La «biodiversità» è in grave pericolo anche a causa delle biotecnologie e dei prodotti geneticamente modificati. Le multinazionali si appropriano
di organismi viventi e di saperi del Sud del mondo (è la pratica della «biopirateria») e li brevettano per fae commercio e profitti. Nell’Unione europea oggi è obbligatoria l’etichettatura dei prodotti Ogm. Allo stesso tempo, la Commissione Ue ha ceduto alle pressioni dell’industria togliendo la moratoria sull’importazione degli Ogm (come il mais dolce «Bt11»). Sarebbe meglio decidere: prima il business o prima le persone? (Seconda parte)
«Attualmente il 95% del nostro fabbisogno alimentare è legato a 30 piante, e tre quarti della nostra dieta si fondano su 8 colture. Il re dei Boscimani, in Sud Africa, pranza con 85 tipi di verdure selvatiche. E noi? I nostri supermercati moltiplicano le confezioni e le cosmesi di prodotti, e spacciano la “diversità ottica” per “diversità biologica”. L’uomo dei paesi industrializzati acquista involucri diversi e mangia le stesse cose» (1).
Giorgio Celli visualizza così una delle conseguenze dell’industria agroalimentare: la perdita di biodiversità, destinata ad acutizzarsi con l’introduzione massiccia delle biotecnologie in agricoltura. Soddisfatti l’occhio e lo stomaco, ci siamo «dimenticati» di porre l’attenzione al modo in cui è stato ottenuto il cibo di cui ci nutriamo.
BIODIVERSITÀ: LA DIVERSITÀ BIOLOGICA
Per biodiversità, ossia «diversità biologica, diversità della vita», si intende sia la ricca varietà delle forme viventi che popolano il nostro pianeta sia gli ecosistemi in cui le diverse specie sono inserite.
Secondo le stime, il numero di specie viventi è compreso tra 3,6 e 100 milioni. Attualmente si conoscono circa 3.000 specie di batteri, 260.000 piante vascolari, 70.000 funghi, 500.000 virus, 45.000 vertebrati e 950.000 insetti.
L’uomo rappresenta solo una delle milioni di specie esistenti, ma l’industria agroalimentare e biotech considera tutte le altre come semplici fonti di materia prima e di profitto. Al di là degli aspetti etici e del rispetto per tutte le forme viventi, preoccuparsi esclusivamente delle specie vegetali e animali considerate «utili» all’uomo può risultare molto rischioso. Ad esempio, microbi apparentemente insignificanti giocano un ruolo fondamentale per il mantenimento di processi ecologici che permettono la vita di tutte le specie, compresa la nostra. Eppure, evidenzia Vandana Shiva, non esiste alcun movimento di opinione per la loro tutela e protezione, come c’è invece per salvare la tigre o l’elefante.
Ogni anno si estinguono circa 27.000 specie, mille volte di più di quanto avverrebbe senza il contributo umano. «L’uomo – continua la scienziata indiana – almeno nei paesi occidentali, pensa infatti di occupare il vertice della piramide della vita, anziché considerarsi un semplice tassello nel complesso teatro biologico del pianeta, dove il grande dipende dal piccolo e dove l’estinzione di una specie significa non solo perdere quella specie, ma anche creare una situazione di pericolo per le altre». Per fare un esempio, quando scompare una pianta, con lei si estinguono da 20 a 40 specie animali. Un metro cubo di terreno estratto da una faggeta in Danimarca e analizzato in laboratorio, ha rivelato la presenza di 50.000 anellidi, 50.000 fra insetti e acari, 12 milioni di nematodi. Un grammo dello stesso campione conteneva 30.000 protozoi, 50.000 alghe, 400.000 funghi e miliardi di cellule batteriche. Batteri, funghi e protozoi dell’intestino di molti animali svolgono funzioni fondamentali per la digestione: senza questi organismi microscopici i cosiddetti animali superiori non potrebbero esistere. L’ignoranza umana sulle funzioni ecologiche delle specie viventi non può quindi essere il pretesto per manipolarle a piacimento, senza preoccuparsi delle conseguenze sull’ambiente e, dunque, sull’uomo.
