Pietre… vive

Sono circa 200 mila i cristiani in Terra Santa:
una presenza a rischio estinzione.
Senza testimoni della risurrezione, i luoghi santi diventano musei di pietre… morte.

In molte parti del mondo i cristiani sono una minoranza contrastata e penalizzata nei propri diritti. Ma quando questo accade dove i cristiani sono nati, nella Terra di Gesù e nostra Terra Santa, la situazione suona più scandalosa e chiede un’attenzione particolare al cuore di ogni credente.
L’ho visitata più volte durante questa seconda intifada; l’ultima, lo scorso gennaio, con un gruppo di giovani musicisti torinesi: abbiamo incontrato la gente e pregato con loro. Al ritorno ci siamo fatti voce di quanti abitano e custodiscono per noi i luoghi della nostra fede.

STIMATI, MA EMARGINATI

I numeri, da soli, sono eloquenti: mezzo secolo fa, la popolazione cristiana della Terra Santa (Israele e Territori Palestinesi) era pari al 20% del totale, 35 anni fa era scesa al 13%; oggi supera di poco il 2%, pari a circa 200 mila anime. A Gerusalemme, nel 1922, il 51% degli abitanti era formato da cristiani; oggi sono il 2%. Negli anni ’60, Betlemme era cristiana al 90%; oggi lo è al 30%: nel solo 2003 ha perso oltre 2 mila cristiani.
Chi sono? In Terra Santa colpisce la varietà di espressioni cristiane: troviamo cattolici, ortodossi, fedeli di rito armeno, copto, greco, siriaco e cattolici di lingua ebraica.
Questi ultimi in particolare sono una comunità molto interessante, di recente formazione, nata in un contesto ebraico israeliano, con l’originalità e difficoltà che comporta professare una fede «altra» rispetto alle regole di vita e tradizione ebraica.
È una comunità che si fa strada e che, oggi, ha anche un suo vescovo israelita, il primo nella terra di Gesù dai tempi apostolici: è mons. Jean-Baptiste Gurion, monaco benedettino di origine sefardita.
Voci diverse, dunque, del nostro unico credo, che talvolta sembrano sovrapporsi nella difesa dei propri spazi, anche durante la liturgia nei santuari; ma voci che sanno parlare all’unisono per difendere il diritto dei cristiani nella terra in cui essi sono sempre più discriminati.
I cristiani cattolici, in particolare, sono prevalentemente di etnia araba e con gli arabi condividono le imposizioni del governo israeliano. Soprattutto a Gerusalemme e nei Territori occupati, dove, ad esempio, non hanno pieni diritti civili e politici, non possiedono passaporto, non possono acquistare case, né affittarle facilmente, hanno accessi limitati alle università e pubblica amministrazione; oggi, in più, subiscono le conseguenze del «muro» che separa, isola, impedisce di raggiungere la scuola, il posto di lavoro, la parrocchia…
Non solo. I cristiani subiscono anche i tentativi di espansione, proselitismo, condizionamento sociale e culturale da parte degli arabi musulmani. Alcuni esempi. Per l’ostinata pressione e l’esodo di tanti giovani cristiani, sono sempre di più le donne cristiane che accettano di sposare i musulmani, con la conseguenza di essere mogli di secondo grado in famiglie poligamiche; chiese e scuole cristiane sono spesso fronteggiate e disturbate da analoghi centri religiosi o scolastici musulmani; nella crisi occupazionale, i dipendenti cristiani sono i primi ad essere licenziati dagli imprenditori musulmani…
Vita difficile, quindi, per i cristiani in Terra Santa, anche se sono stimati per la loro serietà, coerenza e correttezza da entrambi i popoli di maggioranza. Le scuole cristiane, per esempio, sono riconosciute per la qualità dell’insegnamento e la proposta educativa, rispettosa di ogni tradizione, e sono frequentate da un gran numero di studenti musulmani.

