L’energia e un modello senza futuro
Che accadrebbe se domani le nazioni del Sud volessero consumare come quelle del Nord? Come mai le guerre «giuste» riguardano sempre paesi importanti dal punto di vista delle risorse energetiche? L’attuale modello di sviluppo non ha futuro: le risorse sono in via di esaurimento, i danni ambientali sono sempre più consistenti (inquinamento, effetto serra, ecc.). Ma non basta passare alle energie rinnovabili. Occorre cambiare i nostri stili di vita. Quotidianamente. (Seconda parte)
«La Danimarca esporta migliaia di tonnellate di biscotti per gli Stati Uniti, gli Stati Uniti esportano migliaia di tonnellate di biscotti in Danimarca. E uno dice: “ma saranno diversi”. Sì, e allora? Perché non si scambiano la ricetta?! E allora, un po’ di buonsenso, questo, questo vorrei vedere…».
Sono le esilaranti parole di Beppe Grillo durante uno dei suoi spettacoli (1), quando con ironia, anche feroce, riesce a comunicare dure verità. Una di queste è che la richiesta mondiale di energia (per usi industriali, domestici e per i trasporti) è in costante aumento e, di conseguenza, è sempre maggiore l’utilizzo di risorse per la sua produzione. Se le nazioni industrializzate continueranno a prelevare e consumare i combustibili fossili al ritmo attuale e se le nazioni in via di sviluppo le imiteranno, nel breve e medio periodo il pericolo maggiore non sarà tanto quello dell’esaurimento delle risorse (che rimane comunque un fattore importante), quanto quello dei danni irreversibili all’ambiente e, di conseguenza, alla salute umana.
Secondo i dati dell’Inteational energy agency (Iea), in 27 anni, dal 1971 al 1997, l’aumento di produzione è stato del 40% per il petrolio, del 60% per il carbone, del 140% per il gas naturale ed è quasi triplicato per l’energia elettrica in generale. In Italia i consumi finali di energia sono in crescita significativa (2).
GLI IMPATTI AMBIENTALI
DEI COMBUSTIBILI FOSSILI
L’analisi degli impatti ambientali della produzione e del consumo dell’energia va affrontata considerando tutto il ciclo della fonte energetica: dalla sua estrazione, all’energia prodotta negli utilizzi intermedi e finali, fino allo smaltimento dell’energia degradata e delle scorie.
Per quanto riguarda i combustibili fossili per la produzione di energia (carbone, petrolio, gas naturale) si possono individuare 2 grandi categorie di impatto: impatti a livello locale (nell’acqua, nell’aria, nel suolo) e impatti su scala planetaria. L’estrazione di combustibile (fossile, ma anche nucleare) causa infatti varie forme di inquinamento idrico, dovute ad esempio a perdite di petrolio, al raffreddamento degli impianti termoelettrici, alla fuoriuscita di inquinanti radioattivi del ciclo nucleare; in generale, qualsiasi processo energetico richiede quantità d’acqua anche notevoli, che vengono prelevate a scapito di altri usi (es. uso potabile o agricolo).
In atmosfera, invece, vengono immessi i prodotti gassosi della combustione (anidride carbonica, ossidi di azoto, ossidi di zolfo), idrocarburi aromatici, metalli pesanti, polveri, elementi radioattivi. Infine, oltre ai rifiuti prodotti, per i quali va cercata una qualche destinazione, qualsiasi fase del ciclo del combustibile implica un’occupazione di territorio sottratto ad altri utilizzi (es. all’uso agricolo, forestale, ecc.). Nel caso di miniere a cielo aperto (carbone e uranio), le scorie prodotte possono rendere inutilizzabile il suolo anche per decenni. Spesso, inoltre, i giacimenti si trovano all’interno di foreste o aree selvagge: l’esigenza di costruire strade di accesso e impianti può quindi trasformarsi in causa di deforestazione.
L’impatto ambientale non è mai slegato da quello sociale: spesso i siti di estrazione sono all’interno di foreste abitate da popoli indigeni e diventano causa di inquinamento e distruzione del territorio su cui essi vivono, se non di vero e proprio sfollamento di intere popolazioni.
