Sconfitta l’apartheid, il Sudafrica
è alle prese con nuovi e gravi problemi
economici e sociali. I 17 missionari
della Consolata presenti nel paese
non si nascondono le difficoltà,
ma hanno intrapreso un cammino
di rinnovamento per fronteggiare
le nuove sfide. Ce ne parla uno
dei consiglieri generali dell’Istituto,
a conclusione della visita canonica.
L’ultima visita canonica avvenne
l’anno dopo in cui era stata
sconfitta l’apartheid: tutti i
sudafricani erano estasiati per i risultati
miracolosi e pacifici con cui i loro
leaders li avevano traghettati verso
il nuovo Sudafrica. Grandi erano
le aspettative di libertà, giustizia, lavoro,
benessere, scuola e salute uguali
per tutti. Il cielo aveva baciato
la terra sudafricana: il successo sembrava
possibile e a portata di mano.
A sette anni di distanza, il panorama
è oscurato da dense nubi: molte
promesse sono ancora nel cassetto e
nuovi problemi sono sopraggiunti a
complicare la vita della società sudafricana.
APARTHEID ECONOMICA
La situazione economica non potrebbe
essere più squallida. Un quarto
dei sudafricani sopravvivono con
meno di un euro al giorno; metà della
popolazione vive in case fatiscenti,
con un introito inferiore a 100 euro
al mese. Un quarto dei bambini
sotto i sei anni è affetto da insufficienza
alimentare, con gravi rischi
per il loro sviluppo cerebrale.
Dal 1990 al 2000 la disoccupazione
è aumentata del 20%: un lavoratore
su tre è senza lavoro. In alcune
parti del paese la disoccupazione
raggiunge il 50%.
Problema cruciale per l’occupazione
è sempre la questione della terra,
in buona parte ancora nelle mani
di pochi proprietari storici del tempo
dell’apartheid. La riforma agraria,
con la relativa ridistribuzione delle
terre, ha fatto passi da lumaca: il governo
non ha fondi per riscattarle.
Milioni di africani, agricoltori per
cultura e tradizione, ma senza proprietà
terriera, sono privi di ogni sicurezza
economica e devono accontentarsi
di lavori provvisori, banali e
poco retribuiti.
La distanza tra ricchi e poveri diventa
sempre più abissale. La povertà,
poi, ha effetti devastanti nei
comportamenti umani e sociali, che
sfociano nella criminalità, violenza,
prostituzione… e conseguente diffusione
dell’Aids.
L’epidemia dell’Hiv/Aids ha raggiunto
proporzioni spaventose: è responsabile
di una morte su quattro.
Nel 2000 il morbo ha provocato il
40% dei decessi di giovani e adulti
tra i 15 e i 49 anni ed è diventato la
prima e più grande causa di morte
nel paese. Le previsioni sono più terrificanti:
nel 2010 l’Aids avrà ucciso
dai 5 ai 7 milioni di sudafricani.
La mancanza di moralità e la scarsità
di provvedimenti seri a tale proposito
da parte del governo sono i
peggiori nemici degli sforzi che da
varie parti si stanno facendo per
combattere l’epidemia. L’autorità civile
cerca di nascondere la cruda
realtà: gli stanziamenti dei fondi per
la sanità vengono impiegati soprattutto
per combattere le malattie più
convenzionali, come la tubercolosi,
ma poco o niente per prevenire e curare
l’Aids.
SOCIETÀ VIOLENTA
Ad aggravare la situazione del Sudafrica
contribuiscono i mali comuni
al resto del mondo: disonestà economica
ed evasione fiscale nel settore
privato, corruzione e nepotismo
in quello pubblico.
Nonostante le leggi abbiano abolito
ogni residuo di razzismo, permangono
ancora atteggiamenti culturali
e pratici di discriminazione,
specialmente nei riguardi della donna
di colore, in particolare nel mondo
del lavoro.
La famiglia continua ad essere minacciata
nei suoi valori tradizionali
dal sistema di lavoro migratorio: centinaia
di migliaia di lavoratori sono
lontani da casa per quasi tutto l’anno,
oppure la distanza del posto di lavoro
assorbe buona parte della giornata
in viaggi.
Per la maggior parte dei sudafricani
la lotta per la sopravvivenza si
traduce spesso in disperazione, frustrazione,
criminalità, violenza familiare,
dipendenza da droghe e in altri
gravi problemi sociali che tormentano
il paese: il Sudafrica è uno
dei paesi più violenti del mondo; i
suicidi aumentano ogni anno.
La mancanza di sicurezza è spaventosa.
La gente vive nel terrore di
essere aggredita e derubata anche in
pieno giorno, sia in casa che fuori,
per mano di forsennati che non esitano
a uccidere.
Tale insicurezza non risparmia sacerdoti
e religiosi; anzi, sembrano diventati
bersagli facili e preferiti: recentemente
sono stati uccisi due preti
delle diocesi in cui lavorano i
missionari della Consolata.
BISOGNO DI CAMBIAMENTI
In tale situazione, le chiese cristiane
sembrano aver perduto quello
smalto profetico e autorità morale
che le caratterizzavano al tempo dell’apartheid.
Esse sono ancora in prima
linea nella lotta contro l’Aids; rimangono
sempre la voce dei poveri,
anche se non si fa sentire come prima;
partecipano allo sforzo nazionale
per iniettare nella società principi
e valori morali, promuovere sicurezza,
giustizia, armonia e unità di tutti
i sudafricani.
In una società che cambia tanto
velocemente, anche le chiese hanno
bisogno di rinnovare i metodi di apostolato
e testimonianza della fede.
