SRI LANKA – Triste isola splendente

Nonostante miti e leggende
di un passato felice, l’isola «più bella»
è, ormai da un ventennio, dilaniata da una lotta,
che oppone tra loro due etnie, diverse per lingua e religione.
I tentativi di riconciliazione non mancano, ma la pace
è davvero dura da conquistare.

L’isola radiosa. Pensavo di arrivare in un paradiso di natura incontaminata e gente felice; invece, mi sono trovata in un paese devastato da una guerra civile lunga 20 anni, divisioni intee, corruzione politica e grave crisi economica. La vita per la popolazione è molto dura. L’isola, che Marco Polo descrisse come la più bella, detiene il più alto tasso di suicidi al mondo.
ora, la povertà
Dai tempi di Polo, molte cose sono cambiate. I primi occidentali a prendere possesso dell’isola furono i portoghesi; poi arrivarono gli olandesi, che non furono meno oppressori dei primi. Nel 1800, gli inglesi riuscirono ad assoggettare il regno di Kandy, la bella capitale nel cuore dell’isola. Da allora, il territorio ha subìto pesanti modifiche: le foreste di essenze pregiate hanno fatto posto a estese piantagioni di tè; una ripida e lenta ferrovia si arrampica fino a 1.900 metri, tra le cime arrotondate dei colli, coperti da file ordinate di arbusti verdi.
Le raccoglitrici sono donne minute, con la cesta sul dorso, legata da una fascia appoggiata sulla fronte. Sono discendenti dai lavoratori che giunsero dal Tamil Nadu, con gli inglesi. Tuttora abitano misere casupole, senza servizi e in condizioni disumane.
Le condizioni delle lavoratrici cingalesi sono comunque sempre dure. Il 90% della forza lavoro nelle fabbriche è composta da donne.
Una polemica sui giornali riguardava l’apertura di una residenza, creata dallo stato, per dare una sistemazione alle operaie di una multinazionale dell’abbigliamento: 300 posti, suddivisi in camerate a sei letti a castello, per un totale di 30 mila operaie, ospitate nei villaggi vicini in condizioni spaventose. Ebbene, solo 11 donne hanno accettato la nuova «decente» sistemazione: l’affitto è troppo caro per la paga che ricevono (equivalente a 5 euro al mese), che deve servire pure per i familiari a casa e un futuro incerto.
Anche per gli uomini la vita non è facile, sia nelle campagne, in parte abbandonate, sia nella capitale Colombo. Il treno dei pendolari la mattina è stracolmo, con grappoli di passeggeri appesi alle porte e finestrini. Il traffico è caotico e pericoloso ovunque.
Tra un villaggio e l’altro non vi è soluzione di continuità: file di casupole e botteghe misere, fogne a cielo aperto. Il caldo e l’alto tasso di umidità rendono tutto più faticoso. Qualche villino nuovo c’è, perché chi emigra ritorna per costruirsi la casa e lo fa in stile moderno, dimenticando la tradizione.
La pesca potrebbe essere fonte di ricchezza, ma è sfruttata dai soliti giapponesi, mentre la maggior parte dei cingalesi dispone solo di una barca e usa metodi antiquati.
anche a palermo…
È domenica e nel tardo pomeriggio cerco una chiesa cattolica. Mi trovo ad Habarana, un villaggio di case sparse e strutture alberghiere nascoste dalla foresta. Il centro è un incrocio di strade, con piccole botteghe allineate e qualche officina. Un crocifisso in legno, piantato su una collinetta, mi indica il luogo: un piccolo complesso, con la scuola di catechismo e le abitazioni delle suore e del parroco.
Padre Eric Feando è giovane, alto e magro. Sorride quando mi presento: «Il mio è un nome portoghese, molto comune nel paese». La lunga tonaca bianca ha collo e polsini logori, ma puliti. Peccato, la messa è appena terminata, ma c’è tempo per parlare e si unisce a noi un suo amico, Neel Wijesinghe.
Neel appartiene alla polizia militare e subito mi spiega che nel suo paese non vi è leva obbligatoria, ma molti giovani entrano nell’esercito per avere un’istruzione e una paga. «C’è molta povertà – aggiunge – e la gente è spinta a emigrare nei paesi del Golfo e in Europa».
