REP. DOMINICANA – Cattiva, cattivissima
Santo Domingo è nota pure a diversi italiani,
che la raggiungono per ballare, e non solo.
A due passi dalle discoteche, casinò e spiagge
della città caraibica, incontri la piccola Mercedes.
E la musica cambia.
«Padre Franco, vorrei confessarmi di tutti i peccati dell’anno passato…». La richiesta arriva da Mercedes, cinque anni, un visetto furbo, profilo indio, zigomi sporgenti, occhi vispi. Questa volta, mentre parla, gli occhi li tiene bassi e sul volto ha un’ombra di tristezza.
– Mercedes, sei ancora troppo piccola per confessarti: prima devi partecipare agli incontri del gruppo di catechesi…
– Ma, padre Franco, io sono stata proprio cattiva l’anno passato – interrompe Mercedes, mentre un lacrimone le riga il viso -. E quest’anno i re magi non mi hanno portato nulla!
Ecco: nelle lacrime di Mercedes, nella delusione di questa bimba che non ha ricevuto nulla per la festa dell’epifania (giorno in cui è tradizione che i re magi lascino ai bambini giochi, dolci, vestiti), c’è il dramma vissuto dall’intero popolo della Repubblica Dominicana.
Recessione economica. Sono due parole tecniche, che diventano insostenibili davanti al pianto di Mercedes, nel barrio di Guaricano, alla periferia di Santo Domingo. Oppure davanti al ragionamento ironicamente amaro di Jos: anche lui, quest’anno, alla sua bimba di otto anni non ha potuto regalare nulla.
«Natale è una festa ingiusta – mi ha detto -. Vedi, mia figlia è stata buona tutto l’anno: ha raggiunto risultati eccellenti a scuola, è sempre disponibile in casa per i piccoli lavoretti, ogni domenica è lei che ci butta giù dal letto per andare a messa. E non ha ricevuto regali, perché non ce li possiamo permettere. Invece, quanti figli di ricchi sono cattivi e ricevono regali favolosi! Natale, la festa che premia i cattivi, purché siano figli dei ricchi!».
Recessione economica. A gennaio del 2003 potevi comprare un dollaro con circa 17 pesos. Oggi, dopo un anno, per comprare un dollaro occorrono almeno 50 pesos, con un’inflazione del 61 per cento. E, siccome tutta l’economia della Dominicana si basa su prodotti importati, il costo della vita è raddoppiato, triplicato in pochi mesi. Mentre i salari sono rimasti gli stessi.
Dietro a questa situazione, vi sono speculazioni che non possiamo neanche immaginare: ad alcuni conviene che il dollaro sia caro, perché così possono ottenere guadagni stratosferici (si pensi al settore turistico, dove tutti i pagamenti avvengono in moneta straniera).
E il governo? Mesi fa, quando il tasso di cambio del dollaro si è impennato, il presidente della repubblica, in una dichiarazione ufficiale, ha affermato che entro pochi giorni il governo avrebbe preso provvedimenti drastici e severi. Mentre si aspettava di sapere quali, il prezzo del dollaro, per l’effetto psicologico dell’annuncio del presidente, è sceso di qualche punto, permettendo un po’ di respiro.
Il presidente ha notificato i provvedimenti: ha convocato gli operatori economici e, dato che non aveva trovato plausibili giustificazioni per un così alto costo del dollaro, ha ordinato di farlo scendere, affermando che avrebbe utilizzato l’esercito per verificare se si adempisse a questa disposizione.
L’effetto è stato che adesso, se uno ha dollari da vendere, glieli pagano al prezzo stabilito dal governo (e ci rimettono quanti sono aiutati da parenti che, emigrati all’estero, lavorano per inviare dollari alla propria famiglia!); però se uno li vuole comprare, è impossibile trovae al prezzo stabilito dal governo (che non è il prezzo reale del mercato).
Alcune casas de cambio (sportelli di cambiavalute aperti al pubblico) sono state chiuse dalla polizia, perché non hanno rispettato le norme stabilite dal governo e hanno continuato a comprare e vendere dollari a prezzi alti.
Così è nato il mercato nero del dollaro, che sta prosperando in barba agli oculati e rigorosissimi rimedi governativi. Il tutto è ulteriormente aggravato dal fatto che molti generi iniziano a scarseggiare; e anche chi potrebbe permettersi di comprarli ora deve fae a meno: senza dollari, all’estero non si compra.
Per esempio, il gas per cucinare. Sono settimane che non si trova. Anche se hai soldi, non ce n’è! La gente del barrio ha cercato di organizzarsi: chi ha ancora un poco di gas cucina pure per le altre famiglie. Si vedono i primi capannelli di donne che cucinano in strada bruciando carbone (poco, perché costa!) e legna.
Paradossalmente, i problemi più gravi sono per chi, tra i poveri, è meno povero: chi vive nelle baracche riesce a bruciare un po’ di legna all’aperto; ma chi vive all’ultimo piano dei multis (case popolari costruite su quattro piani) ha molte più difficoltà a cucinare.
