EGITTO – Glorie antiche e nuove miserie

Scorci di vita, arte e fede nella modea,
caotica e problematica città del Cairo.
È risorta l’antica biblioteca di Alessandria.

Incomincia alle quattro il canto del muezzin. È ancora buio e la voce è fonda, inquietante. Poi, canta il gallo. Dopo un’ora, il richiamo si ripete, più vicino, forte e insistente. Il suono vibra nell’aria: è tutto un richiamo, da moschea a moschea. Forse sono centinaia le moschee del Cairo e le più belle e antiche non sono lontane dal quartiere dove mi trovo.
Ieri ho percorso le strade tortuose, brulicanti di vita e traffico, che scendono dalla cittadella e si ricongiungono sotto le mura, a Bab Zuweila.
dall’alto di un minareto
Case e minareti dall’architettura preziosa, ma bisognose di restauri e pulizia, compongono un insieme di grande fascino, unico al mondo. Passano ancora i carretti con l’asino e i taxi sgangherati, ma audaci nell’evitare gli intoppi. Gli uomini per lo più fumano il narghilè o giocano a domino. Chi ha un commercio è grasso, seduto comodo, conta i soldi e fa lavorare qualche disgraziato, come servo. La vita pare quella del tempo dei mamelucchi, ha qualcosa di crudele. Le ingiustizie continuano e la sopravvivenza è dura.
Sono salita in cima al minareto di una delle tante moschee: una scala buia e stretta, piena di polvere e calcinacci, mi ha portato su un balconcino diroccato e polveroso. La vista al tramonto era commovente.
Il guardiano ha chiesto la mancia e mi ha lavato le mani con la sua bottiglia. La sporcizia è indescrivibile, copre ogni cosa. I tetti delle case sono terrazze colme di pattume e rifiuti. Le folate di vento sollevano la polvere e la spostano sulla città. Dicono che vivere e respirare, al Cairo, è come fumare un pacchetto di sigarette al giorno.
Ma la città mi affascina. Stamattina il cielo è limpido, dopo il vento della notte. Sono scesa in strada a cercare un luogo dove bere un tè. Nel quartiere non ci sono locali, tolto qualche fumeria per soli uomini. Ho chiesto informazioni e subito un signore mi ha portato una sedia e ha chiesto a un vecchietto magro, col turbante, di andare a farmi il tè. Il bottegaio vicino ha voluto pagare e mi ha pure dato da sgranocchiare una cialda di gelato.
Un drappello di curiosi si è fermato a darmi il benvenuto. Nel quartiere, la gente è accogliente. Molti sono cristiani e parlano francese. Chiese e scuole sono una accanto alle altre, con le moschee. Ci sono maroniti e greci ortodossi, cattolici di rito copto e armeni, melchiti, caldei e tanti altri, ma la grande maggioranza dei cristiani d’Egitto è copta. Le chiese sono numerose e i riti antichi durano ore e ore.
I francescani sono presenti in Egitto da 500 anni e hanno un santuario in città, Sant’Antonio, dove incontro il superiore provinciale, padre Samuele. Ai tempi delle crociate, san Francesco arrivò fin quaggiù, in Egitto, che è terra santa. A Damietta fu ricevuto dal sultano, che lo prese a benvolere. Ma prima, era stato imprigionato e picchiato.
«secolari», ovvero Laici

