Aids in Africa

aro direttore,
ho letto l’articolo di G. Ferro sull’Aids in Africa nell’ambito della rubrica «Come sta Fatou?» (Missioni Consolata, dicembre 2003). Esprimo alcune perplessità al riguardo.
L’approccio tipico dei media, come di gran parte del mondo sanitario «istituzionale», al problema dell’Aids in Africa è concentrato sul comportamento sessuale individuale. Per spiegae l’enorme diffusione, si parla di promiscuità e di eccessiva attività sessuale, con un’implicita condanna morale per abitudini «esotiche».
Questo approccio compare anche nell’articolo di Ferro, per altri aspetti ottimo, con il folcloristico racconto del re dello Swaziland o della diffusione di poligamia e relazioni extraconiugali (certamente non peculiare degli africani). La soluzione è, quindi, una politica di prevenzione, basata solo sulla sfera individuale (sesso sicuro, preservativi, ecc.).
Alcune pubblicazioni (per esempio: A. Katz, «Aids in Africa», in Zmagazine, 9/03) evidenziano i limiti di questo approccio. Infatti, poiché il 25% di africani subsahariani è colpito dall’Aids, contro lo 0,01-0,1% occidentale, significherebbe per i primi un’attività sessuale 250-2.500 volte superiore! Le ragioni per tale abnorme diffusione devono essere anche e, soprattutto, altre.
È noto che malnutrizione e infezioni croniche (malaria, tbc, parassiti, ecc.) incidono sulle funzioni immunitarie. Ciò probabilmente rende le persone «sane» molto più vulnerabili all’infezione e quelle Hiv positive più contagiose. Questo potrebbe spiegare il tasso di trasmissione enormemente più alto di quello delle comunità benestanti occidentali.
Accettare queste considerazioni significherebbe, per le istituzioni coinvolte, intervenire, oltre a quanto già in atto, anche sulla povertà delle popolazioni africane per prevenire l’Aids.
Infatti solo con una migliore disponibilità di cibo, acqua corrente, fognature, alloggi ed assistenza sanitaria si potrebbe avere un netto incremento delle condizioni igienico-sanitarie. E magari le ragazze, per sopravvivere, non sarebbero più costrette a vendersi ai vari «paparini» e non accorrerebbero in 50 mila davanti al re dello Swaziland.
Tutto questo, per un congresso internazionale sull’Aids in hotel a 5 stelle, forse potrebbe sembrare troppo fuori dal coro.

Condividiamo le osservazioni del lettore. Missioni Consolata le ha espresse anche sul numero di febbraio 2004, dove si afferma: «La causa principale di Aids, malaria e tubercolosi è l’impoverimento progressivo delle popolazioni» (p. 15).
Tuttavia anche il comportamento sessuale non deve essere sottovalutato. Spesso è l’ultima goccia che fa traboccare il vaso.

Dario Selvaggi