La distruzione della biodiversità è stata sicuramente accelerata dalla globalizzazione: centinaia di migliaia di ettari di foreste e terre agricole sono convertite in monocolture industriali, ossia in distese di territorio coltivate ad un’unica coltura, scalzando e distruggendo, quindi, la diversità biologica. Ad esempio, rispetto ad una foresta pluviale ricca di specie, che sostiene gli ecosistemi e i cicli ecologici, la concezione dominante privilegia le monocolture, come quella dell’eucalipto, utile all’industria della carta e della polpa di legno. Mantenute grazie all’uso intensivo di fertilizzanti chimici, energia e acqua, le monocolture distruggono la biodiversità e consumano più risorse naturali. Per fare un altro esempio, in India le varietà indigene di grano richiedono 300 mm d’acqua, mentre le varietà dell’agricoltura industriale ne usano circa 900.
Avendo come obiettivo la selezione di piante con una presunta maggiore produttività, l’estensione delle coltivazioni Ogm su tutto il pianeta rientra quindi perfettamente in questa tendenza alla monocoltura ed anzi la incentiva.
DIVERSITÀ CULTURALE
Quando i modelli di produzione e consumo della popolazione ricca del pianeta contribuiscono all’erosione della biodiversità, compromettono la possibilità dei poveri del Sud del mondo di mangiare e curarsi: per loro la biodiversità si traduce, infatti, in sopravvivenza umana.
«Per il cibo e le medicine, per l’energia e le fibre, per i cerimoniali e l’artigianato, i poveri dipendono proprio dall’abbondanza delle risorse biologiche, dalla conoscenza e dall’esperienza accumulata nel tempo sulla biodiversità – dichiara Vandana Shiva -. Tre miliardi di persone, cioè il 60% della popolazione mondiale, utilizzano le medicine tradizionali per il trattamento delle malattie». In India e in Cina l’80-90% di queste cure si basa sulla conoscenza dei principi attivi delle piante: il solo erbario officinale cinese utilizza circa 5.000 specie vegetali. In Kenya, il 40% dei principi curativi vegetali viene estratto dalle piante delle foreste native. Gli stessi chinino e morfina sono prodotti di origine vegetale: negli Usa il 40% delle prescrizioni mediche dipende ancora da principi attivi ricavati dalle risorse naturali. Anche la popolazione che vive nel mondo industrializzato ha bisogno della biodiversità per la propria economia: dal cibo, al petrolio e al carbone, al cemento, tutta l’economia dipende dalle risorse biologiche.
«Se si fa una valutazione in termini di biodiversità anziché di capitali finanziari, il Sud del mondo è ricchissimo, mentre il Nord è povero. Al contrario, il Nord ha accumulato benessere esercitando il controllo sulle risorse biologiche del Sud». Con l’avvento degli Ogm tale controllo è incrementato ed è destinato ad aumentare.
IL MITO (FALSO) DI SFAMARE IL MONDO
I fautori degli Ogm affermano che lo sviluppo delle colture transgeniche è essenziale per sfamare la crescente popolazione mondiale e per abbassare i prezzi delle derrate alimentari. Qualsiasi rischio derivante dalla tecnologia agroalimentare di ultima generazione, sostengono, non può essere paragonato ai benefici apportati da maggiore quantità di cibo a prezzo più basso (2).
Chi si oppone alle biotecnologie, offre, però, diverse argomentazioni. Innanzitutto, spiega Greenpeace, «l’insicurezza alimentare – come elegantemente viene oggi definita la fame – non si caratterizza per l’insufficiente disponibilità di alimenti, ma per la squilibrata distribuzione dei redditi e l’iniquo accesso alle risorse produttive, che rendono precario l’accesso al cibo. La produzione odiea di alimenti a livello mondiale è tale da soddisfare il consumo umano per un valore medio pari a 2.800 calorie pro capite al giorno, a fronte di 2.500 calorie ritenute la soglia media per un’alimentazione adeguata». In linea con questo punto di vista, l’economista indiano Amartya Sen, vincitore del premio Nobel nel 1998, afferma che «la fame è il risultato del non avere abbastanza da mangiare. Non è il risultato del non esserci abbastanza da mangiare».
