DOSSIER TRANSIBERIANA (3):”Tutti in carrozza”

Vastità di orizzonti, familiarità con i viaggiatori, diversità di caratteri… le esperienze umane della traversata da occidente a oriente sono indimenticabili

L’ idea è giunta senza pensarci troppo, prendendo come pretesto il periodico rientro in Giappone di mia moglie Yasuko e nostro figlio Daigo. Così abbiamo deciso di raggiungere il Sol Levante via terra, percorrendo la Transiberiana e spezzando il tragitto in diverse tappe per non affaticare troppo Daigo.
Una volta appreso il nostro piano, amici e conoscenti hanno reagito in modi contrastanti: alcuni, scuotendo la testa, ci ponevano di fronte rischi e incognite a cui andavamo incontro, attraversando da ovest a est un paese imprevedibile come la Russia, arrivando a definirci incoscienti disgraziati nel voler infliggere una «tortura» simile a un bambino innocente. Altri, viceversa, manifestavano entusiasmo, interesse, e un pizzico di bonaria invidia verso noi tre, «coraggiosi» esploratori di mondi tanto diversi e sconosciuti.
E così eccoci qui, nella sconfinata Madre Russia: una definizione che solo chi ne percorre almeno parte del territorio può comprendere nella sua accezione più completa. Percorrere i 10 mila km della Transiberiana non comporta particolari esigenze, se non adattarsi alle lunghe percorrenze su treni che, del resto, sono piuttosto comodi e puliti.
L’intero percorso da Mosca a Vladivostok, lo abbiamo compiuto in sei tappe, fermandoci a Perm’, Novosibirsk, Krasnoyarsk, Irkutsk, Khabarovsk e Vladivostok.
La grande varietà di gente incontrata è sicuramente l’esperienza più interessante e ricca del viaggio e la presenza di bambini, anziché un handicap, si è rivelata una fonte preziosa di conoscenza reciproca.

S ul treno che da Mosca ci porta a Perm’, le famiglie che viaggiano sulla stessa nostra carrozza ci offrono cibo e bevande; molti hanno portato della vodka, ma debbono fare attenzione a non eccedere, perché la provodnik, la conduttrice, Elena Stanislavovna, ha avvertito tutti: «Chi si ubriaca, biglietto o non biglietto, scende immediatamente dal treno!».
Elena si dimostra comunque gentile, nulla a che vedere con le colleghe megere che controllano le entrate della metropolitana di Mosca, città che abbiamo lasciato più che volentieri alle nostre spalle.
Soprattutto, Elena Stanislavovna è una dipendente dello stato e come tale rispetta e fa rispettare il regolamento del Dipartimento dei Trasporti: così, ogni giorno, pulisce le cabine una volta, il corridoio tre volte, il corrimano due volte, quattro volte tira le tendine delle finestre (che noi regolarmente spostiamo per osservare il paesaggio). Infine, per la felicità di Yasuko, mia moglie, pulisce regolarmente i gabinetti.

S ul successivo convoglio che ci ospita, il treno 318 Perm’-Novosibirsk, la provodnik Anna, una ragazza sui 30 anni, magra, tutta nervi e vigore, si è subito dimostrata molto più rude e introversa della collega Elena. E se è vero che è possibile capire dalle sue conduttrici la qualità del treno su cui si viaggia, Anna ne è l’esempio più lampante: capelli biondi raccolti alla bell’e meglio attorno alla nuca, camicetta macchiata, aperta a metà, sino a lasciar intravedere il reggiseno, gonna nera male stirata.
La nostra cabina è una sorta di riflesso di Anna: lenzuola sgualcite e rattoppate, tavolino rotto, specchi scheggiati, vetri sporchi.
Quando ci presentiamo con i biglietti in mano, Anna mostra tutto il suo imbarazzo; guarda e riguarda i nostri documenti, confronta i dati con quelli segnati sui biglietti e alla fine si deve arrendere: sì, tutto in regola, siamo destinati a salire proprio sulla sua carrozza. «Di solito il treno 318 non viene assegnato agli stranieri» ci dirà poi una sua collega.
Il tempo di deporre i bagagli e Daigo è già scomparso; lo troviamo assieme a un gruppo di bambini che fanno a gara nell’offrirgli biscotti, noci, caramelle, susine, sotto lo sguardo divertito dei loro genitori.
Presto anche Anna si addolcisce: i suoi due figli, poco più grandi del nostro, viaggiano assieme a lei e al marito: Daigo diviene assiduo frequentatore del loro scompartimento.
«L’asilo del quartiere dove abitiamo a Mosca ha chiuso e il nuovo, che lo ha sostituito, è troppo caro per noi, così siamo costretti a portarci Volodia e Yulia con noi, avanti e indietro da Mosca a Ulan Ude e viceversa» mi confida, in un momento di calma, aggiungendo che il suo stipendio è comunque tra i più alti che un dipendente statale può sperare di ottenere.
Difficile non rimpiangere i tempi passati, quando si è costretti a vivere in queste condizioni.
Quando arriviamo a Novosibirsk, tutta la carrozza si raduna per salutarci, aiutandoci a portare i bagagli e regalandoci cibarie di vario genere. Anche Anna, la dura, che si è infatuata di Daichan, si lascia andare in un momento di commozione e bacia nostro figlio regalandogli un giocattolino.

A Irkutsk riesco finalmente a salire sul Rossija! Percorrere la Transiberiana senza salire almeno una volta sul leggendario treno rosso, bianco e blu (i colori della bandiera russa), equivarrebbe ad andare a Roma senza vedere il Colosseo o il Vaticano.
Rispetto ai treni presi in precedenza, questo guadagna in pulizia e cura. Inoltre Svetlana Victorovna, la provodnik, sembra già avvezza alle richieste dei turisti stranieri e si dimostra sempre disponibile a esaudirle. Non ha però dimenticato i suoi doveri e passa periodicamente a chiudere le tendine dei finestrini che, altrettanto puntualmente, noi apriamo per osservare il paesaggio.
La Siberia è ormai alle nostre spalle e ha lasciato il posto all’Estremo Oriente russo. La vicinanza del confine cinese si riflette chiaramente nelle facce dei venditori, che incontriamo nelle diverse stazioni e nei prodotti da loro offerti.
Prima di arrivare a Khabarovsk attraversiamo la Regione autonoma ebrea, creata nel 1928 da Stalin, che voleva raggiungere due scopi: dare ai giudei russi una sorta di terra promessa, in cui iniziare una nuova vita, e contrarli entro un’area ben definita, così da poterli facilmente controllare.
Oggi la maggior parte è emigrata in Israele e ciò che rimane a testimoniare la loro presenza sono i caratteri yiddish alla stazione di Birobidzhan, il capoluogo della regione.

L’ ultimo tratto ferroviario, da Khabarovsk a Vladivostok, lo percorriamo sull’Okean, il treno che percorre gli ultimi 760 chilometri di strada ferrata in dodici ore.
Ed eccoci giunti alla fine di questo viaggio lungo la Transiberiana, a 9.289 chilometri da Mosca. Ci allontaniamo osservando con molto rimpianto la magnifica stazione ferroviaria di Vladivostok, fronteggiata dalla più brutta statua di Lenin che abbiamo mai visto. •

Piergiorgio Pescali

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