VENEZUELA 2004 Tra Bolivar e Chávez (seconda puntata)

Venezuela 2004 (seconda puntata)


CHÁVEZ TI AMO, CHÁVEZ TI ODIO


In Venezuela la maggioranza della popolazione nasce da una combinazione di elementi indigeni, europei e africani. Ma un
dato di fatto è sotto gli occhi di tutti: il presidente Hugo Chávez è un meticcio, mentre i principali leaders dell’opposizione sono
bianchi. Esiste una componente etnica nella crisi del paese caraibico?
Ne abbiamo parlato con padre Agostinho Barbosa, superiore dei missionari della Consolata in Venezuela. Che tra l’altro
ammette: negare che le attuali divisioni politiche siano arrivate anche all’interno della chiesa e dei fedeli è negare
l’evidenza.


Caracas. «Il fatto è successo nove anni fa. Uccisero un ragazzo per rubargli un paio di scarpe, un evento allora piuttosto comune, soprattutto se si trattava di scarpe sportive. Anche i furti seguono le mode: ora, per esempio, va per la maggiore il furto di cellulari. C’è stato il momento delle pistole
dei poliziotti: venivano uccisi per rubare l’arma. Ebbene, durante i funerali del ragazzo mi avvicinai alla sorella che calzava un paio di scarpe sportive… uguali a quelle per cui il fratello era stato assassinato.
Le chiesi se non avesse paura di essere uccisa anche lei. La sua risposta fu che dobbiamo pur morire e, allora, perché avere paura?».
Portoghese, 38 anni, padre Agostinho Barbosa parla sottovoce, quasi avesse timore di offendere un paese a cui si sente profondamente
legato. Superiore dei missionari della Consolata nel paese caraibico, padre Agostinho ha pochi capelli, ma un aspetto giovanile.
«Ho ricordato – dice, trattenendosi
dal fumare un’altra sigaretta –
l’episodio delle scarpe non per giudicare
questo paese. Anzi, sono qui
già da 10 anni e mi dispiacerebbe
molto andare via».
I missionari vivono in una piccola
casa di un solo piano in una zona
chiamata El Paraíso. Il nome benaugurante
non è però sufficiente
per tenere lontani i problemi, che
sono molti, a cominciare dalla povertà
e dalla insicurezza.
A Caracas si concentrano 4 dei 24
milioni di venezuelani, molti attratti
e ingannati dai falsi miti della metropoli.
«Come spesso accade –
spiega padre Agostinho -, il paese
vero non si vede nella sua capitale.
Qui è tutto un correre: per il lavoro,
la casa, la sopravvivenza. Ora
poi tutto è più complicato a causa
dell’esplosione della crisi e della
violenza».

Attoo a El Paraíso ci sono vari
barrios: Las Vegas, Cota 905, Las
brisas del Paraíso, Las artigas, Antimano,
Carapita.

«Noi lavoriamo a Carapita – spiega
il missionario -. È un luogo difficile
e un sacerdote può cadere nella
tentazione di scoraggiarsi. Se tu
non esci, se non stai per strada, se
non cerchi il contatto, non c’è una
risposta della gente. Mi rallegra
molto la decisione che abbiamo
preso fin dall’inizio: andare dove c’è
più bisogno, dove anche i sacerdoti
diocesani non vogliono andare.
Lo stesso arcivescovo, quando gli
dicemmo che volevamo andare a
Carapita, si meravigliò, perché era
la parrocchia più difficile».

L’ALTRO VENEZUELA

La maggioranza dei venezuelani
sono meticci (o creoli, secondo una
terminologia più accademica). I
bianchi sono circa il 21% e vivono
a Caracas e nelle principali città. Gli
afrovenezuelani sono più o meno il
10% e abitano soprattutto a Barlovento
(stato di Miranda), a sud del
lago di Maracaibo (Zulia) e a Cumaná
(Sucre), tutte zone dove c’erano
(e ci sono) le piantagioni di
caffè e cacao. Gli amerindi (ovvero
i popoli indigeni) sono ormai ridotti
al 2% della popolazione totale; vivono
nella regione del bacino dell’Orinoco,
nella boscaglia della
Guayana e all’interno della giungla
amazzonica.

Dunque, fuori Caracas e in generale
fuori delle città, esiste un altro
Venezuela.
Fino al 1998 i missionari della
Consolata hanno operato tra gli indios
guajiros (1) nello stato di Zulia.
Padre Barbosa ha invece lavorato
per 8 anni nelle missioni di Barlovento,
tra i venezuelani discendenti
degli schiavi africani. Li chiama
negritos, non temendo di essere accusato
di patealismo.