GERUSALEMME: SPOPOLATA

Come vivono oggi i cristiani in Terra Santa? Male! Oggi più di ieri. Lo abbiamo visto per le strade semideserte (se confrontate con gli anni passati) e ascoltato dalla bocca della gente, che ci ha accolti come una benedizione. Soprattutto, lo abbiamo chiesto ad alcuni responsabili delle comunità locali.
«A Gerusalemme c’è una sola parrocchia di circa 4.500 anime – spiega padre Giorgio Abuasen -. Tra queste, 350 famiglie sono isolate dai blocchi dei check point. Nella città santa, i cristiani, in quanto arabi, non sono considerati cittadini, ma semplicemente residenti: hanno solo un permesso di soggiorno, non estendibile in caso di matrimonio.
Ma il problema maggiore è la disoccupazione, da quando si è fermata l’attività turistica, che rappresentava la loro pressoché unica risorsa.
L’attività pastorale comprende amministrazione dei sacramenti, formazione religiosa e, soprattutto, educazione alla convivenza pacifica tra fedi diverse: è quanto cerchiamo di trasmettere nelle nostre scuole, dove studiano insieme ragazzi cristiani e musulmani.
Poi ci sono le opere di carità, realizzabili con i contributi che la Custodia riceve dai cristiani di tutto il mondo. Poiché per gli arabo-cristiani non esiste diritto alla proprietà di case ed è difficile averle in affitto, abbiamo costruito alloggi per 475 famiglie; inoltre provvediamo ogni anno borse di studio per circa 120 studenti, perché possano studiare nelle università locali e frenare così l’emigrazione dei nostri giovani».

BETLEMME: TRA DUE FUOCHI

A Betlemme la situazione è ancora più tragica, afferma padre Ibrahim Faltas, passato alla storia come «fra telefonino»: tenne i contatti col resto del mondo per 39 giorni (2 aprile – 10 maggio 2002), quando la basilica della Natività fu occupata da 240 miliziani palestinesi e assediata dai militari israeliani.
«A Betlemme viviamo il dramma del muro che isola alcune famiglie, espropria le loro proprietà, danneggia le coltivazioni, annulla le già critiche attività di artigianato: alcune fabbriche di presepi sono state costrette a chiudere. Siamo sempre sotto il controllo del check point israeliano alle porte della città.
Ma anche da parte araba siamo costantemente presi di mira. Una volta Betlemme era abitata quasi completamente da cristiani; ora essi sono una minoranza, perché molti sono emigrati e i musulmani tendono a prendere terreno, nel vero senso della parola: stanno per costruire una loro scuola proprio di fronte al Terra Santa College; inoltre, forte è la pressione psicologica sulla comunità cristiana, sulle donne in particolare, affinché si sposino con musulmani.
Eppure noi cerchiamo di mantenerci in equilibrio, rispettosi di entrambi i popoli e delle autorità che li rappresentano, come abbiamo dimostrato nei giorni dell’occupazione e dell’assedio della basilica della Natività. Continuiamo a dialogare con ebrei e musulmani, forti della nostra fede e della nostra missione a custodia di questa terra».