In Argentina, secondo produttore mondiale di colture geneticamente modificate e unico paese in via di sviluppo che coltiva piante transgeniche su larga scala, gli Ogm hanno concentrato la ricchezza e gli introiti nelle mani di poche aziende, contribuendo all’ulteriore impoverimento dei piccoli agricoltori. «La causa principale della fame risiede in problemi di natura sociale e politica, e puri strumenti tecnologici, quali sono gli Ogm, non offrono soluzione a questi problemi. Sono troppo costosi per i contadini e non sono appropriati per il consumo locale, tanto che le colture Gm, come mais, soia, colza e cotone, vengono esportate e utilizzate soprattutto come alimento per il bestiame.
I dati mostrano, inoltre, come i raccolti transgenici stiano soppiantando alimenti che popolazioni di culture diverse usano da sempre. «L’industria si sta concentrando su raccolti non alimentari, come il tabacco e il cotone, e sulla soia che, prima d’ora, rappresentava un alimento base solo nell’Asia dell’est – incalza Vandana Shiva -. Tabacco, cotone e soia non sono alimenti base e non sfameranno gli affamati». Semmai, preoccupazioni sulla produttività dei terreni agricoli provengono dai crescenti fenomeni di desertificazione che, negli ultimi 50 anni, hanno interessato l’85% circa della superficie agricola mondiale: erosione, salinizzazione, compattamento, impoverimento dei nutrienti, inquinamenti di vario tipo.
Molta enfasi è stata data al cosiddetto Golden rice, ossia riso Gm alle popolazioni con carenza di vitamina A. Tuttavia, affinché sia fonte di vitamine per chi se ne ciba, la dieta deve contenere quantità sufficienti anche di grassi e proteine, situazione evidentemente non realistica.
IL MITO DEGLI ALTI RENDIMENTI
Il bihmal è un albero diffuso nella regione dell’Himalaya. Si tratta di una pianta «polivalente»: le foglie offrono nutrimento agli animali d’allevamento durante la stagione secca, i rami foiscono fibre per la fabbricazione di corde, combustibile per cucinare e sostanze detergenti per i capelli. Per gli esperti dell’agricoltura industriale sarebbe da eliminare, per incrementare la resa delle colture. Molte varietà agricole sono state ingegnerizzate per ottenere maggiori rendimenti in termini di chicchi, ossia solo di una parte del raccolto effettivo: la paglia idonea a nutrire il bestiame e il suolo viene invece prodotta in quantità modeste.
Ciò che si ottiene con gli Ogm è quindi un aumento del prodotto su cui c’è interesse commerciale, a spese della componente utile per gli animali, i suoli e per l’economia locale. Secondo alcuni esperti, prima fra tutti Vandana Shiva, «l’ingegneria genetica porta in realtà ad una diminuzione complessiva della produzione».
Piantare una sola coltura sull’intera superficie di un campo, come prescrive la tecnica della monocoltura, ovviamente ne accresce il rendimento; piantare diverse colture intercalate comporterà una resa minore per ognuna di esse, ma una più elevata produzione totale di cibo. «Il mito degli alti rendimenti degli Ogm è fondato sul confronto con le grandi monocolture industriali anziché con l’agricoltura biologica, che è la vera alternativa», conclude Vandana Shiva.
Se vogliamo eliminare fame e povertà è necessario conservare la diversità, biologica e culturale.
BREVETTI E BIOPIRATERIA
L’ingegneria genetica ha aperto la strada ai brevetti sulla vita, il primo dei quali è stato concesso nel 1980 alla General Electric per un batterio modificato geneticamente. Negli ultimi anni, con l’introduzione sul mercato di piante transgeniche e di organismi misti, come ad esempio il maiale serbatornio di organi da trapiantare su esseri umani, la richiesta di brevetti per vegetali ed animali ha subito un’accelerazione. All’Ufficio europeo brevetti (Epo) di Monaco sono state presentate più di 15.000 richieste di brevetti nel campo dell’ingegneria.
I sostenitori della brevettabilità degli organismi viventi affermano che la concessione del brevetto consente, al mondo scientifico ed industriale, di accedere ad informazioni importanti da utilizzare per migliorare il benessere umano.
Tuttavia, chi si oppone alla brevettabilità adduce differenti motivazioni, sostenendo che la «libertà di ricerca» viene scambiata con la «libertà di vendere». Innanzitutto, un organismo vivente non può essere considerato propriamente un’invenzione umana. «I geni non sono creati dagli ingegneri genetici che, semplicemente, li spostano da una parte all’altra – come ha sottolineato un gruppo di scienziati inglesi -. Se questo principio fosse stato applicato alla chimica, sarebbero stati brevettati anche gli elementi» (3).
