KENYASinfonia di aiuti
Anche nei posti più difficili, è possibile far sorgere un’opera «quasi impossibile», come un ospedale. Eppure, unendo insieme fantasia, generosità
e competenza, il sogno può avverarsi. Come è successo nell’arido Tharaka…
S orta nel 1957 in uno sperduto lembo del Tharaka, 180 km a nord di Nairobi, la missione di Matiri copre un’area di 600 kmq con una popolazione di 46 mila abitanti di vari gruppi bantu.
La popolazione vive di pastorizia e, malgrado le frequenti siccità, di agricoltura di sussistenza, limitata alla coltivazione di miglio e granturco, dai quali ricava una polenta che è spesso l’unico pasto quotidiano.
Le strade sono pessime, l’acqua scarseggia. Per migliorare le condizioni di vita dei suoi parrocchiani, padre Orazio Mazzucchi, missionario della Consolata, unendo al servizio pastorale una capacità manageriale, ha trasformato Matiri in un perenne cantiere. La missione ospita varie strutture scolastiche e, fin dai primi anni ’60, un ambulatorio che per anni ha rappresentato l’unica forma di assistenza alla popolazione, afflitta delle principali malattie tropicali: malaria, tubercolosi, parassiti, lebbra, tracoma, Aids.
Rita: un volto
accanto a… Cristo
Nel 1987, il dispensario ha fatto un primo salto di qualità, grazie a un’infermiera volontaria piemontese, Rita Drago, arrivata sul posto con il Cuamm (medici missionari); da allora, non è più ripartita.
La sua dedizione e competenza le hanno subito guadagnato stima e fiducia della popolazione, in particolare delle donne, che hanno trovato in lei un valido aiuto sia nelle emergenze sanitarie, che nella gestione della vita familiare e prevenzione di malattie infettive. Tanto è l’affetto della gente di Matiri, che, al momento di adornare la modesta chiesa della missione con un ciclo di affreschi ispirati al vangelo, hanno voluto inserire anche il volto di Rita tra le figure che attorniano il Cristo.
Già allora frequentavano Matiri i volontari dell’Avi (Associazione volontariato insieme, di Montebelluna TV), nata su impulso del concittadino padre Pierino Schiavinato, uno dei tanti missionari della Consolata usciti dal seminario di Biadene. Tramite Rita, le donne tharaka presentarono all’Avi l’esigenza di assistenza continua e qualificata durante la gravidanza. Grazie all’associazione montebellunese, la collaborazione dei clan locali e gruppi organizzati femminili, nel 1995 si è potuto inaugurare una piccola mateità che, con i suoi 15 posti letto, ha garantito assistenza a circa 700 parti l’anno.
Fondamentale si rivelava l’apporto, sia in termini di lavoro personale che finanziario, del decano dell’Avi, Mario Olivato, che, con questa struttura a servizio dei bambini, ha voluto ricordare un figlio scomparso precocemente.
tutti insieme,
appassionatamente
Nel corso degli anni, la mateità ha trovato la collaborazione di vari medici volontari, che passano le loro vacanze a Matiri, dando una mano a Rita. Ma la mancanza di una sala operatoria e modee attrezzature diagnostiche non permette una piena risposta alle necessità dei pazienti; per di più, i 40 km di sterrato, che separano Matiri dall’ospedale più vicino (impercorribili durante la stagione delle piogge), potevano trasformare in tragedia anche la più banale patologia.
Tra i medici volontari passati a Matiri c’è anche Giorgio Giaccaglia, primario dell’Unità terapia intensiva dell’ospedale di Migliarino (Ferrara), che ha alle spalle una breve esperienza di volontariato presso l’ospedale di Sololo, nel nord del Kenya: ormai prossimo alla pensione, quando, come tanti suoi colleghi, potrebbe dedicarsi interamente ai guadagni dorati della libera professione, non accetta di assistere impotente alla perdita di tante vite e matura l’idea di trasferirsi in pianta stabile a Matiri, per avviare la costruzione di un vero ospedale.
La moglie Antonia, a sua volta infermiera, è la prima a condividere e incoraggiare il progetto. Giorgio ne parla, nel 1999, con un altro montebellunese, padre Livio Tessari, all’epoca responsabile dell’ufficio di cornordinamento degli ospedali africani dei missionari della Consolata; comincia a coinvolgere attorno a quest’idea colleghi e amministratori della sanità ferrarese, con i quali dà vita all’«Associazione Emiliano De Marco». Ancora una volta l’impegno per i bambini del Tharaka si lega al ricordo di un giovane italiano, mancato precocemente.
Padre Livio lo mette in contatto con Gino Merlo, presidente dell’Avi, e il progetto prende forma, potendo contare anche sul parallelo intervento di altre realtà del volontariato, come l’Ong «Mondo giusto» di Lecco e l’Associazione «La sola verità è amarsi» di Barzanò (LC).
I volontari lombardi sono alle prese con la costruzione di un acquedotto per fornire acqua alle opere di Matiri, di una centralina idroelettrica da 70 kw e un progetto di sviluppo agricolo: tutto sfruttando le acque del fiume Mutonga (cfr. Missioni Consolata, marzo 2003).
