TANZANIAPiccole oasi di speranza

Tra i tanti bisogni di una società in crescita,
il mondo della scuola non può essere dimenticato.
Soprattutto quando povertà e limiti impediscono di dare
a tutti la speranza
di un futuro. Per questo i missionari, rimboccandosi
le maniche, si sono dati da fare e…

Attraversando i villaggi del Tanzania, si resta colpiti dall’assenza di uomini, spesso partiti per Dar es Salaam o un’altra città in cerca di lavoro. Le donne ereditano tutti i compiti: curare i numerosi bambini (5 o 6 per famiglia), coltivare i campi, macinare farina per la polenta quotidiana, risolvere mille altri problemi…
Poiché la maggior parte dei genitori sono poco inclinati all’istruzione, sovente i bambini non vengono mandati a scuola. E quando il missionario insiste, tutte le scuse sono buone: è ancora piccolo, la scuola è troppo lontana, deve custodire gli animali, è indispensabile per andare ad attingere l’acqua…
Quale sarà il futuro di questi ragazzi? Li si vede sulla strada, ancora piccoli. Pascolano qualche bestia, trasportano legna da ardere, bidoni di acqua sulla testa per chilometri a piedi nudi, ai bordi di strade pericolose. Perdono così l’opportunità di istruirsi e… giocare.
Dove sono andati a finire i diritti dei minori? Milioni di loro vivono di queste situazioni o anche peggio! Molti, in Tanzania, hanno perso i genitori per l’Aids (il più grande flagello attuale del paese). Alcuni sono affidati ai nonni; altri abbandonati a se stessi. Quanti si troveranno ad affrontare la società e il futuro senza istruzione né un mestiere?
Piuttosto che sacrificare l’avvenire, coltivando un piccolo campo per assicurare la sopravvivenza dei famigliari, o occuparsi del bestiame, molti cercheranno un lavoro in città. Arrivano a centinaia, ogni giorno, nella capitale. Ma non trovano niente: hanno fame, rubano, si nascondono dai poliziotti, spesso vengono messi in prigione e maltrattati. Alcuni si drogano, altri si prostituiscono, l’Aids è sempre in agguato… e quelli che ne vengono colpiti ritornano a casa per morirvi.
Di fronte a questa dura realtà, con i problemi che ne derivano, i missionari della Consolata non sono rimasti con le mani in mano, ma hanno cercato di creare alcune «oasi di speranza».
«consolazione»
a largo respiro
A Tosamaganga, dove i missionari della Consolata arrivarono nel 1919, padre Luis Zubía ha realizzato, con la collaborazione delle suore di Santa Teresa del Bambino Gesù e personale laico locale, un’opera magnifica per gli orfani. I più piccoli, che hanno tra i 10 mesi e i 2 anni, occupano il nido; quelli di 2-3 anni sono collocati in un’altra sala, ma ve ne sono altri ancora più grandi.
È commovente vedere con quale tenerezza, attenzione e amore sono trattati: una compensazione per ciò che non riceveranno mai dai loro genitori. Padre Luis non lascia passare un giorno senza venire a portare un po’ di affetto a ciascuno dei suoi piccoli protetti.
A Mgongo, ultima missione fondata nel 1997, i padri Franco Sordella e Giulio Belotti, con fratel Mutisya Kyalo, Teresa e Paolo (una coppia di laici missionari portoghesi) hanno creato la Faraja House (casa della consolazione). Suo scopo è accogliere i bambini di strada e offrire loro una vita migliore, partendo dalle cose più semplici: accogliendoli con amore, lavandoli, nutrendoli, vestendoli ed educandoli nel miglior modo possibile.
Il compito è talvolta arduo, poiché questi ragazzi sono vissuti a lungo senza regole ai margini della società. Devono imparare a stare insieme, rispettarsi, svolgere incarichi e sviluppare il senso di responsabilità. Ognuno deve lavarsi i propri vestiti, partecipare alla pulizia della casa, lavorare nei campi o nell’allevamento del bestiame (10 vacche, 200 pecore, 65 maiali…). Tutto ciò, sotto la direzione di personale adulto.
L’istruzione occupa un posto importante. Tra i 75 ragazzi (tra 7 e 18 anni), 10 frequentano le superiori, 7 imparano un mestiere alla scuola tecnica, mentre gli altri vanno alla scuola elementare di Mgongo, costruita dai missionari della Consolata, ma gestita dall’amministrazione del villaggio.
Lo sport, soprattutto calcio e karaté, è compreso tra i mezzi di formazione: molti ragazzi, infatti, troppo occupati a sopravvivere, non hanno nemmeno avuto il tempo di giocare, di essere bambini…
Ricerche vengono fatte sulla loro provenienza, ambiente famigliare, natura dei loro problemi e, quando è possibile, sono reinseriti in famiglia, al termine delle scuole elementari. Scopo ultimo è di dare loro un mestiere che li possa rendere autosufficienti e permetta di vivere felici come adulti responsabili.
Certo, la perfezione non è di questo mondo: succede che qualcuno non riesca ad adattarsi e torna sulla strada, anche se il prezzo della libertà è molto caro. Tuttavia, la maggioranza diventa capace di vivere in società, lavorare e prendere in mano la propria vita, con una grande speranza di felicità.
