Cara Anna maria

CARLO
URBANI
lettere
a una
claustrale

Solo dopo la sua morte è venuto alla ribalta l’impegno umanitario, professionale e scientifico di Carlo Urbani.
Una prima biografia ne delinea anche il suo mondo interiore, con molti scritti inediti e privati, tra i quali le lettere a suor Anna Maria Vissini, sua «assistente spirituale», del monastero di Castelplanio.
Ne pubblichiamo alcuni stralci,da cui traspaiono fede, ideali e valori di un uomo che si è donato senza posa.

«Le lettere, alcune delle più significative, che dono alla lettura di chi desidera entrare nell’interiorità di Carlo, manifestano anche la particolare relazione spirituale che ha avuto con me, in quanto religiosa e sorella nel Signore. Esse sono come una piccola finestra sul balcone del mondo, da cui esce un fascio di luce così intensa da stupirci: un faro che, illuminando la realtà e le vicende dell’oggi, permette di individuare i lati più luminosi della generosità e della forza d’animo». (Suor Anna Maria)
VOGLIO TORNARE A VOLARE
C ara suor Anna Maria,
non è facile scriverti. Ho pochi argomenti per brillanti conversazioni, ne avevo. Ho poca possibilità di farti sorridere, ne avevo. Ho pochi progetti da esporti, per farti brillare gli occhi, ma ne avevo. E se già stai pensando «ma guarda questo come si è depresso, che momentaccio che ha scelto per scrivermi», credimi se ti dico che ti sbagli. Ho scelto un momento in cui mi sento più sereno…
Da adolescente, verso il 2°-3° anno di liceo, seguivo un personaggio carismatico: l’insegnante di filosofia. In freddi pomeriggi invernali, io e un gruppetto di compagni andavamo a farle visita. Davanti a una tazza di tè, parlavamo dei personaggi nei quali più credevamo: noi. A tuo ci faceva sedere al centro del salotto e autorizzava gli altri a martellare di domande il protagonista dell’incontro.
A volte le domande graffiavano, colpivano nell’intimo, con la cattiveria che in quegli anni era utilizzata come arma: qualcuno scoppiava a piangere. Poi lei mediava, aiutava, suggeriva e concludeva, disegnando sempre, con nostro grande stupore, i tratti della personalità dell’intervistato. Quando venne il mio tuo non piansi; anzi, riuscivo a divertire i compagni e la professoressa, rispondendo in modo brillante e ironico a tutte le domande…
Quella sera uscimmo tutti con allegria e insieme con la professoressa andammo a prendere una pizza. Per il freddo camminavamo a braccetto; la mia insegnante si strinse al mio fianco: «Carlo, ammiro la tua forza; so che non ti mancherà mai e che ti permetterà grossi traguardi».
Ricordo bene quelle parole, perché da allora ogni tanto me le ripeto. Allora, a 17 anni, sentirmele dire da chi ritenevo una grande autorità, fine conoscitrice della psiche, è stata una incredibile vittoria. Divenni così anche più forte…
Crebbi con questo motto: so difendermi. Con gli anni conobbi sempre prove più impegnative, dure, dolorose. Conobbi il dolore di altri e passai pomeriggi per cercare di trasmettere questo mio pensare positivo all’amico in difficoltà.
Maturavo col tempo nella fede: riuscivo tanto bene a trasmettere speranza che mi trovai invitato a predicare in una settimana missionaria in un paese del Saleitano…
E la vita continuava, conobbi anche l’esperienza dei primi pianti da adulto, ma duravano poco e ne uscivo con un sorriso… E prego Dio perché un giorno, dopo questo tempo di prova, le vele riprendano tono.
Quando volo mi piace osservare, ai miei fianchi, la tela delle ali del deltaplano che, tesa dal vento, mi fa galleggiare sul mondo che amo. E quando ogni volta mi separo dalla mia ombra, che resta sotto di me dopo il decollo, sento l’alito dell’universo circondarmi e sorreggermi, provo infinita pace.
Ho provato più volte che una manovra errata ti può mettere in una cattiva posizione rispetto a quell’alito; allora la tela delle ali non vibra più, si affloscia; per un attimo non senti il vento sul viso, tutto si ferma, non sai bene cosa sta succedendo; e mentre pensi a questo, già inizi a precipitare, lo stomaco ti arriva in bocca, a stento elabori le azioni per interrompere la caduta: una piccola pressione sulla barra, un po’ di potenza al motore ed esci da quella caduta, che si chiama stallo. E riprendi a volare.