I brevetti rappresentano inoltre un incentivo commerciale allo sviluppo di organismi geneticamente modificati: avendo generalmente una validità compresa tra 17 e 20 anni, esso garantisce al suo possessore i diritti esclusivi per sfruttare l’invenzione a fini commerciali. Infatti, dichiara Greenpeace, nel caso delle colture geneticamente modificate gli agricoltori devono per esempio pagare un diritto sul brevetto, delle royalties per l’uso dei semi ingegnerizzati, nonché le sementi stesse prodotte dalle piante ingegnerizzate per tutta la durata del brevetto.
I potenziali profitti derivanti dalla brevettabilità incoraggiano quindi le multinazionali a ricercare per il mondo i geni che potrebbero avere applicazioni proficue dal punto di vista commerciale. Come si è visto in precedenza, una delle ricchezze peculiari dei paesi del Terzo mondo è rappresentata proprio dalla diversità genetica: nelle foreste pluviali del Sud vive più della metà delle specie animali e vegetali del mondo. I ricercatori vengono quindi inviati in queste zone per scovare organismi o piante di valore, riportano in laboratorio i campioni, e da questi vengono isolati i principi attivi o le sequenze geniche che saranno brevettate come «proprie» invenzioni.
Come denuncia Greenpeace, l’accordo TRIPs sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (Trade related aspect on intellectual property rights), iniziativa di una coalizione di multinazionali, non impone né che le compagnie biotech chiedano un permesso prima di accedere alle risorse biologiche, né che i proprietari dei brevetti condividano i benefici con le popolazioni che da un lato abitano le terre da cui hanno origine i geni, e che dall’altro hanno mantenuto e sviluppato la biodiversità nel corso di migliaia di anni. Anzi, in molti casi, le comunità devono pagare alle multinazionali i diritti per usare qualcosa che precedentemente era parte integrante della loro civiltà.
In India, l’albero di Neem rappresenta un classico esempio: utilizzato per migliaia di anni grazie alle sue proprietà antibatteriche ed insetticide, proprio su queste caratteristiche le multinazionali occidentali hanno ottenuto dozzine di brevetti.
Un rapporto commissionato da Christian Aid ha valutato che la biopirateria sta drenando risorse dal Terzo mondo per un valore equivalente a 45 miliardi di dollari all’anno.
IL CONSUMATORE PRIGIONIERO
«Nell’era della comunicazione – spiega Giorgio Celli – si è verificata, su una materia universale e tanto delicata come quella degli alimenti, un’imperdonabile omissione di comunicazione». Nell’era della democrazia, i cibi transgenici sono stati immessi sul mercato prima ancora che i consumatori potessero capire di cosa si trattasse. Nell’era della libertà, il cittadino non ha potuto scegliere se acquistare o meno prodotti Ogm, semplicemente perché non è stato informato che essi erano già presenti in commercio.
Nell’Unione europea, il 18 aprile 2004, sono entrati finalmente in vigore i nuovi regolamenti europei sull’etichettatura di alimenti e mangimi geneticamente modificati e sulla tracciabilità degli Ogm. Ora tutti i prodotti contenenti ingredienti o derivati da un ingrediente che contiene più dello 0,9% di Ogm dovranno essere etichettati con la dicitura «questo prodotto contiene Ogm» oppure «questo prodotto deriva da Ogm».
L’etichettatura sarà richiesta anche per i prodotti in cui il Dna degli Ogm non può più essere identificato nel prodotto finale, come oli vegetali, amidi, zuccheri, ecc., finora esclusi dall’obbligo di etichettatura. Anche mangimi e additivi dovranno finalmente essere etichettati; basti pensare che i mangimi per gli allevamenti zootecnici (pollame, suini, bovini, pesci), costituiscono l’80% degli Ogm che entrano in Europa da oltreoceano. Secondo la Fao, nei paesi industrializzati il 70% della produzione dei cereali, ed in particolare della soia, viene infatti dirottato verso l’alimentazione zootecnica.
