EDITORIALEMissionari con la “M” maiuscola
Missione, dal latino «mittere» (mandare): una parola sulla bocca di tutti. Curiosamente ognuno ne parla, vantandone una sorta di diritto di proprietà. A cominciare dal mondo ecclesiale, troppi aspetti della vita pastorale sono etichettati come «missione»; a forza di sentire che «la chiesa è missionaria per natura» e che «si è missionari in forza del battesimo», tanti cristiani si credono tali senza sentire affatto l’urgenza dell’evangelizzazione.
Ma al di là del significato teologico, si tratta di un vocabolo inflazionato, utilizzato a proposito o a sproposito da politici, intellettuali, operatori umanitari e militari. Quante volte si parla di «soldati… in missione»
Senza voler indugiare in sterili polemiche, sarebbe importante cogliere la linea di demarcazione tra la missione di chi ha fatto una scelta a carattere religioso e altri tipi di missione. Poco importa che si tratti di gesuiti, salesiani, saveriani, comboniani o della Consolata, tutti coloro che appartengono a queste realtà congregazionali non ricevono mercede alcuna; la loro è una scelta di vita totalizzante e non vanno in giro armati.
Vivono, alcuni addirittura da decenni, nelle periferie del «villaggio globale» in Africa, in America Latina, in Asia o Oceania, prodigandosi per i poveri, senza peraltro che la madrepatria – l’Italia nella fattispecie – sembri accorgersene. Rischiano spesso la vita, vengono sequestrati o addirittura uccisi nel quasi totale disinteresse della grande stampa.
Nel gennaio del 1999, ad esempio, furono rapiti dai ribelli alla periferia di Freetown (Sierra Leone) ben 13 missionari, tra cui sei Missionarie della Carità, la congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta, delle quali quattro persero tragicamente la vita.
Se da una parte è opportuno riconoscere le competenze e, dunque, il valore delle varie professionalità sul campo, al di là del fatto che uno sia in divisa, impegnato in un’operazione di pace o cornoperante a servizio di un’organizzazione non governativa, dall’altra non è lecito fare di tutte le erbe un fascio.
Vi sono diversi modi di interpretare la solidarietà a partire proprio dai valori ispiratori che possono prescindere o meno dalle indennità, dai contributi o da qualsiasi altra forma di agevolazione. Lo scorso anno, il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi disse pubblicamente che i missionari fanno onore all’Italia per la loro dedizione incondizionata in terre lontane.
Siamo certi che le sue siano state parole sincere, ma che vorremmo fossero anche accompagnate da una maggiore attenzione da parte dello stato. Basti pensare che quando i religiosi e i laici missionari sono all’estero è impedito loro di percepire la pensione sociale e ricevere ogni forma di assistenza mutualistica.
Ma forse proprio per questo è giusto dire che sono missionari con la «M» maiuscola.
Giulio Albanese
Direttore di MISNA
Giulio Albanese