N el cuore del Burkina Faso, Ouagadougou si estende in tutte le direzioni, come una macchia d’olio su un piano senza barriere naturali. Da alcune centinaia di migliaia di abitanti degli inizi anni ’80 si stima oggi superi il milione e duecentomila, il 10% dell’intero paese. Continua l’esodo dei contadini dalle campagne in cerca di fortuna verso l’antica capitale dell’impero Mossì. Così i quartieri periferici si allargano, si gonfiano in una distesa di case basse, quasi tutte a un piano, massimo due.
La polvere è l’elemento onnipresente e, quando si solleva l’harmattan (il vento che soffia dal Sahara), avvolge ogni cosa. L’aria è resa irrespirabile da quel centinaio di migliaia di moto e motorini che sono diventati una caratteristica imprescindibile di questa città.
Solo in centro, alcuni palazzi a più piani, uffici amministrativi, banche, si elevano sul panorama urbano. Molti di questi edifici si concentrano lungo l’avenue Kwamé Nkrumah, la via dei grandi hotel e negozi con le vetrine della capitale. Ma intorno al corso a due carreggiate, girato l’angolo di una qualsiasi traversa, ci troviamo su strade sterrate, in un quartiere in cui molte case sono ancora in banko intonacato (mattoni di fango essiccato).
Siamo a Zangoetin, quartiere storico di Ouaga (come gli abitanti chiamano famigliarmente la città), che il governo ha deciso di demolire per edificarvi una zona commerciale, di strade asfaltate e palazzi con l’aria condizionata. È l’operazione Zaca, che porterà allo sfratto degli abitanti di cinque quartieri storici che, è previsto, saranno indennizzati.
Nei meandri
Entriamo in una di queste vie, a due passi dalla Nkrumah: è così stretta che due macchine non ci passano. Un’entrata sulla strada apre in una corte intea, piccola e piena di vita. Diverse porte di altrettante stanze danno sullo spazio aperto, ognuna è la dimora di una o più persone.
Ci accoglie un uomo di media corporatura, con le orecchie a sventola e un largo sorriso, a cui mancano un paio di denti. È Tasseré Derrà e questa è la casa di suo padre, dove la famiglia ha sempre vissuto per decenni. Il vecchio ha oggi più di cento anni.
Tasseré parla un buon francese, oltre che la sua lingua madre, il moore. Ha un problema a un piede, che lo costringe a camminare zoppicando. «Da piccolo – ricorda – ebbi una malattia e al dispensario mi fecero un’iniezione che mi paralizzò la gamba. Mia madre, allora, mi portò al suo villaggio di origine e qui i medici tradizionali, quelli che usano le erbe, riuscirono dopo vari giorni a farmi camminare».
Tasseré è un artista. Non solo. Con l’arte si guadagna la vita, sostiene la famiglia e dà lavoro ad alcuni ragazzi. È conosciuto nel paese e all’estero e tutto quello che fa, in pratica, lo costruisce con un solo semplice elemento: il fil di ferro.
«Sono nato a Ouaga nel 1962 e, all’età di 5 anni, mio padre mi mandò in Mali a frequentare la scuola coranica. Sono tornato nel ’74, a causa della guerra tra il Mali e l’Alto Volta, come si chiamava fino al 1984 il Burkina Faso. Qualche anno più tardi ho frequentato la scuola franco-araba di Ouaga, dove ho imparato il francese. Mi sono reso conto che stavo crescendo; mio padre invecchiava ed eravamo molto poveri. Decisi di lavorare e incominciai ad aiutare mio fratello commerciante a vendere al mercato».
La bicicletta
È qui, a Rood Woko, il grande mercato centrale di Ouagadougou, fatto costruire da Thomas Sankarà, il presidente rivoluzionario, negli anni ’80 e distrutto da un incendio lo scorso maggio, che il giovane vede macchinine fabbricate con il fil di ferro. Quasi ovunque, in Africa, i giochi per bambini sono semplici oggetti che sovente loro stessi ricavano con materiali di recupero: filo, scatolette di latta, strisce di camere d’aria. Un cerchione di bicicletta, un aquilone, le macchinine sono classici esempi.
Tasseré, per scherzo, inizia a copiare quanto vede, poi crea la moto e inventa una bicicletta giocattolo, con le parti meccaniche in movimento. «Alcuni amici francesi mi dissero che non avevano mai visto nulla di simile in Africa dell’ovest. Mi incoraggiarono e iniziai a produrre biciclette in fil di ferro».
Un giorno Pierre Ouedraogo, giornalista della televisione nazionale burkinabè, si mette sulle tracce dell’artigiano che fa biciclette. Un suo amico straniero gli aveva chiesto di trovarlo. «Philippe Chatela, dell’ong Enfants du Monde aveva visto una delle mie bici: dal 1991 al ’97 ne ordinò 650 pezzi».