Molte donne lavorano nei paesi arabi del Golfo come domestiche e bambinaie e, sovente, vengono maltrattate dai padroni. Vi sono casi penosi, che rimbalzano sui quotidiani. Come quella donna suicida, a Dubai, che si era gettata dalla finestra dell’ultimo piano; o quel marito disperato, rimasto solo ad Habarana con 5 figli: la moglie, emigrata, è scomparsa dopo un’unica telefonata, fatta mesi dopo la partenza. Poi, più nulla. L’indirizzo dato dall’agenzia che le aveva procurato il lavoro era falso, il telefono pure.
Nonostante ciò, continuano a partire con ogni mezzo, sulle carrette del mare, rischiando la vita in mano a trafficanti di uomini senza scrupoli, a cui versano somme ingenti. Vogliono sfuggire le guerre e la miseria dell’isola splendente.
Neel mi dà una notizia sorprendente: «Come in molti altri paesi, anche in Italia, e precisamente a Palermo, esiste una base tamil. La mafia siciliana aiuta i nostri concittadini e poi li arruola. Ci sono molti modi per far arrivare le armi dall’estero».
Il cessate il fuoco tra i governativi e le «Tigri tamil» (Ltte) è durato solo un anno. Poco tempo fa, una nave senza insegne fu intercettata dalla marina militare: non ottenendo risposta, fu affondata. Poi fu scoperto che apparteneva alle Ltte e trasportava armi dall’Indonesia.
Il rischio di una crisi è vivo. I territori del nord e nord-est sono stati rovinati da 20 anni di guerra e, nonostante la lunga e attenta mediazione dei norvegesi, le cose stanno per prendere di nuovo una brutta piega. Il mosaico etnico culturale dello Sri Lanka è certo un problema, ma solo dopo l’indipendenza sono incominciate le violenze.
La divisione è data dalla lingua e dalla religione. Infatti, molti cingalesi hanno anche sangue tamil. Per noi, è difficile distinguere un tamil da un cingalese sulla base dei tratti somatici. I primi arrivarono dal sud dell’India, mentre i secondi discendono dai primitivi abitanti che, pare, ebbero origine dal nord dell’India. I cingalesi sono il 74% e sono buddisti, mentre i tamil sono circa il 20%. I discendenti di commercianti arabi sono musulmani, vivono sulla costa e in alcuni villaggi dell’interno.
nei «giardini delle spezie»
Da molti anni il turismo ha scoperto le bellezze dell’isola. Nonostante i lunghi anni di guerra civile e le bombe scoppiate anche nel centro di Colombo, gli arrivi sono continuati. La maggior parte degli stranieri viene a godersi il sole delle belle spiagge sulla costa, ma sono molti anche quelli che visitano siti storici e archeologici. Le antiche capitali, che guerre e invasioni hanno raso al suolo, conservano imponenti ruderi di pagode e statue del Budda.
L’isola splendente è luogo di miti e leggende. Il poema epico indiano Ramayana racconta del viaggio del principe Rama alla ricerca della sposa Sita, nel regno del demone Ravana, re di Lanka, che l’aveva rapita. Aiutato da Hanuman, dio delle scimmie, attraversò lo stretto che separa l’isola dal sud dell’India, punteggiato da una serie di isole.
Le invasioni dal continente continuarono nel corso dei secoli e spinsero gli abitanti a spostare le loro capitali sempre più a sud, all’interno dell’isola. Dall’India arrivò anche il buddismo, che caratterizza e identifica la maggior parte della popolazione, ispirandone la cultura.
Ashoka, il grande imperatore maurya, inviò suo figlio come missionario, nel iii secolo a. C. e, da qui, la nuova dottrina si diffuse in tutto l’Oriente. Anuradhapura fu capitale per mille anni. Qui, in un recinto sacro, si protegge e si venera l’albero più antico del mondo, nato da un virgulto di quello di Bodhgaya, India, sotto cui il Budda ebbe l’illuminazione. Fu portato qui dalla principessa Sangamitta, figlia di Ashoka.
