RICORDANDO CARLO URBANI (3): Il libero mercato non basta
La democrazia porta automaticamente alla giustizia e alla eliminazione della povertà? Perché i bisogni essenziali (cibo, salute, casa, lavoro, educazione) non sono soddisfatti per la maggioranza della popolazione mondiale?
di Sandro Calvani
Quarant’anni fa, il presidente americano J.F. Kennedy aveva già intravisto la relazione di dipendenza reciproca tra le realtà contrapposte del Nord e del Sud del mondo, tra i molti poveri e i pochi ricchi. Egli ebbe a dichiarare: «Se una società libera non può aiutare i molti che sono poveri, non può nemmeno salvare i pochi che sono ricchi».
Quattro Decenni dello sviluppo delle Nazioni Unite, i cui obiettivi di giustizia globale sono sempre stati adottati all’unanimità dall’Assemblea generale, hanno tentato di avviare un cammino di restituzione Nord-Sud su quasi tutti i terreni della disuguaglianza.
Sono stati studiati, approvati e messi in pratica piani globali nel campo dell’educazione e cultura, della salute pubblica, dell’ambiente e risorse naturali, dell’alimentazione e agricoltura, dei commerci, dei diritti umani, del lavoro dignitoso e di molti altri settori ritenuti fondamentali per la giustizia e la libertà globali. Sono stati obiettivi condivisi dall’umanità intera, anche se con notevoli differenze di entusiasmo.
Una forte discriminante è la decisione di cosa va costruito prima, per esempio la democrazia o la giustizia, la sicurezza alimentare o il diritto al voto.
Nel suo recente libro di grande successo La Lexus e l’albero d’ulivo, Thomas Friedman, un brillante analista della globalizzazione, cita con approvazione alcuni dei principi di Karry Diamond, editorialista del Joual of Democracy. Diamond e Friedman osservano che ogni paese al mondo con un reddito pro capite superiore a 15mila euro l’anno è anche una democrazia (con la sola eccezione di Singapore, una città-stato dove però la democrazia si dice prossima). È certamente vero ed è un grande argomento citato da tutti coloro che vogliono accelerare la demolizione di tanti regimi non democratici più o meno dittatoriali o monopartitici.
Ma la sua osservazione ha due grossi limiti. Il primo è che non si dice che una gran parte di quei paesi sviluppati che beneficiano di una democrazia hanno avviato la loro industrializzazione e dunque anche la loro accelerazione nel progresso economico quando non erano ancora democratici.
Sei o sette secoli fa, quando le grandi epidemie scuotevano le società e le economie dell’Europa, furono gruppi di persone «illuminate» e «ispirate» a costruire prima i lazzaretti per isolare gli infetti e salvare le società ridotte numericamente del 30 o del 50%, poi costruirono gli acquedotti e le fognature in ogni città e in ogni paesino. Insegnarono l’igiene che era il primo passo della salute pubblica. I conventi e i monasteri avviarono l’alfabetizzazione dei bambini e crearono i primi collegi e le prime università. I nobili più illuminati protessero l’espansione dei commerci, la costruzione di strade, la promozione dell’arte e della cultura per il popolo.
Di democrazia, in tutte quelle prime fasi dello sviluppo, non c’era nemmeno l’ombra. Settecento anni fa, in Europa, e oggi in molte regioni povere del mondo, un padre e una madre, cui muore un figlio su due prima dei 5 anni di età, pensa prima di tutto a trovare il pane o il riso per domani; prima di pensare a lottare per la democrazia e la libertà.
La ricerca della sopravvivenza è così insita nel Dna umano che, quando essa è messa a rischio, ogni persona la cerca per sé e per i propri figli, anche per vie illegali o violente, se non c’è altro modo immediatamente a disposizione.
Non è dunque la democrazia che permette la comparsa del benessere e della giustizia, ma piuttosto è l’aver trovato risposte ai bisogni essenziali – cibo, salute, casa, lavoro, educazione – che crea un ambiente favorevole per la creazione di sistemi di stato moderno, democratico e rispettoso dei diritti umani.
Nel mondo contemporaneo, la difesa della democrazia e dei diritti umani non raramente è la causa di maggiore disperazione e deprivazione per i più poveri.