A livello planetario, invece, desta preoccupazione l’immissione nell’atmosfera di anidride solforosa, derivante essenzialmente dalla combustione di prodotti petroliferi e di carbone, da cui deriva il fenomeno delle piogge acide: esse hanno effetti negativi sulla salute umana, corrodono la vegetazione, edifici e monumenti, ed inquinano le acque di laghi e fiumi.
Il problema più urgente e preoccupante è però rappresentato dal potenziale cambiamento del clima a livello mondiale, fenomeno dovuto all’effetto serra e la cui causa principale risiede nell’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera.
L’EFFETTO SERRA
E IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
La Commissione scientifica intergovernativa sui cambiamenti climatici (Ipcc), costituita da alcune centinaia di scienziati, è stata istituita nel 1988 proprio per valutare le informazioni scientifiche disponibili sui mutamenti del clima. L’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, causato soprattutto dagli impianti di produzione di energia, concorre al graduale aumento dell’effetto serra.
Come è noto, questo fenomeno comporta il riscaldamento del pianeta e possibili cambiamenti del clima, con effetti differenti: riduzione delle risorse idriche e desertificazione in alcune regioni; crescita delle piogge, degli uragani e delle inondazioni in altre; scioglimento dei ghiacciai, aumento del livello del mare, rischio di diffusione di malattie infettive tipiche delle zone tropicali anche nelle regioni temperate, ecc.; tutti rischi dai quali l’Italia non è certo esente.
Secondo Lester Brown, presidente del Worldwatch Institute di Washington, la stabilità climatica va ripristinata tramite il passaggio da un sistema economico basato sull’energia derivata dallo sfruttamento dei combustibili fossili ad una basata sulle fonti energetiche rinnovabili e sull’idrogeno.
Tuttavia, anche le fonti rinnovabili presentano un impatto ambientale, variabile in modo significativo a seconda della fonte e della tecnologia, anche se nettamente inferiore agli impatti dei combustibili fossili.
ESISTONO FONTI «PULITE»?
Qualche esempio: occupazione del territorio (ad esempio da parte di pannelli solari) a scapito di altri usi (es. agricoli); impatto visivo e inquinamento acustico della produzione di energia eolica, che tra l’altro può essere prodotta soltanto in zone dove soffiano venti con una determinata velocità; deforestazione, desertificazione e possibile produzione di emissioni inquinanti legate alla produzione di biomassa a scopi energetici; modifiche del territorio, dell’assetto idrogeologico, della stabilità dei territori montani e del clima locale, nel caso di sfruttamento dell’energia idrica, specie dove ciò comporti la costruzione di grandi laghi artificiali. Senza contare che scarseggiano i luoghi dove costruire nuove dighe, mentre cresce l’opposizione delle popolazioni che vivono nei pressi.
Per quanto riguarda il nucleare, i rischi sono legati all’impatto radiologico, alla sicurezza di alcune fasi del processo (in particolare la sicurezza del reattore nucleare), al trattamento e messa in sicurezza delle scorie radioattive.
Ogni tecnologia va quindi analizzata non solo dal punto di vista delle emissioni, ma in base agli impatti che possono derivare da qualsiasi fase, dalla progettazione allo smaltimento. Ad esempio, le cosiddette «celle a combustibile» non producono praticamente emissioni, ma la produzione dell’idrogeno necessario al loro funzionamento avviene tramite metano, che dà origine a sottoprodotti da reimpiegare in qualche modo.
A conti fatti, non esiste un sistema di produzione di energia privo di conseguenze sull’ambiente e sulla popolazione. Il termine energie «rinnovabili» non coincide con «pulite», come invece spesso viene fatto credere. L’imperativo dovrebbe consistere nel ridurre innanzitutto lo sfruttamento e l’utilizzo delle fonti energetiche, rinnovabili e non: l’energia più pulita è quella non prodotta. Pertanto, «il futuro è nelle energie pulite», frase tanto amata da media, politici e cittadini, va intesa diversamente dall’usuale.
LA SOLUZIONE È DAVVERO
NELLE FONTI RINNOVABILI?