MADRE FERITA E SOFFERENTE

Il custode di Terra Santa, padre Giovanni Battistelli, ci accoglie commosso e ci affida un messaggio: «Prima di questa intifada, quando venivano numerosi gruppi di pellegrini, dicevo loro di amare la Terra Santa, perché tutti siamo nati qui, è la nostra terra: qui c’è la radice della nostra fede. Ora ricordo che questa terra ha bisogno di loro, ha bisogno di voi: la Terra madre è ferita e sofferente.
Per i cristiani locali ci sono poche prospettive e hanno cominciato a emigrare; così noi francescani rischiamo di diventare custodi di pietre e non già di una comunità viva.
Durante il periodo dell’occupazione della Natività di Betlemme, abbiamo sentito forte la vicinanza di tutto il mondo; ma da quando i riflettori su quel tragico evento si sono spenti, ci sembra che la nostra chiesa si faccia meno presente. A nome dei cristiani di Terra Santa dico che abbiamo urgente bisogno di sentire la vicinanza, non solo spirituale, dei cristiani del mondo.
Dove sono i pellegrini, ora che il pellegrinaggio avrebbe un senso ancor più profondo e veramente fraterno? Se non riprende il turismo religioso, è il collasso dell’economia di questa gente, specie dei cristiani. La nostra speranza siete voi e quanti decideranno di venirci a visitare».
Non ci vuole un coraggio da leoni, oggi, per andare in Terra Santa: gli itinerari dei pellegrini sono fuori dalle aree ad alta tensione e la stessa Gerusalemme vecchia, cuore di ogni pellegrinaggio, è sicura nelle sue mura. Il visitatore può muoversi tranquillamente a piedi, sostare nei luoghi più sacri della nostra fede, incontrare la poca gente che ancora vi abita, percorrere le strade come ai tempi di Gesù… Un viaggio che oggi aggiunge al gusto della scoperta e dell’esperienza di fede il sapore intenso della solidarietà.

GERICO: CITTÀ DIMENTICATA

Venerdì, ultimo giorno del nostro viaggio. Avremmo la giornata libera per lo shopping tra le viuzze del suk di Gerusalemme, ma veniamo a sapere che la comunità cristiana di Gerico è in seria difficoltà. Isolata dal cordone di sicurezza dell’esercito israeliano, non riceve neanche la solidarietà dei gruppi di pellegrini, che preferiscono visitare altri luoghi, anche se conserva tracce di storia antica ed echi evangelici: il buon samaritano passava proprio di qui!
Informati che al check point i turisti passano facilmente, decidiamo di partire. Infatti, troviamo una lunga fila di macchine, ma per i turisti i controlli sono sbrigativi. Entriamo in una città deserta e desolata: strade spopolate, case abbandonate, negozi chiusi o semichiusi, campi incolti e… silenzio.
Raggiungiamo la scuola cristiana adiacente alla parrocchia, dove la suora responsabile sgrana tanto d’occhi a vedere un gruppo di venti giovani pellegrini da quelle parti. Ci apre le porte della scuola, dove vediamo tracce di speranza nei disegni dei bambini e nei residui degli addobbi natalizi.
Ci viene raccontato che a Gerico, oggi, la crisi è acuta per tutti, ma per i cristiani è drammatica: essi sono i primi a essere licenziati dai posti di lavoro nelle aziende agricole dei musulmani; per di più, i check point rendono impossibile raggiungere la sede lavorativa fuori città.
A Gerico non si produce più: non si coltivano più i campi intorno alla città, perché i soldati spesso negano l’accesso; si consumano prodotti d’importazione, sempre che l’esercito li lasci passare e, soprattutto, si abbia denaro per comprarli.
A scuola i ragazzi vanno senza più pagare la retta e gli insegnanti lavorano con uno stipendio sempre più precario. Nessun governo li aiuta.
La suora non ci nasconde la sua disperazione: lei, nata in quella terra, fatica a vedere prospettive di vita migliore e ripete che tra i due popoli in lotta sono proprio i cristiani ad essere più penalizzati e a dipendere unicamente dagli aiuti estei.
Quali aiuti? La suorina andrebbe in capo al mondo pur di trovare qualche risorsa per tenere aperta la scuola. Le lasciamo il frutto di una colletta improvvisata sul momento e le assicuriamo di non dimenticarci di loro.
Prima di andarcene cogliamo una nota di speranza, un incontro che può continuare e aiutare a credere nella pace: arriva una bambina per esercitarsi al pianoforte in vista del prossimo saggio musicale. Benché intimidita a vederci tutti insieme, accetta di far scorrere le dita sulle note di un nostro canto tipico: Tu scendi dalle stelle. La musica ci rende ancora più vicini! Le lasciamo il nostro spartito, insieme alla promessa di fare qualcosa per lei e gli altri bambini della scuola.

Chiara Tamagno

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