Dure forme di embargo vengono imposte a paesi governati da regimi autocratici e da dittature. Tra i più poveri, i bambini non vengono più vaccinati dall’Unicef o non ricevono più le zanzariere antimalaria dall’Oms, non ci sono più preservativi gratuiti o a bassissimo costo dell’Unfpa per difendersi dall’Aids, perché qualche parlamentare democratico in Europa o in America ha stabilito un «embargo totale» e sanzioni economiche contro i paesi fuorilegge.
In realtà, i dittatori di quei paesi non rinunciano certo all’acqua fresca San Pellegrino o Evian o al loro champagne preferito solo perché l’embargo vieta quei prodotti nei supermercati dei loro paesi. Un cargo militare va ogni mese a Dubai a fare gli acquisti.
Un paese del Sud-Est asiatico ha subito una storica condanna dell’Ilo (Inteational labour office), e addirittura è stata sospesa la sua partecipazione a quell’organo delle Nazioni Unite, perché il regime al potere tollerava il lavoro infantile e il lavoro forzato. L’embargo economico che ne è derivato ha causato il blocco degli acquisti di tessuti e generi di abbigliamento a basso costo prodotti da quel paese, prima esportati in Europa e America. I paesi vicini hanno bloccato anche il commercio e gli acquisti di prodotti alimentari da fabbriche oltre frontiera, dove le fattorie erano sospettate, a ragione, di impiegare ragazze sedicenni e quindicenni nella catena di produzione di maiali, galline, uova ecc. Tre mesi dopo l’inizio dell’embargo e delle sanzioni economiche, decine di grandi fabbriche e fattorie non hanno potuto sostituire lavoratori ragazzi con lavoratori adulti perché tutti gli ordini erano cancellati. Hanno potuto solo chiudere e licenziare tutti i lavoratori, sia i ragazzi che gli adulti.
Le ragazze sono finite dritte nei bordelli di frontiera dove si può affittare una bambina di 15 anni per una notte a 15 euro. Non pochi adulti, divenuti disoccupati, hanno chiesto alle loro figlie di dare una mano alla sopravvivenza della famiglia. Molte hanno capito come farlo solo arrivate a destinazione, quando i trafficanti di persone hanno imposto loro la prima notte di avviamento al lavoro.
Sono vittime della mancanza di democrazia, direbbero molti avvocati della dea libertà che tutto provvede. Sono in realtà più prosaicamente «vittime dell’ignoranza». Ignoranza dell’Occidente sulla complessità dello sviluppo, vittime degli embarghi, dei diritti umani difesi solo per principio ma non nei fatti. Lo dicono quei missionari che trovano in chiesa i bambini abbandonati – dopo gravidanze accidentali – dalle mamme bambine divenute prostitute per effetto dell’embargo causato da lavoro minorile.
L’altro grande limite del credere che la democrazia basti da sola a far nascere le condizioni che creano la giustizia (invece del contrario) è che – se anche fosse vero – i poveri, gli affamati, gli analfabeti, gli ammalati, i bambini abbandonati non lo possono sapere.
Gli emarginati della Terra, abbruttiti dalle miserie e dalla disperazione, non ascoltano Voice of America, non guardano la Cnn, non leggono i libri di Friedman, non aderiscono alle catene internet per chiedere libere elezioni.
I miei professori della John Kennedy School of Govement all’Università di Harvard erano brillanti e convincenti nell’insegnare che la libertà e la democrazia creano libero mercato che crea iniziativa, lavoro, occupazione e ricchezza.
Ma mi basta guardare negli occhi, in qualunque momento della giornata, i bambini più poveri di un campo di rifugiati di Mae Sot o in una grande pozzanghera della baraccopoli di Klong Thoey, al centro della ricca Bangkok, per capire che nella relazione di causa-effetto tra democrazia ed eliminazione della povertà ci sono più eccezioni che regole.
Harvard si è dimenticata che qui di diarrea si muore in sei giorni, di overdose di anfetamine per vincere la disperazione si muore in una sola notte, di una coltellata per un’usura non pagata si muore in dieci minuti. Troppo poco tempo per costruire la democrazia e la libertà. •
Sandro Calvani