Suor Anna Maria: da questo stallo io non so uscire. Ho provato tante manovre, che per un attimo mi hanno fatto riprendere quota, ma volo sempre più in basso. Che Dio abbia pietà di me… Voglio tornare a volare al più presto, ma non ci riesco. Nelle preghiere ho già detto a Dio quanto tu sia brava. Se ne ricorderà!
Con grande affetto e stima,
Carlo
Castelplanio, 7 gennaio 1995
PICCOLI LUMI
IN UN MAGMA DI DOLORE
Carissimi don Mariano (parroco di Castelplanio ndr) e suor Anna Maria,
scusate se mi indirizzo a voi nella stessa lettera; vi assicuro, non lo faccio per risparmiare sui francobolli! In realtà le giornate scivolano via strapiene… Allora ho pensato di parlarvi insieme, perché tutto sommato siamo abituati a parlare insieme: in entrambi ho sempre trovato la calda attenzione dell’amico e la dolce acutezza dell’assistente spirituale…
Cosa sto facendo della mia fede? Beh, qualche volta, magari incollati a un ventilatore per il caldo torrido che c’è anche di notte, diciamo insieme qualche preghiera; ogni 15 giorni partecipiamo alla messa per la comunità francofona nella missione.
La messa è molto piacevole, semplice, sentita. È bello scoprire come quella famiglia di figli di Dio, alla quale diciamo di appartenere, ma che in realtà immaginiamo come un concetto astratto, in realtà esiste in carne e ossa ed è pronta ad accoglierti tra le sue braccia anche in posti lontani come questo.
Ma poi nella fede cerco, soprattutto in questo tempo, la luce per rispondere ad angoscianti interrogativi che mi tengono sveglio. Il primo è la fatidica questione sulla vera natura dell’uomo. Quanto vedo qui, quanto sento nei racconti dei colleghi provenienti dalle mille ferite di questa terra, campi di battaglia, campi profughi, profonda povertà delle bidonvilles, assurde lotte fratricide, carceri grondanti sangue di tutti i regimi dittatoriali del mondo… tutto questo scoraggia un po’; a volte vedere qualche cosa di buono nell’altro, in chi ti è «prossimo», diventa veramente difficile e invita a chiudersi in se stessi.
Ma i piccoli lumi, che brillano nei cuori di quanti si prodigano in questo magma di dolore, lasciano sperare; e il ricordo di chi ha deciso di scendere in questo scenario di continui soprusi e guerre, per poi morire su una croce, mi fa credere che una luce di pace sarà pure nascosta dietro qualche orizzonte.
Vi so vicini e a volte vorrei che vedeste con i miei occhi, per fissarvi su quegli sguardi di chi ha perso tutto, la famiglia nella guerra, il raccolto nell’alluvione, il figlio per la diarrea, i risparmi per un ladro, o per scaldarvi il cuore alla vista di una donna che partorisce sola, in una palafitta, lontano da tutto e da tutti, con il marito inginocchiato al fianco, un legno che arde in un braciere per scaldarla… non credo che in altre scene potreste vedere meglio rappresentato il mistero della natività, di questa che ho visto due settimane fa, a Sdau, piccolo villaggio nel nord.
Spero risentirvi presto. Ricordiamoci nella preghiera. Con affetto,
Carlo
Phnom Penh, 11 febbraio 1997
DOVE SCOPRO LA SUA BELTÀ
Carissima suor Anna Maria,
… poche sere fa, sfogliavo per addormentarmi un libro di preghiere di varie religioni e ho trovato questa di tradizione indiana: «Signore, fai che il mio lavoro nel mondo e per il mondo diminuisca giorno dopo giorno. Vedo che il mio lavoro, moltiplicandosi, minaccia di impedirmi sempre la Tua beltà! A volte immagino di compiere i miei doveri quotidiani senza essere attaccato alle cose del mondo, ma non so in quale misura mi illuda e veramente lavori senza attaccamento. Faccio la carità ed ecco che cerco di brillare agli occhi degli uomini. Proprio non so come fare».
Questa è la sensazione con la quale qualche volta la sera mi addormento. Mai come in questo periodo sono stato tanto preso dal lavoro. Sono come entrato in un vortice, dove l’amore per la professione e la scoperta che il lavoro che faccio incarna gli ideali che sempre hanno aleggiato sul mio cammino, sono come sirene alle quali non riesco a sottrarmi. Non credo che sia solo per brillare agli occhi degli uomini, ma è che mi sento un grande privilegiato, al quale il Padre Buono ha offerto una vita ricca, dove alcuni campi fertili non aspettano altro che vi semini responsabilmente i miei talenti.