Ci sono anche egiziani che in moschea non ci vanno proprio. «Siamo secolari» mi dicono tre amici che incontro in un caffè di Zamalek, il bel quartiere residenziale nella grande isola sul Nilo, cuore della città. «Volete dire che siete laici?» domando. Non avevo mai sentito un’affermazione simile dai musulmani.
Gamal, Nabil e Ahmad sono giornalisti e ammettono di non andare mai a pregare. Lavorano per il più importante settimanale arabo, diffuso in tutto il mondo, Al Ahram. Ciascuno di loro è specializzato in un settore: economia, studi politici e strategici, politica internazionale.
Stiamo bevendo un cappuccino all’italiana: ho la sensazione di essere in una città europea. La loro mente è aperta, hanno viaggiato e conoscono il mondo. Non hanno evidentemente problemi economici e si confrontano spesso con persone di altre culture.
Cerco di sapere qualcosa di più sui problemi del paese, specialmente per quanto riguarda l’integralismo islamico. Ma non ottengo molto, solo notizie generiche. Più tardi, sfogliando il loro giornale, noto che anche le notizie pubblicate mancano di critica, sono elusive. Un articolo parla della carità pubblica durante l’epoca mamelucca, ma potrebbe andare bene anche nella situazione odiea: pochi eletti, che hanno grandi ricchezze, qualche volta si compiacciono di aprire un’istituzione di beneficenza per i molti diseredati.
La madonna «Sospesa»
Le carrozze del nuovissimo metrò sono stipate di studentesse che ritornano a casa dopo le lezioni. Quasi tutte hanno il velo sul capo. In pochi minuti, da piazza Ramses raggiungo il nucleo più antico del Cairo, la Babilonia di fondazione romana, del secondo secolo, di cui rimangono parte delle mura.
Un tempo ricca di chiese, è sempre stata la roccaforte del cristianesimo copto. Sono in corso lavori di restauro (era ora!) nelle cinque chiese cristiane rimaste, collegate tra loro da strette vie acciottolate. Ne trovo aperta solo una, quella dedicata alla Madonna, detta «la sospesa», perché costruita sopra i bastioni della porta romana.
Bishoy è uno studente universitario, che desidera fare conversazione in francese e in inglese. Originario di Wadi Natrun, è figlio di un avvocato e studia per diventare guida turistica. Insiste per accompagnarmi nella visita, parla anche un po’ di italiano e mi fa notare tutti i simbolismi nelle decorazioni della chiesa. L’iconostasi è in legno intarsiato, di cedro, ebano e avorio; il pulpito in marmo, con le tredici colonnine che simboleggiano gli apostoli e Gesù.
«I miei antenati hanno sempre pagato le tasse» afferma Bishoy, quando gli chiedo come è stato possibile mantenere la fede cristiana in tanti secoli di egemonia islamica. Per molti secoli, dopo l’invasione araba, pagare era l’unico modo per poter conservare la propria fede. Chi non poteva farlo, doveva convertirsi.
I copti, cristiani d’Egitto, sono molto forti e mantengono ottimi rapporti con i musulmani. Pare non si sentano assolutamente una minoranza, anche se sono solo 3 milioni. Due ministri dell’attuale governo sono copti, il nipote di Boutros B. Ghali (ex segretario generale dell’Onu) e una donna, anche lei di famiglia molto facoltosa.
Non ci resta che pregare!
Noha è orgogliosa di essere egiziana, ma ha passaporto canadese e lavora tra Dubai e Usa. Le vacanze le ha passate al Cairo, in famiglia, e ora ci troviamo in partenza insieme, all’aeroporto. Le ho appena confidato le mie perplessità su quello che ho visto e sentito in due settimane. Un islam forte, seguito e praticato come non avevo mai visto in altri paesi, moschee piene di uomini in preghiera, cinque volte al giorno, anche i bambini, che imparano dal papà a fare abluzioni e genuflessioni.
«Dove va il denaro del petrolio, del turismo, del canale di Suez? Questo presidente lo fa sparire, all’estero – spiega Noha -. Il suo entourage e la famiglia si sono arricchiti scandalosamente e continuano a sfruttare la situazione. La gente comune è disperata, paga le tasse e riceve paghe da fame».
Pare che l’Egitto stia passando una grave crisi economica. Persino le banche si rifiutano di soddisfare richieste di prelevamenti consistenti. «Quando si vive nella miseria più disperata – insiste Noha – non resta altro che pregare».
Coloro che vengono in gruppo per ammirare le ricche testimonianze di un’antica civiltà non si rendono conto della situazione reale del paese. Il nuovo aeroporto è ora collegato alla capitale da un viale fiorito, circondato da ville e alberghi di lusso; ma le guardie che vi fanno servizio, afferma l’amica egiziana, non ricevono più di 150 lire egiziane al mese (equivalente di 45 euro), gli spazzini circa 30.
Nel quartiere di Heliopolis vive anche Mubarak, in un palazzo fiabesco. «La verità non la trovi certamente sui giornali – aggiunge Noha, che collabora con alcune reti televisive americane -; il paese è tenuto sotto controllo col pugno di ferro. Ma la corruzione è a tutti i livelli. Esercito, polizia turistica e polizia segreta sono ovunque, specialmente nei luoghi frequentati dagli occidentali. Ma qui si può comprare chiunque, tutti sono corruttibili».
Altri dati me li fornisce Aldo, un tecnico di origine friulana che lavora in Egitto da sette anni. La sua vita l’ha trascorsa in cantieri di tutto il mondo. L’impresa francese per cui lavora ha costruito il metrò, ponti e sottopassi in città, e tra poco aprirà un cantiere di una diga sul Nilo, in alto Egitto. Dopo aver dato lavoro a migliaia di egiziani, ora ha incominciato a licenziare.
Aldo mi spiega: «Le imprese con più di 100 operai devono avere una moschea e lasciare il tempo ai dipendenti per partecipare alle cinque preghiere giornaliere. Nei primi tempi, i miei tecnici non andavano a pregare, ora ci vanno tutti!».
Un ingegnere riceve 300 euro al mese, ma se vuole far studiare i figli deve pagare una scuola privata: quelle buone costano molto care, fino a 1.500 euro al semestre. Gli operai ne prendono 75-100.
Gli italiani come Aldo sono numerosi in Egitto. «Avevo chiesto un appartamento piccolo, perché la mia famiglia non ha voluto seguirmi questa volta. Ma qui le case per gli stranieri, nei quartieri eleganti e pieni di verde, sono tutte molto ampie. Non ci sono mezze misure, come non esiste la classe media. Pochissimi hanno i soldi, gli altri sono poveri, ma pagano le tasse».
La situazione per il futuro si presenta tutt’altro che rosea.