Anche se ancora lacunosi su alcuni aspetti, i nuovi regolamenti rappresentano attualmente le misure più rigide sull’etichettatura degli Ogm su scala mondiale, e dimostrano una certa attenzione nei confronti dei consumatori. Dati resi noti nel novembre 2003 dal Censis nell’ambito delle indagini condotte dal Monitor Biomedico, svelano infatti che il 57,3% degli italiani si dichiara favorevole agli interventi di ingegneria genetica se finalizzata alla prevenzione delle malattie. Ma la situazione si ribalta quando si parla di alimentazione: il 56,6% del campione è contrario e il 30,6% è favorevole. In seguito alla pressione dei consumatori, dettaglianti e grandi compagnie del settore hanno cominciato a puntare sugli alimenti non Gm. I primi sono stati Nestlè, Unilever e Cadbury nel 1999. Nello stesso anno la Monsanto ha addirittura deciso di eliminare per quanto possibile l’impiego di soia e mais transgenici dalla propria mensa aziendale!
DILEMMI E VINCOLI DEGLI SCIENZIATI
Secondo molti studiosi, non essendo ancora in grado di padroneggiare le nuove biotecnologie, l’unico atteggiamento razionale è quello di adottare il principio di precauzione, e quindi proporre controlli rigorosi alla sperimentazione e una moratoria sulle fasi successive. Il commercio dovrebbe essere guidato dal sapere scientifico, non il contrario.
Tuttavia, mentre da un lato gran parte dei biologi favorevoli agli Ogm lavora grazie a finanziamenti privati, dall’altro le risorse economiche pubbliche sono sempre minori. Il rischio che ne deriva è che sparisca una comunità scientifica indipendente, oltre che interdisciplinare. Dice Vandana Shiva: «I costruttori di refrigeratori non sono esperti dei danni prodotti alla fascia di ozono e i produttori di automobili non sono esperti di cambiamenti climatici, così come i genetisti non sono competenti di bioinquinamento».
La protezione della biodiversità richiede alcune radicali modifiche nel nostro modo di pensare, nei nostri modelli di produzione e consumo e nelle nostre politiche. E l’Occidente industrializzato dovrà attuare dei cambiamenti ancora più radicali. «La lezione da imparare – secondo Vandana Shiva – è la cooperazione, non la concorrenza: il grande dipende dal piccolo e non può sopravvivere se lo stermina».
(Seconda parte – fine)
(1) G. Celli, N. Marmiroli, I. Verga, I semi della discordia. Biotecnologie, agricoltura e ambiente, in bibliografia
(2) Worldwatch Institute, State of the World 2004. Consumi, in bibliografia
(3) Dalton H. et al, Patent threat to research, Nature 1997.
BOX 1
L’APPELLO DI GREENPEACE: «Entra in azione!»
I consumatori hanno un grande potere, quello di fare in modo che i supermercati, i ristoranti, gli alimenti che quotidianamente vengono acquistati, rimangano NON Ogm. Adesso che nuove norme sull’etichettatura, maggiormente restrittive, sono entrate in vigore (a partire dal 18 aprile 2004), con il tuo aiuto possiamo trovare i prodotti contenenti Ogm, identificarli, evitarli e mostrarli a tutti i consumatori. Alcune aziende proveranno ad introdurre prodotti etichettati Ogm nei mercati europei. Più persone rifiuteranno questi prodotti, più facile sarà salvaguardare il nostro diritto di dire NO agli Ogm.
Informa altri consumatori
Stampa il nostro volantino informativo e fallo leggere alla tua famiglia, agli amici, ai vicini di casa. Se è possibile lasciane alcune copie in negozi, ristoranti o dal tuo medico.
Diventa un Detective di Ogm
Ogni volta che vai a fare la spesa, guarda attentamente la lista degli ingredienti. Se trovi un prodotto etichettato Ogm, prendi nota dei dettagli del prodotto, del produttore, del nome e dell’indirizzo del supermercato, della data in cui hai trovato il prodotto in questione e dell’ingrediente Ogm segnalato sull’etichetta. Informa il Responsabile della Campagna Ogm di Greenpeace e, se possibile, fai una foto del prodotto (in particolare dell’etichetta) e carica la tua foto sul nostro sito. Apprezziamo molto il tuo supporto perché è essenziale per mantenere informati i consumatori in tutta Europa.