«No, non è patealismo – spiega
tranquillo -. È affetto. Loro sono la
“mia” gente. Il venezuelano nero è
molto aperto, molto più del guajiro,
per esempio».
A Barlovento i missionari della
Consolata seguono 3 parrocchie
con 33 frazioni (caseríos). «Le distanze
sono notevoli – spiega
padre Agostinho -. E poi i
problemi organizzativi sono
complicati dal fatto
che le persone non si
preoccupano molto degli
orari (peraltro, ammetto
di non trovare
sgradevole questo aspetto
del carattere).
Loro dicono sempre:
“Vengo, vengo
un po’ più tardi”.
Sono stato in
Inghilterra e là
non era certo così. Qui devo fissare
un incontro alle 8 per poter cominciare
alle 9. Forse. Però, se uno si abitua,
non ci sono difficoltà».
«Ho trovato persone che vivono
alla giornata, nel senso che il domani
non ha molta importanza. O, meglio,
importa, ma non nel modo europeo
per cui bisogna risparmiare,
essere pronti per ogni futura evenienza.
Se c’è denaro va bene, se
non c’è non importa».
«Forse – continua padre Agostinho
-, è l’ambiente stesso, la natura
del tropico, che si riflette nei
comportamenti della gente. In Europa
devi avere una casa ben chiusa,
pronta per l’inverno; qui non è
necessario, dato che la temperatura
è sempre piacevole. Là
occorre seminare
nel giusto periodo
per
avere il raccolto nel mese adeguato;
qui non serve, perché il raccolto si
può fare varie volte all’anno».
«Non è vero che i negritos siano
dei fannulloni, come dicono molte
persone. Il fatto è che, a causa del
caldo, si lavora solo nelle prime ore
del mattino, per esempio nelle piantagioni
di cacao. Poi, verso le 10 del
mattino, li si vede già per strada, all’angolo
della chiesa o sotto un albero
di mango. Tutto ciò è comprensibile:
nessuno può lavorare
con 35-36 gradi e un tasso elevatissimo
di umidità. Magari, verso le 5-
6 del pomeriggio, quelle stesse persone
toeranno nei campi, ma la
maggior parte del giorno la passano
per strada».
Oggi la gente afro vive come
gli altri venezuelani
(anche se in condizioni
di più accentuata povertà), ma conserva le
proprie radici culturali. «Conosco –
racconta padre Agostinho – un afro
che è diventato avvocato e vive in
città. Ma, quando rientra a Barlovento,
si dimentica di tutto e torna
ad essere soltanto un nero con la sua
musica, i tamburi, i balli, l’acquavite».
Anche la loro cultura religiosa è
particolare, legata non tanto alle
tradizioni degli avi africani, quanto
piuttosto a quelle dei colonizzatori
spagnoli. «Guardano ai santi, alle
processioni – spiega il missionario –
. Per sentire che sono chiesa, che sono
cristiani, gli afro devono vedere
e toccare: toccare la statua del santo
o il padre».

PER SCHIARIRE LA PELLE

Incontriamo il dottor Manuel
Barroso, noto psicanalista, autore di
numerosi saggi. Ci spiega che in Venezuela
la «cultura dell’abbandono», importata dai colonizzatori,
continua a produrre moltissimi
danni nella struttura della società.
Nel paese ci sarebbe un 60% di figli
abbandonati o senza un genitore
(di norma il padre).

«Quella della famiglia è una questione
molto seria – ci conferma padre
Agostinho -, ma non mi limiterei
a spiegarla con il machismo. È
vero che il problema nasce per l’irresponsabilità
dell’uomo, ma anche
per colpa della donna a
cui della famiglia non importa
molto: quello che le interessa è
avere figli. Poi, se l’uomo non se
ne occupa, lo fa lei, cioè non lo
obbliga ad interessarsi di loro.
Quindi, è un fatto normale che i
fratelli abbiano padri differenti».
Per fortuna, c’è nella donna la capacità
di accettare i figli che il marito
ha avuto da un’altra. C’è anche la
disponibilità a crescerli come
se fossero suoi e a mantenere
buoni rapporti
con la madre naturale.
«Ho incontrato – racconta
il missionario – donne con
11 figli e solo 2 dello stesso
padre e questi comportamenti
si tramandano di generazione
in generazione. Ci sono
anche coppie stabili, ma i
numeri sono bassi. Personalmente
conosco due coppie sposate in chiesa (pochissime si sposano
in chiesa), che non hanno figli da
altre relazioni. Tutte le altre, anche
se magari convivono stabilmente,
hanno avuto figli fuori dal matrimonio.
Questi comportamenti riguardano
in modo particolare gli afrovenezuelani».
La sociologa Mercedes Pulido ha
spiegato a Noticias Aliadas (2) che
in Venezuela il colore della pelle è
sempre «caffè con latte. A volte con
un po’ più di caffè, a volte con un
po’ più di latte». La questione è se,
nel paese caraibico, il colore della
pelle sia o no un fattore discriminante
(3).