A questo si aggiunga la mancanza d’acqua: sono mesi e mesi che nelle case non arriva acqua. Penso alla famiglia di papà Miguel e mamma Juana: loro due, con tre bimbi e tre vecchi. Non si può scaldare il latte per il piccolo, non si può sancochar (bollire) il platano per la colazione, non si può cucinare il riso per il pranzo, non si può lavare la casa, non si può fare il bagnetto al bimbo…
Allora ogni mattina i due bambini più grandi, accompagnati dalla nonna, fanno due chilometri a piedi per raggiungere il posto più vicino dove riempire tre secchi da 10 litri, che nel tragitto di ritorno quasi si svuotano del tutto, fra la strada che è impossibile, il caldo, il peso, un vicino che ti chiede se gli permetti di riempirsi la brocca per lavarsi.
Quando i tre secchi arrivano a destinazione, uno è per una vecchia sola al terzo piano, che proprio non ce la fa a procurarsi l’acqua (senza retorica: i poveri sanno essere generosi all’inverosimile), e gli altri due bastano appena per lavarsi.
Una trovata (geniale) l’hanno escogitata alcuni ricchi, proprietari di autobotti: portano l’acqua a domicilio e la vendono a quattro pesos al secchio (non è acqua potabile, anche se molti la bevono, con immaginabili conseguenze). Forse è grazie a loro e al commercio che il problema dell’acqua non ha soluzione.
L’acqua il buon Dio la dona gratis, anche troppa a volte. Verso la fine del 2003 c’è stata un’inondazione: ha provocato 15 morti, centinaia di feriti e migliaia di case danneggiate (se n’è parlato nel ricco nord del mondo?). Di fronte ai danni e al dramma della gente, il governo ha dichiarato che le abbondanti precipitazioni, anche se hanno provocato disagi, favoriranno il futuro raccolto del riso…
Intanto quest’acqua, che ha riempito gli enormi serbatorni costruiti nel barrio alla vigilia delle elezioni, potrebbe arrivare senza problemi in tutte le case: basterebbe girare una valvola e permetterle di scorrere nelle tubature. Invece quest’acqua, se la vuoi, la devi pagare cuatro pesos a la cubeta.
C’è il problema della luce. Ma i politici dicono che non dovremmo lamentarci: nei giorni di festa l’abbiamo avuta anche per otto ore di seguito. Però da alcuni giorni l’abbiamo per tre o quattro ore al massimo. I giornali ci avvertono che ci saranno disagi ulteriori, perché il governo non ha pagato le compagnie che assicurano il servizio elettrico e sono prevedibili ritorsioni.
«Per fortuna» che la maggioranza della gente non sa leggere o legge solo le pagine sportive dei periodici (in Italia c’è il dio football, qui c’è il dio baseball). Insomma, una situazione esplosiva.
Per non parlare della campagna elettorale. Qui tutti sono impegnatissimi, compresi i governanti che, anziché governare, si fanno propaganda politica. Le elezioni presidenziali sono in maggio. Due dei tre principali partiti non sono riusciti a mettersi d’accordo sul candidato unico da presentare. Complessivamente si sono avuti 10 candidati per 3 partiti.
Il problema è che la costituzione della Repubblica Dominicana proibisce che si presentino più candidati per lo stesso partito politico. I politici allora, per una volta quasi tutti d’accordo, hanno pensato che, se la legge impedisce loro di essere in due o tre, la soluzione è semplice: fare una nuova legge che sancisca ciò che conviene a loro (questo mi ricorda qualcuno in Italia).
Quanti altri problemi si potrebbero aggiungere a quelli già presentati! Voglio però concludere con una nota positiva.
Oggi, qui, ciò di cui si sta facendo maggiormente esperienza, ciò che fa sentire dentro un’incontenibile voglia di lottare e dà la misura di quanto la gente sia pronta per una trasformazione radicale… è il fatto che non si è persa la speranza. Anzi.
Nel nostro barrio del Guaricano, tra la gente povera di Santo Domingo, in un paese afflitto da una situazione ogni giorno più insostenibile, non c’è solo un bisogno dirompente e assoluto di speranza. Qui, tra gli ultimi, il miracolo della speranza è già iniziato. Non la speranza basata su promesse elettorali o sul denaro del «buono di tuo». Speranza.
«C’è un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» (Gv 6, 9). Una speranza concreta, fatta di gesti concreti, condivisione concreta (come i cinque pani e due pesci, che basterebbero appena per me). I poveri già hanno iniziato il processo di solidarietà che rende storia la speranza.
Speriamo pure che chi è ricco, prima o poi, oltre a elargire un po’ di inutile superfluo, magari per sentirsi buono a natale o pasqua, dia consistenza autentica alla speranza, condividendo le migliaia di pani e pesci che possiede e che trasformerebbero definitivamente la speranza in libertà.
Compiendo un atto non tanto di amore, quanto di giustizia. I care.
Franco Bruno