Dopo aver ridotto gli sprechi ed i consumi energetici, lo sforzo maggiore dovrebbe essere rivolto alla produzione di energia tramite le fonti rinnovabili: il sole, il vento, la biomassa, ecc. (vedi MC, febbraio 2004). Oltre ad avere un impatto ambientale inferiore, tali fonti sono distribuite, anche se con densità diverse, su tutto il globo.
Tuttavia, in Italia, nel 2002 l’offerta complessiva di fonti rinnovabili si è ridotta di oltre il 10%, a causa della diminuzione della produzione idroelettrica, che rappresenta la principale fonte rinnovabile del paese. Questa minore produzione è conseguente alle scarse precipitazioni registrate da gennaio a ottobre 2002, fatto che conferma tra l’altro come tutti gli aspetti ambientali siano tra loro strettamente connessi.
Le fonti rinnovabili possono quindi fornire un importante contributo allo sviluppo di un sistema energetico più sostenibile e alla tutela dell’ambiente, ma anche ad incrementare il livello di consapevolezza e partecipazione dei cittadini, nonché a fornire opportunità economiche. Tuttavia, è fondamentale considerare che la nostra civiltà è oggi basata sul petrolio, perché esso rappresenta una fonte energetica versatile, applicabile agli usi più diversi. I combustibili fossili, ad esempio, permettono il funzionamento di tutta una serie di oggetti che non potrebbero lavorare ad elettricità, basti pensare al settore dei trasporti. Inoltre, consentono potenze (la potenza è l’energia nell’unità di tempo) relativamente alte e concentrate in uno spazio sufficientemente piccolo. Tutto il sistema energetico si basa sulle grandi potenze, adatte ad alimentare grandissimi insediamenti urbani ed enormi impianti di produzione industriale concentrati in determinati luoghi.
Le energie rinnovabili, invece, basti pensare al solare e all’eolico, foiscono potenze basse e diffuse sul territorio, permettendo di produrre energia su piccola scala, con impianti di produzione e di utilizzo di piccola taglia, a bassa potenza. Quindi, in realtà, l’energia rinnovabile non può sostituire immediatamente i combustibili fossili, ma solo quando cambierà il nostro modello di sviluppo e quindi il nostro stile di vita (3).
Come sarebbe il nostro stile di vita se potessimo disporre di una quantità di energia pari alla decima parte di quella attuale? Il 70% della popolazione mondiale, che vive nei paesi in via di sviluppo, usa solo il 30% dei consumi globali di energia. Esistono tuttavia forti differenze anche tra i paesi ricchi: ad esempio, per produrre un’unità di prodotto interno lordo, Usa e Canada utilizzano il doppio dell’energia consumata da Francia, Giappone, Italia.
GUERRE «GIUSTE»?
SÌ, SE C’È L’ENERGIA…
La caratteristica delle fonti rinnovabili di essere distribuite su tutto il pianeta e di essere quindi disponibili direttamente dalla popolazione che deve utilizzare l’energia, scongiurerebbe i rischi derivanti dai combustibili fossili, localizzati in particolari zone geografiche del pianeta: secondo molti addetti ai lavori, tale rischio si manifesta con l’attuale concetto di «guerra giusta».
La distribuzione mondiale delle riserve accertate di petrolio indica infatti una forte concentrazione nel Medio Oriente (oltre il 66,5% delle riserve), in Asia, Africa, Comunità di stati indipendenti (Csi, comprende parte dell’ex Unione Sovietica, ndr) mentre quelle europee ed americane sono più modeste. Le riserve accertate di gas naturale sono localizzate per il 30,4% nei paesi mediorientali, per il 38,3% nella Csi e per il 7% nel Nord America. Il fatto che i 2/3 delle riserve conosciute di petrolio siano concentrate nel sottosuolo di Arabia Saudita, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Iran, fa sì che la regione rappresenti una zona strategica prioritaria per l’Occidente, e in particolare per gli Stati Uniti. Come riporta Ritt Goldstein, la paura di non poter effettivamente disporre di tanta energia quanta ne serve per mantenere inalterato il proprio stile di vita sembra innescare la necessità di accedere al petrolio, prospettando anche «la necessità di interventi militari», esigenza evidenziata in un rapporto americano dell’inizio del 2001 (5).