«Lo è, lo è – spiega padre Agostinho
-. Nella mia esperienza di
missionario, ho visto che ci sono negritas
che vogliono “migliorare” la
razza, schiarendo la pelle, perché a
loro non piace essere nere. Vedere
una afro con un figlio catir (quasi
bianco), mentre convive con un nero,
è facile. Molte donne di colore
cercano l’uomo bianco per avee
un figlio, ma rifiutano la convivenza
con lui.

C’era un italiano, un poliziotto,
che aveva avuto un figlio con una
donna afro: lei ha voluto il figlio, ma
non suo padre. Questo razzismo nasce
da un’autostima molto bassa,
probabilmente per un retaggio storico
duro a morire».
Per confermare questa sensazione,
padre Agostinho racconta altri
episodi accaduti durante i suoi anni
trascorsi tra gli afrovenezuelani.
Come il sacerdote cacciato perché
era «nero come noi». O il medico rifiutato
perché era «nero come noi».
O ancora la lite tra due donne afro
che si affrontavano dandosi del «taci
tu che sei più negra di me».

IL METICCIO CHÁVEZ
DIVIDE ANCHE IN CHIESA

Il presidente Hugo Chávez è un
mestizo. All’opposto la maggioranza
degli impresari, sindacalisti, politici
e giornalisti dell’opposizione
sono bianchi.

«Non so – spiega padre Agostinho
– quanto questa componente razziale influisca. So soltanto che la situazione
generale è complicata e
per noi anche molto delicata. Non
tanto perché il governo fa pressioni
sulla chiesa (questo non mi preoccupa),
ma perché abbiamo il difficile
compito di unire la gente mentre,
anche dentro la stessa chiesa, ci
sono persone che si odiano perché
uno ha un ideale e uno un altro, perché
uno ama Chávez e uno lo odia.
L’altro giorno una signora mi ha
raccontato che suo marito aveva
rotto il televisore, perché compariva
Chávez. Mi ha spiegato che non
ne avrebbe comperato un altro, dato
che il marito lo avrebbe rotto di
nuovo al riapparire del presidente e
ha aggiunto che non avrebbe fatto
la comunione perché provava un odio
fortissimo per Chávez. Un’altra
volta ho incontrato in chiesa una signora
inginocchiata e piangente. Mi
ha spiegato che stava chiedendo a
Dio che Chávez se ne andasse. Io ho
detto che, come per tutti, sarebbe
venuto anche il suo momento e che
Dio non parteggia per l’uno o per
l’altro dei contendenti.

D’altra parte, è altrettanto vero
che ci sono persone, soprattutto dei
quartieri più poveri, che amano il
presidente Chávez».

Il presidente è stato eletto con il
voto determinante delle classi meno
abbienti della popolazione. «Ma
non solo da loro – precisa padre Agostinho
-. Il Venezuela era in una
profonda crisi economica e sociale.
Anche per questo la gente ha votato
in massa Chávez, con la speranza
che lui salvasse il paese. Però non
si può dire che l’abbia fatto. Ha
grandi idee, buoni ideali, buoni
programmi, ma fino ad ora non si è
realizzato molto».

LA COSTITUZIONE
COME UN «BEST SELLER»

Per le vie del centro di Caracas
sulle bancarelle dei buhoneros (venditori
di strada) si trova in vendita
la «Costituzione della repubblica
bolivariana del Venezuela». Nelle
case dei quartieri poveri non manca
mai quel libretto, che può stare
nel taschino della camicia. Se Chávez
dovesse lasciare la presidenza, è
difficile pensare che tutto questo
venga dimenticato.

«È vero – ci conferma il missionario
-. Toare al passato non è più
possibile. Una cosa positiva è che la
rivoluzione bolivariana ha reso più
consapevoli i venezuelani. Questo
significa che il prossimo presidente,
chiunque esso sia, dovrà far i
conti con questa nuova coscienza
collettiva.
Oggi il paese è sul bordo del baratro.
Se dico che sono ottimista
mento, ma mento egualmente se dico
che sono pessimista.
Ricordo una frase che mi dissero
quando arrivai qui in Venezuela: il
venezuelano è molto tranquillo e
pacifico, ma non toccarlo nello stomaco:
è abituato ad avere cibo e
non sopporta di patire la fame».

