomo, devastandola, «ha deluso l’attesa divina», per cui occorre «una conversione ecologica» ha sottolineato più volte Giovanni Paolo ii. Si tratta di cambiare mentalità nei riguardi del creato e della vita, che sono doni di Dio a servizio di tutti e non da sprecare egoisticamente. «Il dominio dell’uomo sulla natura non si faccia assoluto, ma riflesso della signoria unica e infinita di Dio – ammonisce ancora il papa -. Se l’uomo si fa della natura non custode, ma tiranno, la natura si ribella».
Tradotta in altri termini, frequenti nel magistero della chiesa, tale conversione consiste in nuovi modelli di vita e sviluppo, a livello personale e globale.
L a salvaguardia del creato, afferma ancora il papa, è una delle sfide del nuovo millennio, insieme a quelle della pace e del dialogo tra le culture e le religioni.
Di tale affermazione si fa portavoce anche il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee), che alla fine della consultazione tenuta a Namur (Belgio) all’inizio del giugno 2004, afferma: «La responsabilità per il creato è una sfida centrale per il futuro della terra, per la difesa della pace e anche per la testimonianza cristiana nella società contemporanea».
Riecheggiando il messaggio del papa per la Giornata mondiale della pace del 2003, «non c’è pace senza giustizia», i vescovi affermano che «non c’è giustizia senza corretta gestione e salvaguardia delle risorse del creato. Dietro ogni conflitto c’è di fatto un problema di ripartizione delle risorse naturali. Sono necessarie azioni concrete e dialoghi intensi per fare in modo che i conflitti ecologici sull’accesso alle risorse di acqua (come in Medio Oriente), petrolio (in Iraq) e terra coltivabile (Africa) vengano bloccati e non trasferiti sul piano religioso».
Benedetto Bellesi
Benedetto Bellesi