I turisti ripartono felici dopo visite e soggiorni, ospiti di splendidi alberghi, al riparo da brutte notizie e cattivi incontri. Arrivano e ripartono in comodi pullman, che si fermano solo nei luoghi del turismo classico: negozi di falso artigianato, dove i batik sono teli stampati chissà dove. Nei «giardini delle spezie» vengono smerciati prodotti industriali e gli spettacoli folkloristici sono stati adattati al gusto di noi occidentali.
una dolorosa divisione
Lo Sri Lanka ottenne l’indipendenza nel 1948 e, fino allora, non vi erano mai stati problemi tra la maggioranza cingalese e il 10% di minoranza tamil. Tra questi ultimi bisogna distinguere i «tamil dello Sri Lanka», abitanti il nord del paese, giunti in epoca antica e i «tamil indiani» , discendenti dagli immigrati del Tamil Nadu, giunti nel 1800 dal sud dell’India per lavorare nelle piantagioni di tè, situate nel cuore dell’isola.
Questi vivevano in condizioni di pesante sfruttamento e povertà; per evitare che si potessero alleare con le classi povere urbane, nelle loro rivendicazioni, l’élite locale (che aveva ricevuto il potere dagli inglesi) si fece premura di emanare una legge sulla cittadinanza. Per la prima volta si introdusse il concetto di appartenenza etnica, che portò alla negazione dei diritti per la maggior parte dei tamil indiani. Oltre mezzo milione di tamil avrebbero dovuto trasferirsi in India, ma molti rimasero, senza le garanzie che solo la cittadinanza poteva dare.
Alla comunità era negato il voto, l’educazione superiore, la possibilità di acquistare proprietà statali, accedere a programmi di sviluppo rurale, ottenere il passaporto. L’opportunità di mobilità sociale era nulla: i tamil erano costretti al duro lavoro nelle piantagioni, con un salario minimo. Con l’etnicizzazione della forza lavoro, si spezzava la solidarietà delle classi povere.
La comunità dei tamil srilankiani venne invece coinvolta da tensioni negli anni successivi, a causa della questione linguistica. Mentre dal ’51 si pensava di introdurre sia il cingalese che il tamil nelle scuole, per riconoscere poi entrambe come lingue ufficiali, due anni dopo si sviluppò una corrente nazionalista cingalese-buddista, ispirata dall’influente clero. Ignorando così l’esistenza storica di buddisti e studiosi del buddismo di lingua tamil. Per la prima volta, i tamil srilankiani venivano considerati «altri», nemici in grado di minacciare i valori culturali.
Il movimento, nato intorno allo slogan Sinhala only, si rafforzò durante la fase di declino economico. Alle associazioni dei monaci si unirono insegnanti, medici e studenti di lingua cingalese disoccupati, che spingevano per ottenere il solo riconoscimento del cingalese. Nel 1956, il governo di Solomon Bandaranaike, padre dell’attuale presidente, approvò la legge che riconosceva il cingalese unica lingua ufficiale. Tentativi di fare alcune concessioni sull’uso della lingua tamil vennero violentemente osteggiati dal clero buddista militante.
Nel ’58 esplose la prima grave manifestazione di violenza etnica, con oltre mille morti. A Colombo, 12 mila tamil si rifugiarono in campi profughi, per poi essere trasferiti a Jaffna. L’accesso al pubblico impiego veniva così limitato e, dal ’69, anche l’ammissione all’università veniva stabilito in base a quote su base etnica. Chi sosteneva esami in lingua tamil doveva ottenere voti più alti rispetto a quelli sufficienti per i compagni di lingua cingalese. Nacque così frustrazione e malcontento, difficoltà di occupazione e mobilità, da cui scaturirà l’opzione del ricorso alle armi.
Nel 1972, la nuova costituzione negava lo status costituzionale alla lingua tamil, introducendo disposizioni a favore del buddismo. L’ideologia cingalese-buddista aveva vinto e si era estesa a tutti gli strati sociali, compresi i partiti di sinistra.
l’astuzia delle «tigri»
Quasi 20 anni di guerra civile, dal 1983 al 2001, quando si è firmato un armistizio che non pare definitivo. Le Tigri tamil hanno combattuto per ottenere uno stato indipendente, con costi enormi per il paese: molte vittime tra i civili, difficoltà economiche create da impegno di risorse a fini bellici, violazioni continue dei diritti umani. La spesa per la difesa, negli scorsi anni, assorbiva circa un terzo delle entrate dello stato, sottraendo risorse preziose allo sviluppo del paese. Il conflitto ha alimentato, negli anni, una serie di attività economiche: l’industria bellica ha impiegato sempre più persone, oltre 400 mila nuovi posti su 18 milioni di abitanti.