QUELLA FIRMA DI APRILE

Durante i convulsi giorni dell’aprile
2002, la chiesa ufficiale venezuelana
si affrettò a riconoscere il
golpe contro il presidente Chávez.
In particolare, il cardinale Ignacio
Velasco, arcivescovo di Caracas,
firmò l’atto di accettazione del nuovo
governo di Pedro Carmona.
Padre Agostinho è molto cauto al
riguardo. «Io mi limito a pregare –
conclude il missionario -, affinché il
paese continui ad essere un paese
dove possano vivere sia gli uni che
gli altri. Noi cercheremo di giocare
il nostro ruolo senza metterci troppa
ideologia, se non è proprio indispensabile.
Come sacerdoti non dobbiamo
tanto schierarci contro Chávez, ma
piuttosto essere di stimolo affinché
il presidente torni ad orientarsi verso
i suoi ideali che erano buoni».

(FINE 2a. PUNTATA – CONTINUA)

Box

Fronte dei media. Come televisioni e giornali capovolgono la realtà

Tutti i principali canali televisivi e i
giornali nazionali del Venezuela sono
in mano all’opposizione. Non esiste
alcun tipo di «par condicio». Il presidente
non viene soltanto criticato (come
giusto e normale), ma deriso e insultato.
«Si sta consumando, nell’indifferenza e
nel silenzio del mondo – ha scritto il teologo
Giulio Girardi (1) -, un crimine
contro l’umanità: il soffocamento della
speranza dei poveri, rappresentata in
Venezuela dalla rivoluzione bolivariana
e dal presidente Chávez. Il silenzio che
avvolge e nasconde questa battaglia è
dovuto in larga misura alla complicità
dei mezzi di comunicazione di massa
(…), che presentano della situazione
un’immagine rovesciata, secondo cui un
popolo oppresso si starebbe ribellando
ad un presidente violento e repressivo».
I maggiori canali televisivi del Venezuela
sono:

• Canale 2, «Radio Caracas Televisión»
(di Marcel Granier)

• Canale 4, «Venevision» (Gustavo Cisneros)

• Canale 10, «Televen» (Omar Camero)

• Canale 16, «Globovision» (Federico Ravell).

Sul fronte opposto c’è Canale 8, «Venezolana
de Televisión», la piccola televisione
statale da dove, ogni domenica,
parla Chávez in prima persona nell’ambito
di un programma chiamato «Aló
Presidente!». La trasmissione è prolissa
(può durare ore) e spesso non rende
un buon servizio al presidente, che ha
nella sua «incontinenza verbale» un importante
punto debole.

Sono totalmente schierati con l’opposizione
anche i due principali quotidiani
del paese: «El Nacional» (di Miguel
Henrique Otero) e «El Universal»
(Andrés Mata Osorio).
Vanno inoltre segnalati due siti Web
particolarmente virulenti nei confronti
del governo Chávez e dei suoi sostenitori:
• www.reconocelos.com
• www.militaresdemocraticos.com
Il primo sito è una sorta di «wanted» elettronico
(o di modea «lista di proscrizione
»), dove appare il volto («Nunca
olvides estas caras»), il curriculum e le
abitudini di chiunque collabori e abbia
collaborato, a qualsiasi livello (dai ministri
ai giornalisti), con il governo; gli utenti
del sito possono inviare i loro commenti-invettive. Nella lista si trovano, ad
esempio, la dottoressa Osorio e l’ingegner
Giordani, colpevoli di essere ministri
del governo, o il giornalista Eesto
Villegas, reo di lavorare alla televisione
di stato. Il secondo è invece il sito dei militari
dissidenti che hanno il loro quartier
generale in piazza Altamira (2).

«In Venezuela – ha scritto Naomi
Klein (3) – perfino i telecronisti
sportivi vengono arruolati nel tentativo
dei mezzi d’informazione privati di cacciare
il governo democraticamente eletto
di Hugo Chávez. (…) Le tv private sono
di proprietà di ricche famiglie che
hanno seri interessi economici a sconfiggere
Chávez. (…) Nei giorni che hanno
portato al colpo di stato di aprile, Venevision,
Rctv, Globovision e Televen
(4) hanno sostituito la normale programmazione
con discorsi antichavisti,
interrotti solo da spot che invitavano gli
spettatori a scendere nelle strade. (…) E
se le tv si sono rallegrate apertamente alla
notizia delle “dimissioni” di Chávez,
quando le forze filochaviste si sono mobilitate
per ottenere il suo ritorno, è stato
imposto un blackout totale dell’informazione.
(…) Quando Chávez è
finalmente tornato al palazzo di Miraflores,
le tv (…) hanno mandato in onda
il film Pretty Woman e i cartoni animati
di Tom e Jerry».

(1) Si veda Adista del 4 gennaio 2003.

(2) Al riguardo si legga l’articolo pubblicato
su M.C. di maggio.

(3) Si veda Internazionale del 14 febbraio
2003.

(4) Alcuni siti web delle televisioni: www.globovision.
net; www.venevision.net. E dei due
maggiori quotidiani: www.eluniversal.com;
www.el-nacional.com. Il sito della presidenza:
www.venpres.gov.ve.

Paolo Moiola

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