A volte riscopro la Sua beltà nell’oggetto del mio lavoro, nei misteriosi fiumi che risalgo, fiumi d’acqua e fiumi di conoscenze, nei volti dei magri bambini nati come Lui in una capanna, o nei sorrisi coraggiosi di chi condivide il mio lavoro.
Credimi, è bello muovere passi in questo grande villaggio e scoprie le ferite e le glorie. Credo che la Sua beltà ci si manifesti in mille modi; benché convinto che nel silenzio di un monastero o nelle limitazioni della clausura sia visibile, amo troppo scoprirla in nuovi orizzonti o dietro nuovi occhi… Con affetto ti auguro un sereno natale.
Carlo
Macerata, 24 dicembre 1997
PRIORITÀ DEL PADRE BUONO
Carissima sorella,
… qui la vita scorre, la mia abbastanza comodamente, quella della gente un po’ meno, a causa della povertà e malattie che ne derivano. Ammiro comunque l’orgoglio e forza di volontà di questo popolo; invidio un po’ il loro senso di appartenenza a una nazione…
Sono occupato con meeting a livello centrale qui ad Hanoi, per discutere con le autorità sanitarie la situazione del Vietnam, riguardo i parassiti intestinali, che rappresentano una priorità, soprattutto nei bambini. Ma poi mi sposto spesso nei villaggi più remoti, per verificare se la situazione sul terreno è come mi viene presentata ad Hanoi…
Ovviamente il tempo che trascorro sul terreno è il più piacevole e interessante. Ammiro la dignità che accompagna la povertà e la profonda gratitudine che manifestano verso chi si interessa ai loro problemi. E sì che il solo interesse non li risolve…
Quello che colpisce nelle campagne è la presenza di chiese. Sapevo che il cattolicesimo sta rimontando in Vietnam: il 14% circa sono cristiani; ma è uno strano spettacolo vedere enormi costruzioni con bizantini campanili dominare villaggi di povere casupole. Sembrano astronavi atterrate da chissà quale pianeta. Molte di queste chiese risalgono agli anni della colonia. Ed ora i vietnamiti, convertendosi, se devono fare una chiesa, la costruiscono nello stesso modo: appariscente e costoso.
È facile porsi degli interrogativi. Ne discutevo durante un viaggio con il mio interprete. Mi chiese se credevo in Dio. Gli risposi di sì. Lui replicò: «Allora credi nel papa e nei vescovi?». «Non esattamente – dissi -. Credo in Dio e apprezzo quello che il papa e vescovi a volte dicono per aiutarci a essere bravi cristiani; ma, ad esempio, non sarei d’accordo con il vescovo che decida di costruire una chiesa in un villaggio dove i bambini si ammalano e muoiono di malattie parassitarie perché non ci sono latrine».
Scoppiò a ridere, dicendomi: «Secondo te, il vostro Dio preferisce che ci siano latrine per i poveri, piuttosto che chiese per onorarlo?». Gli risposi che la mia opinione non rappresenta forse quella della chiesa, ma la risposta è decisamente sì.
Abbiamo continuato su questo tono, dicendo lui (ridendo) che, se così fosse, la mia religione è vicina al popolo forse come il comunismo!
So cosa stai per replicarmi: che la fede è molto più che promuovere il sociale; che tante altre cose sono importanti nella fede, oltre a curare i malati e costruire ripari per i poveri. Ma cosa è prioritario? Cosa farebbe un Padre Buono per i suoi figli, se non curarli e coccolarli sotto un confortevole tetto?
Sono certo che nel determinare conversioni qui gioca molto questo aspetto di potenza che le grosse chiese suscitano, quasi di qualcosa che va temuto e che potrebbe proteggerli materialmente dalle difficoltà della vita. Non credi sia scorretto presentarsi così?
E tu, come va? Ricordati che sono sempre il tuo medico (almeno spero)! Come io non esiterei a dirti che mi fa male un ginocchio, anche se tu ti occupi dello spirito, apprezzerei sapere che, se avrai un problema dell’anima, magari me lo accennerai!
Fatti sentire e sii forte.
Con affetto,
Carlo
Vietnam, 10 ottobre 1998
BIANCO E NERO
Carissima suor Anna Maria,
… avrei voglia di rivederti, anche per sapere di te e della tua vita divenuta preghiera. Non che non lo fosse prima, ma ora ti immagino più tesa verso l’Altissimo che prossima agli uomini. E questa dimensione la conosco meno, a volte ho anche difficoltà a immaginarla e mi piacerà sentire da te cosa sia.