Sempre nella diocesi di Iringa, alla missione di Madege, aperta dai missionari della Consolata nel 1996, i padri Dieudonné Ambinikosi e George Gichuki, coscienti del problema di adattamento di tanti ragazzi dei villaggi che i genitori non mandano a scuola, hanno inventato una specie di comunità per accogliere quelli dai 5 agli 8 anni, preparandoli a integrarsi nella scuola pubblica. Senza questo tipo di aiuto, molti non frequenterebbero mai la scuola e altrettanti l’abbandonerebbero prima di finire le elementari.
La collocazione di questa comunità è facilmente accessibile, per evitare ai piccoli alunni di dover camminare parecchi chilometri nell’andata e ritorno. Tutto viene messo in opera per venire incontro ai piccoli alunni di Madege e villaggi vicini.
La «stella del mattino»
Kasanga e Mindu sono due villaggi nella diocesi di Morogoro, dove padre Thomas Ishengoma, direttore dell’Allamano Seminary, si reca regolarmente con i seminaristi, per aiutare i bambini poveri o i cui genitori sono colpiti dall’Aids. Attualmente, in tale ambiente, l’80% dei ragazzi non va a scuola e l’istruzione non è percepita come priorità.
Semillero ya Consolata è il nome del progetto educativo che si è proposto padre Thomas. Si trova in un centro posto a Kasanga; l’obiettivo è favorire tutto ciò che può assicurare ai ragazzi una migliore integrazione umana e sociale, attraverso attività sportive o esercizi centrati sulla creatività, che aiutano la scoperta dei veri valori. Si aggiunge l’appoggio intenso per chi sta vivendo momenti di instabilità, dovuti spesso alla morte dei genitori o a gravi problemi economici. È un’assistenza personalizzata, che permette a ognuno di scoprire la propria dimensione umana e spirituale, potenzialità e possibili orizzonti futuri.
Sfortunatamente, tra coloro che riusciranno a terminare la scuola elementare, solo il 25% avrà accesso alle scuole superiori. Le distanze da percorrere sono ancora più grandi, ma questo non è l’unico problema: i costi sono troppo elevati per tanti poveri che, sovente, riescono con fatica a sopravvivere.
A Ilamba ci sono due istituzioni per favorire la frequenza all’istruzione superiore: scuola dei genitori e centro educativo Nyota ya asubuhi (stella del mattino), evocazione di quella stella che ogni giorno porta qualcosa di bello e nuovo.
La scuola dei genitori di Ilamba è stata costruita grazie alla generosità di benefattori spagnoli, «stimolati» da padre Salvador Del Molino, che ha permesso l’acquisto di un generatore, equipaggiamento da cucina e un trattore. Gli alunni che frequentano la scuola pagano le spese di iscrizione e dei pasti. Così, l’accesso alla scuola superiore è offerto a un più grande numero di ragazzi.
Nonostante questo progetto finanziato dai genitori, molti ragazzi di 15-16 anni non possono accedervi. Che fare? Cercare lavoro a Dar es Salaam, Makambako o Dodoma? Non è facile senza competenze professionali. Rimanere al villaggio, dove li attende il lavoro della campagna o l’allevamento del bestiame?
Tali attività rurali di semplice sopravvivenza hanno poche attrattive. Alcuni sceglieranno di restare in città, preferendo la sua miseria a quella del villaggio: piuttosto la fame che la schiavitù della terra o degli animali, sempre in balia delle bizzarrie del clima.
Come aiutare tutti questi ragazzi? Per loro è diretta la «Stella del mattino»: è un centro di formazione umana, morale, accademica (di livello superiore) e professionale, diretto da due suore della Consolata.
All’inizio del progetto, quattro anni fa, suor Cecilia Maingi, fondatrice del centro, aveva soltanto una piccola capanna in terra battuta e tetto di paglia; ma, pure con pochi mezzi, il fuoco della missione la bruciava. In poco tempo è riuscita a trovare risorse e manodopera per costruire aule, dormitori e laboratori, dove viene impartita la formazione a livello superiore e vengono insegnati vari mestieri a un gruppo di 120 studenti, che saranno sarti, cuochi, falegnami, muratori…
Alla fine dei corsi, i giovani affronteranno gli esami del Veta (Vocational Education Training Association) per ottenere il certificato di abilitazione professionale.
Suor Maria Artura, che da due anni si dedica a questi ragazzi, ci ha confidato che il Signore ha fatto miracoli per il centro, poiché alcuni benefattori italiani hanno accettato di installarvi acqua corrente ed elettricità, hanno donato un camion, indispensabile in questi luoghi così lontani dalla città, dove le strade sono impraticabili.
La scuola professionale ha una certa somiglianza con quella tecnica di Mgongo; è anche approvata dal Veta, che riconosce cinque specializzazioni: falegnameria, meccanica, calzoleria, segreteria e informatica.
Alla fine dei tre anni di studio, i giovani lasciano la scuola con un diploma riconosciuto dal governo e una cassetta di attrezzi per iniziare un’attività in proprio.

Ecco, dunque, alcune delle opere missionarie che lo Spirito Santo ha ispirato a padri, fratelli, suore e laici della Consolata per venire incontro ai più poveri. Proprio come aveva insegnato e sognato il beato Giuseppe Allamano: piccole oasi destinate ai ragazzi del Tanzania, perché trovino in esse la speranza di una vita migliore.

Ghislaine Chrete

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