DAI PAPIRI A INTERNET

F ondata da Alessandro Magno nel 332 a.C., Alessandria fu scelta da Tolomeo i (325-285), luogotenente del conquistatore macedone, come capitale dell’Egitto. Grande cultore del sapere, il monarca volle fae anche la capitale della cultura, con la raccolta sistematica di testi su tutto lo scibile del tempo, per preservarli e metterli a disposizione del pubblico. Con la collaborazione del letterato greco Demetrio Falerio, nel 292 a.C., diede vita a due istituzioni: la biblioteca e il museo. Nella prima venivano raccolti i testi; nel museo (casa delle muse) erano fatte le edizioni critiche dei testi e ricerche di carattere scientifico.
Museo e biblioteca furono una vera fucina di cultura. Di lì passarono i più grandi cervelli dell’epoca, tra i quali il matematico Euclide, il pittore Apelle, Erofilo di Calcedonia, fondatore dell’anatomia scientifica, il poeta Callimaco, Eratostene (244 a.C.), che calcolò la circonferenza terrestre, con uno scarto di appena 70 km.
Qui fu tradotta in greco la bibbia ebraica (la famosa traduzione dei Settanta), vennero scritte opere come il libro biblico della Sapienza e Filone cercò di armonizzare la teologia dell’Antico Testamento con la filosofia greca.
L’ambiente alessandrino ebbe un notevole influsso anche sul cristianesimo primitivo, soprattutto nel campo teologico e missionario.