Restituzione – sostituzione – rimborso
Se senza saperlo compri un prodotto etichettato Ogm, dovresti riportarlo indietro al supermercato dove lo hai comprato e richiedere la sostituzione di questo con uno NON Ogm. Porta anche i tuoi amici a fare la stessa cosa. Perché non ci andate tutti insieme per dare più forza alle vostre idee? Più siete meglio è!
Protesta contro i cibi Ogm
Manda una lettera di protesta al tuo supermercato o all’azienda produttrice del prodotto Ogm per chiedere cibi NON Ogm. Perché non scrivi una lettera anche ai giornali locali e non incoraggi una discussione a livello locale?
Se vuoi puoi accedere al sito di Greenpeace Inteational dove puoi anche trovare le ultime notizie su come i consumatori stanno lottando a livello europeo per il proprio diritto di dire NO agli alimenti Ogm.
Fonte: www.greenpeace.it
BOX 2
La nuova normativa: i pro e i contro
• Pro. Nuova soglia dello 0,9% per ogni ingrediente.
La soglia massima, definita come «presenza accidentale o tecnicamente inevitabile», sotto la quale non vi è alcun obbligo di etichettatura, ha subito una modifica più di forma che di sostanza: è passata dall’1% allo 0,9%. Tale soglia fa riferimento a ogni singolo ingrediente usato nel prodotto e non alla massa o volume totale; questo significa, per fare un esempio, che se la lecitina di soia contenuta in una tavoletta di cioccolato deriva da materia prima transgenica per più dello 0,9%, dovrà essere etichettata anche se la lecitina è solo l’1% del totale degli ingredienti. È importante notare che questa soglia è applicabile soltanto a quei produttori che possono dimostrare di aver adottato tutte le possibili misure per evitare tale contaminazione.
• Pro. Controllo del processo.
Fino a oggi non dovevano essere etichettati quei prodotti contenenti ingredienti di provenienza transgenica nei quali, a seguito del processo di lavorazione, non erano più rintracciabili Dna o proteine transgeniche (come ad esempio oli, amido o glucosio), anche se provenienti al 100% da materie prime transgeniche. Grazie alle pressioni dei consumatori, volte a una maggiore trasparenza e informazione, con le nuove norme non sarà più così e anche questi prodotti dovranno essere etichettati se derivanti da materie prime transgeniche.
• Pro. Mangimi, transgenici o no?
Si stima che circa il 90% degli Ogm importati in Europa siano utilizzati nella mangimistica animale e nella produzione di oli e amidi. Finalmente, grazie ai nuovi regolamenti, si comincia a porre rimedio all’assoluta mancanza di regole in questo settore per ciò che riguarda l’utilizzo di Ogm: i mangimi dovranno essere etichettati rispettando la stessa soglia degli ingredienti alimentari, 0,9%.
• Contro. Senza etichetta i prodotti derivati da animali nutriti con Ogm.
Purtroppo, vanno segnalate ancora gravi carenze. A cominciare dai prodotti derivati da animali nutriti con Ogm, tuttora non soggetti all’obbligo di etichettatura. Parliamo di uova, carne, latticini, per i quali i produttori non sono obbligati a specificare in etichetta se gli animali dai quali provengono sono stati nutriti o meno con mangimi transgenici. Anche per questo motivo Greenpeace ha scelto di continuare a informare i consumatori attraverso la guida «Come difendersi dagli Ogm», contenente notizie sull’origine dei prodotti in commercio ottenuti o meno da animali nutriti con Ogm. Le liste di prodotti che Greenpeace propone (www.greenpeace.it) sono realizzate in base alle dichiarazioni scritte ricevute dalle aziende alimentari. Queste liste non comprendono tutti i prodotti disponibili sul mercato italiano, e poiché il mercato muta costantemente, le liste sono aggiornate periodicamente.
• Contro. Ogm non autorizzati.
Altro punto dolente delle nuove regole riguarda la tolleranza, fino a un massimo dello 0,5%, concessa per quegli Ogm non ancora autorizzati che arrivano comunque sul mercato europeo. Tale soglia scadrà automaticamente dopo 3 anni; a partire dalla scadenza, è tolleranza zero per gli Ogm non autorizzati.
Fonte: www.greenpeace.it
Silvia Battaglia