DOSSIER IMMIGRAZIONE (2)Donne cinesi

Fra gli extracomunitari, i cinesi di Torino costituiscono un caso speciale. I primi cinesi (esclusivamente uomini) vi giunsero prima della seconda guerra mondiale con l’intenzione di lavorare per qualche anno e poi ritornare in patria con una discreta disponibilità economica. Ma i guadagni, ottenuti con la vendita ambulante e abusiva di cravatte (ricordate il richiamo «clavatte, clavatte»?), furono molto scarsi.
Alla fine della guerra pochissimi ritornarono in Cina per rivedere i famigliari, di cui non avevano più notizie. Gli altri, che non avevano neppure la possibilità di affrontare le spese del viaggio, rimasero a Torino. Continuarono le loro vendite, estendendole però ad articoli di pelletteria che incominciarono a produrre a basso costo.
I piccoli imprenditori cinesi, con l’aumento della produzione, assunsero delle ragazze italiane. Furono costretti ad imparare la nostra lingua; nacquero i primi scambi culturali; si incominciò a superare le diffidenze reciproche, grazie anche a qualche matrimonio misto.
Negli anni ’50 si ebbe un nuovo flusso migratorio di cinesi, che potevano contare sull’aiuto dei connazionali, già residenti, per casa e lavoro. Nel 1960 arrivarono le prime donne cinesi, per unirsi ai rispettivi mariti. La disponibilità economica permise a molti di intraprendere attività nel campo della ristorazione e, in seguito, della confezione di abbigliamento.
A scoltiamo Ni Tianxiu o «Stella», per semplificare, come subito dice lei stessa. Laureata in Cina, mediatrice culturale di Alma Mater e vicepresidente dell’Associazione culturale cinese, Stella dichiara: «Attualmente a Torino vivono un migliaio di donne cinesi; lavorano industriosamente, partecipano allo sviluppo sociale dell’Italia e contribuiscono a colorare la cultura globale multietnica. Tranquille, silenziose e chiuse, rispetto ad altre comunità quasi non si notano. Come mai?».
Stella si scusa per la sua pronuncia; legge la sua relazione con difficoltà. Ma gli occhi le brillano; è vivacissima, allegra e contenta di essere fra noi. Il suo riso spontaneo ci conquista.
La lingua italiana, per le donne cinesi, è il più grande ostacolo all’inserirsi ed integrarsi nella nostra vita. La difficoltà di «convertire» la mente da un linguaggio di ideogrammi ad uno alfabetico scoraggia, a tal punto che le donne rinunciano alla vita sociale, si isolano e preferiscono lavorare come api operose e lasciare ai loro figli la possibilità di andare a scuola.
Spesso i figli (anche bambini) fanno da interpreti alle loro mamme nei negozi, negli uffici pubblici e ovunque sia necessario (persino nei consultori medici).
L’altro grave problema delle cinesi è la pianificazione familiare. In Cina, con l’imposizione della politica del «figlio unico» del 1979, le coppie hanno evitato di avere più di un figlio; però in Italia la maggioranza ne ha più di due. Spesso le donne cinesi si trovano nuovamente incinte 3-4 mesi dopo il parto.
A queste situazioni non facili contribuiscono varie cause; con un po’ di aiuto e collaborazione dall’esterno potrebbero essere scongiurate. Purtroppo alcune credenze, comunicate da altre donne (per esempio, l’impossibilità di rimanere incinta durante il puerperio), prevalgono sulle informazioni corrette, sovente completamente assenti. Non conoscendo la lingua, tante cinesi rinunciano alle visite specialistiche e alle cure: sarebbe per loro troppo complicato andare a Milano (dove operano ginecologhe e ostetriche cinesi), oppure attendere a lungo a Torino per avere un appuntamento con un’interprete a disposizione.
Inoltre l’obbedienza-sottomissione al marito (anche se non usa il preservativo) e la mentalità tradizionale (secondo la quale i maschi sono l’orgoglio della famiglia) fanno sì che le donne cerchino di avere figli maschi anche se hanno già partorito tante volte e la loro vita è pesantissima. Spesso sono addirittura i genitori del marito a decidere per un’altra gravidanza…
Così le donne cinesi sono costrette a stare in casa ad accudire i figli, perdendo ogni opportunità di imparare. Hanno un grande bisogno di aiuto.
Per loro Stella chiede a voce alta la possibilità di imparare l’italiano, con metodi bilinguistici semplici ed efficaci, nonché la presenza di mediatrici cinesi nelle istituzioni.

Silvia Perotti

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