La gente è stanca della guerra e non solo i civili. L’esercito, in 20 anni, è decuplicato nelle sue dimensioni, ma molti si arruolavano per sostenere le famiglie povere. Ora vi sono molte diserzioni. Il governo ha sempre ostacolato la presenza di giornalisti, privando la popolazione del diritto di sapere e sottraendo il governo al dovere di rispondere del proprio operato.
Le Tigri hanno dimostrato di essere agguerrite, ben rifoite di armamenti, capaci di contrastare gli interventi governativi per il controllo del nord del paese. I tamil, fuggiti all’estero dalle regioni orientali, inviano rimesse pari a circa 500 milioni di dollari l’anno, che alimentano l’economia sommersa.
Entrambe le parti combattenti hanno regolarmente violato i diritti umani nelle regioni del conflitto. L’arruolamento viene fatto nelle zone più povere, da ambe le parti. I tamil arruolano anche i bambini, che rapiscono dai villaggi. La popolazione ha sofferto moltissimo per bombardamenti e combattimenti. Hanno perso la casa, sofferto la fame e subìto stupri da militari e poliziotti.
I governativi pare abbiano detenuto, torturato e ucciso persone sospettate di essere legate alle Ltte. A volte imprigionavano tamil solo sulla base della loro appartenenza etnica, per cui la presidente Kumaratunga è intervenuta a nominare uno speciale comitato per evitare arbìtri.
Con numerosi attentati, specie a Colombo, le Tigri hanno causato molte vittime. Nelle zone di guerra, chi si rifiutava di cornoperare con i tamil veniva torturato e ucciso. Inoltre, le Tigri hanno sempre attuato la pratica dell’omicidio politico, per affermare il controllo sul territorio.
Quando, nel 1998, si indissero le elezioni a Jaffna, ex roccaforte della Ltte riportata sotto il controllo governativo due anni prima, vi fu un’affluenza scarsissima: 17%. Vinse una donna, Sarojini Yogeswaran, del Tulf (Tamil United Liberation Front). Poco dopo, veniva uccisa dalle Tigri e stessa sorte toccava al sindaco della città. Le campagne elettorali sono sempre state accompagnate da violenze, malcostume, incidenti.
Intanto, il governo ha proseguito la politica di privatizzazione, cedendo agli stranieri anche la Telekom e le linee aeree Airlanka, nonostante le opposizioni della sinistra.
Oggi va segnalato l’impegno di mediazione del governo norvegese, che dal 2000 si è dichiarato disponibile a facilitare le trattative coi tamil.
una donna per la pace
Chandrika Bandaranaike Kumaratunga, presidente dello Sri Lanka, appartiene a una famiglia che ha segnato la vita politica del suo paese. La madre si è ritirata dopo le elezioni del ’99, a 84 anni, dalla carica di capo del governo.
Alla guida del Pa (People Alliance), fu eletta per la prima volta nel 1994, riconfermata nel ’99, con l’obiettivo di impegnarsi per pacificare il paese, da molti anni dilaniato dalla guerra civile. Il progetto di dare autonomia alle 9 province doveva alleggerire la tensione delle regioni del nord, abitate da tamil e teatro della guerra civile; ma non poté essere realizzato per l’ostilità sia del partito di opposizione Unp (United National Party), che dell’influente clero buddista. Il governo stava per indire un referendum popolare per ottenere la modifica costituzionale, quando la Ltte, partito dei ribelli tamil, fece esplodere un’autobomba a Kandy.
L’attentato ebbe luogo nel tempio più sacro del buddismo, che racchiude una preziosa reliquia del Budda. L’oltraggio portò tensione nel paese, irrigidimento del governo e stallo nel processo che doveva condurre alla pace…

Claudia Caramanti

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