L’atmosfera di materialismo ed edonismo
che si respira nel paese ha appiattito
alcuni aspetti della vita e lavoro
ecclesiale: la distanza tra i più
ricchi e i più poveri, i comportamenti
razzisti e classisti, persistenti
nella società e perfino nelle istituzioni
ecclesiali, non fanno più problema
come una volta.
I missionari della Consolata, da oltre
30 anni, vivono l’evoluzione del
Sudafrica e cercano di adattare la loro
presenza a tali sfide. Vari cambiamenti
sono avvenuti negli ultimi sette
anni; prima di tutto nel numero e
inteazionalità del gruppo: sono 17
missionari, appartenenti a 8 nazionalità
e 4 continenti, in maggioranza
giovani africani e sudamericani.
Tale composizione, non priva di
sfide a livello comunitario, costituisce
una ricchezza di idee, metodi ed
esperienze di lavoro: diversità e unità
sono a servizio della stessa missione,
e diventa modello e testimonianza di
convivenza e collaborazione per una
società pluriculturale e multirazziale
come quella sudafricana.
Con l’aumento del personale è avvenuto
anche un cambiamento di orizzonte:
dopo 20 anni di lavoro nelle
zone rurali, i missionari della Consolata
hanno scelto i poveri dei
grandi agglomerati africani alle periferie
delle grandi città: le townships,
create per le popolazioni nere in
tempo di apartheid.
Oltre a Madadeni, Blaauwbosch,
Osizweni, alla periferia di Newcastle,
i missionari della Consolata hanno
esteso la loro presenza nella città
di Pretoria, prendendo la responsabilità
di una parrocchia nella township
di Mamelodi; sono ritornati in
quella di Embalenhle (Evander);
hanno avviato l’esplorazione di un’apertura
a Soweto (Johannesburg).
Il passaggio dalle piccole e disperse
comunità rurali alle masse delle
zone industrializzate ha provocato
un cambiamento e arricchimento
dei metodi di lavoro. Per rispondere
alle complesse situazioni urbane
non è più sufficiente la buona volontà
di «navigatori solitari», ma occorre
il lavoro di «squadra».
Per questo in quasi tutti i centri vi
sono tre missionari e il lavoro pastorale
è fatto in gruppo: pianificazione
delle attività, divisione delle incombenze,
verifica e valutazione del lavoro
fatto, delle difficoltà e facilitazioni
incontrate.
In un mondo governato dall’individualismo,
che non risparmia neppure
i missionari, è forse questo il più
significativo cambiamento e si dimostra
utile ed efficiente. Ne è prova
l’elogio che il vescovo di Dundee
ha espresso nei riguardi della nostra
presenza a Madadeni, definita «la
migliore parrocchia della diocesi».
SFIDE E PRIORITÀ
Se molto è stato fatto in questi ultimi
anni, ancora molto rimane da fare
per superare le sfide crescenti della
società sudafricana. Oltre a esortare
i missionari al rinnovamento
della vita interiore, per guardare avanti
con speranza, i visitatori hanno
indicato la via e le priorità per il futuro.
«L’evangelizzazione deve precedere
la sacramentalizzazione; la
preparazione di leaders laici deve diventare
la vostra priorità; il lavoro
con la gioventù, già fiorente in tutte
le missioni, deve intensificarsi; l’assistenza
ai malati di Aids, che fa già
parte della vostra preoccupazione
giornaliera, deve crescere; l’inculturazione,
già visibile nella liturgia e
nelle celebrazioni, deve nascere anche
in altri ambiti della vita ecclesiale;
il dialogo ecumenico e interreligioso
deve diventare parte integrante
della vostra missione».
Una delle priorità che si impone ai
missionari della Consolata è l’incremento
dell’animazione missionaria e
vocazionale. Essa è sentita come una
responsabilità, non solo nei riguardi
delle comunità loro affidate, ma da
estendere a tutte le diocesi in cui sono
inseriti. La chiesa e il paese stesso
hanno bisogno di tale servizio, per
diventare più universali, più aperti agli
altri, più accoglienti delle differenze
di razza e nazionalità.
Per lungo tempo i missionari della
Consolata sono stati consigliati di
limitarsi a promuovere le vocazioni
diocesane, poiché la diocesi di Dundee
non aveva alcun prete diocesano.
Da una dozzina d’anni è stato loro
richiesto di avviare la promozione
vocazionale anche a favore
dell’Istituto. Alcuni tentativi sono
stati fatti, ma senza successo.
È arrivato il momento di aiutare la
chiesa sudafricana a fare questo passo
ulteriore: inviare missionari in altre
nazioni e continenti. «Vi chiediamo
di dare priorità a questo settore –
suggeriscono i visitatori – e di considerare
se sia giunto il tempo di avere
un animatore a tempo pieno, di fondare
gruppi vocazionali, costruire una
casa per questo scopo, organizzare
commissioni vocazionali diocesane,
lavorare con altre congregazioni,
fare qualsiasi altra cosa che possa implementare
un più robusto programma
di animazione missionaria e
vocazionale».
GIUSTIZIA E PACE
Anche questa è una priorità continua.
Quando il Sudafrica sconfisse
l’apartheid, gli africani ebbero l’impressione
che il paese sarebbe diventato
modello di società giusta per gli
altri stati africani confinanti. Ciò non
è avvenuto. Molte situazioni ingiuste
continuano con effetti deleteri per il
presente e il futuro del paese. I missionari
della Consolata sono esortati
a stare in prima linea nel servizio e
promozione di «giustizia e pace»,
dando il loro contributo agli sforzi
che la chiesa e altre istituzioni religiose
e civili stanno facendo. Sono convinti
che l’impegno per la giustizia e
la pace non è optional: il paese ne abbisogna,
la missione lo richiede,
l’evangelizzazione,
senza di esso, è sterile.
Norberto Ribeiro Louro