Tra il 2000 ed il 2003 si susseguono i rilievi e la progettazione, curata dall’architetto Zarattini di Ferrara, i contatti con la diocesi di Meru, le autorità locali e le varie iniziative di raccolta fondi, che coinvolgono banche, enti locali e donatori privati del Veneto e dell’Emilia. Vengono anche raccolte e rigenerate varie attrezzature sanitarie dismesse dagli ospedali.
con la benedizione
di sant’orsola
Nel luglio 2001, mons. Silas Silvius Njiru, vescovo di Meru, pone la prima pietra del costruendo ospedale, che, nel frattempo, vede nascere a Caserta un nuovo gruppo di sostenitori, riuniti nell’associazione «Una mano tesa per Tharaka».
I lavori di muratura vengono affidati ad Agrikenya Ltd, un’impresa di Nairobi gestita da un costruttore italiano, e decine di volontari trevigiani e ferraresi spendono le loro vacanze occupandosi di impiantistica, generatori elettrici, pannelli fotovoltaici, macchinari elettromedicali e quant’altro.
Non mancano (è ovvio!) né imprevisti e ritardi legati alla situazione locale, né le incomprensioni tra persone che stanno imparando a conoscersi strada facendo; ma, a eccezione di un residuo contenzioso con Agrikenya, l’entusiasmo, la fantasia e la consapevolezza dei bisogni che attendono una soluzione consentono di superare ogni ostacolo.
Il primo ottobre 2003, l’ospedale entra in attività e, nella sua gestione, viene coinvolta la congregazione delle Orsoline, che manda a Matiri tre suore indiane con competenze infermieristiche e amministrative. In un’area dove solo lo 0,5% della popolazione dispone di una stabile occupazione, l’ospedale significa anche una sessantina di nuovi posti di lavoro tra infermieri, assistenti sanitari, inservienti e addetti alla cucina.
Grande è la gioia per questo risultato, anche se velata dalla scomparsa di padre Livio Tessari, spentosi a Torino appena tre mesi prima.
Questo primo stralcio funzionale si sviluppa su circa 2.000 mq di superficie e dispone di due sale operatorie, sala parto, 50 posti letto di degenza, radiologia, ecografia, laboratorio analisi, ambulatori e locali di servizio. È la prima struttura del Tharaka a essere realizzata con copertura in tegole e tetto autoventilante, il che garantisce una buona temperatura intea. Ad essa si affiancano una casa per le suore e una per i volontari; sono state gettate le fondamenta per un terzo alloggio, destinato ai medici residenti.
L’assistenza medica e chirurgica è affidata a Giorgio Giaccaglia e all’infettivologa Marina Tadolini, ai quali si affiancano medici e paramedici emiliani e campani (si spera a breve anche veneti), anche se a regime l’ospedale dovrà necessariamente assumere personale medico locale. L’impegno di spesa ha già superato i 600 mila euro (senza contare l’apporto personale dei volontari) e almeno altri 200 mila di attrezzature e opere sono stati foiti dal Consorzio acquedotto del Po per l’approvvigionamento idrico.
Le previsioni per le spese di gestione sono di 250/300 mila euro all’anno, che sicuramente non possono essere reperiti sul posto e continueranno a lungo a impegnare le associazioni che ne hanno promosso la costruzione; mentre le aspettative che la popolazione riversa sulla struttura richiederebbero, già oggi, l’avvio di un primo ampliamento.
Il 31 gennaio 2004, il vescovo di Meru ha benedetto il nuovo ospedale dedicandolo a sant’Orsola, con una cerimonia nella quale padre Orazio Mazzucchi e Giorgio Giaccaglia hanno dato un emozionato benvenuto al superiore generale della Consolata, padre Pietro Trabucco, al superiore regionale padre Luigi Brambilla, autorità locali, volontari di Ferrara (accompagnati dall’assessore Alessandra Chiappini), di Montebelluna, Caserta, Barzanò, Fano e altre realtà che gravitano attorno alla missione. Il rappresentante del governo kenyano, che ha partecipato alla cerimonia, si è sbilanciato: ha promesso l’arrivo di una linea elettrica. Staremo a vedere.
A 80 anni suonati, è presente anche Mario Olivato che, nel frattempo, lasciata in buone mani la crescita della «sua» mateità, ha trovato tempo, energie e risorse per occuparsi di bambini orfani o abbandonati, affidati alle cure di Rita. Grazie a Mario, oggi Matiri può ospitarli in una nuova casa. La benedizione ai 65 degenti e le loro patologie, che spaziano dal morso del coccodrillo alle grandi ustioni, alla gravidanza complicata da malaria acuta, danno l’idea dei bisogni che affliggono la popolazione, mentre l’attaccamento alla vita di una piccola creatura, salvata il giorno prima con un cesareo dall’équipe di Giorgio, rafforza in tutti l’entusiasmo e la determinazione per continuare a lavorare.
La festa ha rischiato di trasformarsi in tragedia: sulla via del ritorno a Nairobi, alcuni partecipanti all’inaugurazione, tra cui l’assessore Chiappini e Antonia Giaccaglia, sono stati coinvolti in un incidente, riportando varie fratture. Ricoverati al Nairobi Hospital, hanno avuto la conferma che dalla sanità privata puoi trovare aiuto solo se disponi di adeguata carta di credito.
A Matiri invece, come ha ricordato nel suo saluto il vice presidente Avi, Francesco Tartini, l’ospedale di sant’Orsola si ispira al principio che la salute non è né un’opera di carità, né un bene di consumo; ma un diritto umano fondamentale.
Francesco Tartini