S i dice che, ai tempi di Cleopatra, la biblioteca contenesse 700 mila opere, tra papiri e pergamene. Ma proprio durante il suo regno, 40 mila rotoli andarono in fumo, quando Giulio Cesare, nel 48 a.C., appiccò il fuoco alla flotta egiziana e le fiamme si propagarono anche alla biblioteca.
Più gravi furono gli incendi dei secoli seguenti, tra cui quello provocato da Zenobia, regina di Palmira, nel 269 d.C., dell’imperatore romano Diocleziano, nel 295, e di Teofilo o Cirillo, vescovi di Alessandria, nel 391.
Gli storici si sbizzarriscono per sviscerare le leggende e spiegare i motivi di tante distruzioni. La classe sacerdotale egiziana avversava gli scritti esoterici di altre religioni, con relativi segreti e formule di alta magia; i romani, cominciando da Cesare (si dubita che il rogo sia stato accidentale), temevano i testi di alchimia, con i quali l’Egitto avrebbe potuto cambiare il ferro in oro (così si credeva), mettendo a rischio la supremazia dell’impero romano; c’erano invidie campanilistiche tra Alessandria e Pergamo, altro centro culturale di quel tempo, dalla cui biblioteca Pompeo sottrasse 100 volumi per regalarli a Cleopatra. Infine, con lo sviluppo del cristianesimo, la biblioteca era l’ultima roccaforte del paganesimo.
Ma il colpo di grazia venne dalla conquista araba. Nel 642 Alessandria fu presa e saccheggiata dalle truppe del generale Amr Ibn-el-as. Un cristiano studioso di Aristotele, Giovanni Filopono, cercò di persuaderlo a risparmiare la grande biblioteca. Il generale chiese consiglio al suo sovrano, Omar i, califfo di Baghdad, che gli rispose: «Se i libri contengono cose difformi dal Corano, vanno distrutti perché non dicono il vero; se il loro contenuto si accorda col Corano, vanno distrutti ugualmente perché inutili».
Si dice che i rotoli furono usati come combustibile dei bagni termali della città, che erano circa 4 mila; ci vollero sei mesi per bruciarli tutti, incenerendo così il patrimonio culturale pazientemente raccolto per quasi un millennio.

A 14 secoli di distanza, un nuovo tentativo di raccogliere in un unico luogo il sapere umano. Sotto la direzione dell’Unesco e con i contributi inteazionali (1 milione di euro dall’Italia) è stata ricostruita, più o meno sui resti dell’antica, la nuova Bibliotheca Alexandrina, inaugurata ufficialmente il 16 ottobre 2002, destinata a diventare la più grande biblioteca del mondo: può contenere 8 milioni di volumi.
Per la struttura, il nuovo edificio non ha molto a che fare con l’antico. Si sviluppa in altezza per 11 piani: 4 nel sottosuolo e 7 in superficie; ha la forma di un disco solare (simbolo di Ra, il dio del sole) di 160 metri di diametro: un lato è rivolto verso il Mediterraneo, l’altro verso il cielo; il tetto assomiglia a un microchip, emblema di modeità.
I testi delle tradizioni religiose sono nei piani inferiori; in quelli superiori le scienze modee; nei piani più alti l’high tech. Anche la disposizione simboleggia l’incontro tra passato e presente, storia antica e modea.
La biblioteca è infatti dotata di modei supporti informatici, strumenti multimediali, audiovisivi, sofisticati strumenti ottici per analizzare nel dettaglio gli antichi papiri.
Sulla facciata del corpo principale sono incisi 4 mila caratteri, espressione di tutte le lingue del pianeta.
È dotata pure di un ottimo sistema antincendio. Eppure, all’inizio di marzo 2003, il fuoco sviluppatosi al quarto piano, ha distrutto molti uffici e intossicando lievemente una quarantina di persone, ma senza danni per le opere.
C’è ancora qualcuno che non vuole questa biblioteca?

B.B.

Claudia Caramanti