Sotto tale stimolo, Tasseré inventa altri oggetti: portacandela, animali, portabiglietti da visita, oamenti, lampade, tutto rigorosamente in fil di ferro e si organizza per venderli.
Nel frattempo aveva insegnato ad alcuni bambini a fare le bici, e l’oggetto aveva invaso i mercati e chioschi di artigianato della capitale. «Ma non è la stessa qualità: oggi, come dieci anni fa, io faccio al massimo quattro bici in un giorno di lavoro. Gli altri ne fanno otto o dieci: e la differenza si vede».
Un ragazzo, Adama Zongo, resta a lavorare con lui. «Aveva 12 anni e, durante le vacanze scolastiche, suo padre lo affidava a me. Io gli ho insegnato tutto quello che so». Oggi Adama ha aperto il suo atelier e i due amici continuano a collaborare.
Incontro fatale
Nel ’98, l’artigiano incontra una coppia di padovani: Andrea e Federica Pozza, all’epoca residenti a Ouagadougou. «Andrea cercava un elefante in fil di ferro un po’ speciale. Piacque loro la mia realizzazione e ne ordinarono 100 per il loro matrimonio».
Inizia un’amicizia che avrà un certo peso nella vita di Tasseré. «Videro quello che producevo e portarono vari amici a comprare i miei oggetti. Ma, ancor più importante, mi insegnarono come meglio organizzare il lavoro. Per esempio, ad avere prodotti finiti in magazzino da proporre ai clienti, invece di lavorare solo su ordinazione, investire subito i ricavi in materiale. Federica mi ha insegnato l’uso del computer e della posta elettronica, strumento importante per avere ordini dall’estero. Nasce Artifer-creation».
Ma sono soprattutto i contatti umani e quella sua vivacità nel saperli sempre cogliere, che fanno la fortuna del mago del fil di ferro. Federica gli presenta Christophe.
Personaggio emblematico, direttore di grandi hotel a Parigi, questo francese ha lasciato tutto per creare, con un gruppo di artisti africani, la Fondazione Olorum a Ouagadougou. La fondazione crea arte modea africana che esporta in Europa.
Christophe aiuta Tasseré a esporre al Salone internazionale dell’artigianato di Ouagadougou (Siao), spazio dove ogni due anni artigiani e artisti di tutta l’Africa si ritrovano per mostrare i loro prodotti, vendere, scambiare contatti. «Era il Siao dell’anno 2000 e portai le mie opere al “padiglione della creatività”. Mi ero organizzato e lasciai una presentazione con numero di telefono e indirizzo di posta elettronica». Il talento fa il resto. Le opere piacciono e molti sono quelli che iniziano a contattare l’artigiano. Ma non basta. Christophe porta gli oggetti di fil di ferro fino alla Galerie Lafayette a Parigi.
Commercio… equo
Oggi Tasseré vende prevalentemente a stranieri, o a burkinabè che poi rivendono all’estero. Espone in modo permanente al Villaggio Artigianale di Ouagadougou, in alcuni mercati e in una boutique a Zogona, quartiere bene della capitale.
Grazie ancora a Federica e Andrea è entrato nel circuito del commercio equo in Italia: distribuisce attraverso la bottega La Tortuga di Padova; i suoi candelabri e animali in fil di ferro si possono trovare anche all’ong Cisv di Torino.
C’è poi una squadra ciclistica di Padova, la «Castellana», che continua ad acquistargli partite di biciclettine con i pedali che fanno girare la ruota posteriore.
Con lui lavorano in modo permanente quattro ragazzi di 16 e 17 anni, di cui uno è suo figlio. Gli altri sono della famiglia allargata e lui li alloggia e li nutre. Si è trasferito in una zona periferica di Ouaga, dove ha costruito una casa per sé e la famiglia con una piccola sala esposizione-vendita e un atelier per la fabbricazione.
I materiali sono sempre gli stessi: fil di ferro galvanizzato da 2 millimetri è il più usato.
Altre sezioni di fil di ferro (o di rame, come quello recuperato dai motori elettrici), bombolette di insetticidi, da cui ricava parti per i portacandele, perline di terracotta che produce suo fratello, vernice di vario colore.
«Cerco di migliorare sempre, aggiungendo piccoli particolari, come la terracotta». Studia nuove forme e sta sperimentando lavori con ferri più grossi, per i quali deve utilizzare la saldatura.
Continua a seguire la sua vocazione di insegnante: tiene corsi di «atelier di fil di ferro» ai bambini delle elementari di una nota scuola francese da ormai cinque anni e corsi privati a chi vuole cimentarsi con il filo.
Nella sua attività oggi pensa e realizza le nuove creazioni, tiene i contatti con i clienti (varie ambasciate, privati e vendita all’estero), partecipa a mercati natalizi e promuove il suo prodotto. Non è mai fermo: o muove le mani o è in sella del suo motorino per le vie della capitale. •
Marco Bello