La mia dimensione «verticale» invece credo sia sempre meno evidente, o meglio, si vede meno, ma credo di sentirla con lo stesso calore. A volte sussurrare una Ave Maria in silenziosi tramonti mi causa leggeri brividi di emozione; non smetto di raccomandarmi al Signore ogni volta che vedo una prova sul mio cammino. Non so se questo basti; anzi, immagino che ci si aspetti di più da un «bravo cristiano», per cui sto quasi pensando di rimuovere il «bravo» dal cristiano che sono! Ma non ho dubbi che il Padre Buono saprà sempre alzare una mano per appoggiarmi carezze sul capo, almeno spero!
Nella vita sono sempre più esigente. La superficialità mi è divenuta intollerabile, l’indifferenza mi fa diventare quasi violento. Si dice in genere che non esiste mai una situazione con il bianco e il nero ben distinti, ma che si può trovare della ragione e del torto ovunque. Io invece, per una dolorosa passione e romanticismo, continuo a credere che si possa dire senza titubare «questo è sbagliato» o «questo fa schifo».
Occorre saper distinguere dove il Bene sta, e dove il Male si annida. Le altre letture più equilibrate e moderate mi sembrano sempre più gravi ipocrisie. A tutto si tenta di trovare giustificazioni. Sia nei fatti gravi che nel quotidiano.
Io sto con quelli che dicono che l’Afghanistan non si bombarda, che il morto americano vale esattamente quanto l’ignoto pastorello afghano o irakeno; lo stesso vale per Israele e gli abusi commessi in Palestina. Così continuo a dire che il mercato è malato e va cambiato, e così via…
Nella più semplice vita privata purtroppo ho lo stesso rigido schema mentale. Questo mi rende difficile avere amicizie con persone di cui non condivido la visione, almeno nelle cose più importanti.
Ma credimi, serpeggia un sentimento così fastidioso di razzismo, paura/rifiuto del diverso, superiorità sociale, tra gli stranieri della parte «importante» della comunità internazionale di Hanoi (qui come altre capitali) che a volte mi prende la nausea a sentire certi discorsi durante feste e ricevimenti. Sono tutti pronti a chiamarsi tra i «buoni» e condannare razzismo e violenza, ma poi dovresti vedere come trattano le baby sitters dei loro figli, o come pagano i loro dipendenti!
Per me vivere all’estero deve essere una testimonianza di barriere abbattute. Se sto in Vietnam, pur se continuo a sognare i miei dolci colli e saporiti salumi delle Marche, mi piace mangiare vietnamita, essere loro ospite quando capita, scoprire i loro costumi e cultura, ed a questo abituare i miei figli. Con loro devo dire che sono proprio contento.
Come sto? In generale sento che ho raggiunto la mia leggenda personale. Nella vita credo di aver saputo distinguere gli indizi che mi hanno guidato fino a qua; per arrivarci ho accettato di affrontare burrasche e scogli, ma ora non chiederei di meglio dalla vita.
Ringrazio Dio per tanta generosità nei miei confronti e mi sforzo di sdebitarmi, lasciando che i miei «talenti» producano germogli e piante. Vorrei fare di meglio, non tanto nel lavoro, dove do tanto, ma con gli affetti più prossimi. So quanto Giuliana, Tommaso, Luca e Maddalena (moglie e figli ndr) abbiano un dannato bisogno di me. D’altra parte ognuno di loro è per me parte essenziale della vita; a volte, soprattutto al rientro dai numerosi viaggi, avrei voglia di guardarli e toccarli per ore, per sentirli miei e far sentire loro il mio affetto.
Viaggio molto, in Cina, Thailandia, Laos, Cambogia, Filippine, altrove… Mi capita anche di fare viaggi «sul terreno», come diciamo in gergo. Lì trovo l’essenza del mio lavoro, sento l’odore della povertà e della privazione che alimenta come benzina il fuoco che anima la mia passione.
La settimana scorsa ho portato Giuliana, Luca e Maddalena in una zona montagnosa, tra minoranze etniche. Godevo al vedere i miei figli dentro capanne affumicate, a curiosare tra il nulla che costituisce la vita dei poveri.
Vorrei continuare a parlare con te… ma ti sto rubando troppo tempo. Ti abbraccio, risentendo il sapore della fratellanza in Cristo.
Con grande affetto,
Carlo
Hanoi, 5 maggio 2002

Benedetto Bellesi