Secondo Luigi Sertorio, poiché l’energia fossile non è perenne, né equamente distribuita, si crea un nuovo concetto di «guerra giusta»: «La guerra non è per il sopruso locale territoriale, ma per il diritto al benessere di chi ha la capacità tecnologica di accedere alla sorgente del denaro, cioè l’energia» (6).
È impressionante notare quante guerre siano state combattute nel Novecento in aree ricche di fonti energetiche: dalle grandi battaglie dell’Africa settentrionale a quelle rumene, all’infinità dei conflitti in Medio Oriente, passando per i Balcani e culminando con il terrorismo in Cecenia e le guerre contro l’Iraq (7). Anche se le ragioni ufficiali sono differenti, è evidente che le aree interessate a questi conflitti coincidono perfettamente con le zone ricche di petrolio. Come ricorda anche Michele Paolini nel suo ultimo libro (8), il petrolio non è infatti solo estrazione: strategico è anche il controllo degli oleodotti e dei corridoi petroliferi.
Poiché il nostro stile di vita è assolutamente dipendente dalla disponibilità di energia, si potrebbe pensare che qualsiasi forma di energia potrebbe rappresentare motivo di scontro. Tuttavia, il fatto che il petrolio si trovi concentrato in particolari aree geografiche e che sia destinato all’esaurimento accresce enormemente questi rischi (9).
DALLA THAILANDIA
A SCANZANO IONICO
Per 8 anni la popolazione della provincia di Prachuap Khiri Kan, in Thailandia, si è battuta contro il progetto di costruire nella regione due grandi centrali elettriche a carbone, per timore dei loro possibili impatti sull’ambiente e sulla salute dell’uomo. Quando il premier thailandese visitò uno dei possibili siti nel gennaio 2002, fu accolto da 20.000 dimostranti. Con l’aiuto dell’organizzazione ambientalista Greenpeace, gli abitanti della provincia hanno cominciato a installare ciò che realmente desiderano: impianti per la produzione di energia solare ed eolica (10).
Possono essere molti gli esempi di situazioni nelle quali la popolazione locale si oppone a scelte di governo ritenute non sostenibili. Come dimenticare la folla umana che a Scanzano Ionico, nel novembre 2003, ha dimostrato contro la costruzione dell’impianto di stoccaggio delle scorie radioattive?
Tuttavia, se esprimere il proprio dissenso, tramite un referendum o azioni dimostrative nonviolente, è lecito ed opportuno, altrettanto importante è anche agire coerentemente nella propria quotidianità.
LA RESPONSABILITÀ
DELLE SINGOLE FAMIGLIE
Le famiglie italiane sono responsabili annualmente di più del 30% dei consumi energetici totali. Le famiglie producono il 27% (e precisamente: il 18% per usi negli edifici e il 9% per usi di trasporto) delle emissioni nazionali di gas serra. Nel settore domestico il consumo riguarda il riscaldamento delle abitazioni e degli ambienti di lavoro, l’illuminazione, l’uso degli elettrodomestici. Secondo recenti studi, una famiglia media italiana potrebbe risparmiare, senza fare rinunce, ma semplicemente usando meno l’energia, il 40% delle spese per il riscaldamento e il 10% per gli elettrodomestici (vedi box).
Nel settore trasporti il risparmio energetico si basa, ad esempio, sulla riduzione dei consumi dei singoli mezzi su strada e sul potenziamento del trasporto collettivo, senza dimenticare che una riduzione della velocità, sia per il trasporto terrestre sia aereo, comporta risparmi consistenti. Il settore agricolo può vantare consumi energetici inferiori a causa del modesto sviluppo tecnologico del settore.
Per il settore industriale, invece, ridurre i consumi energetici potrebbe anche voler dire ridurre i costi; tuttavia, ancora oggi i costi di produzione sono tagliati sostituendo il lavoro umano con nuove tecnologie, che spesso richiedono più energia delle precedenti.
Da non dimenticare che i consumi energetici nel settore industriale comprendono anche gli utilizzi per l’attività bellica (costruzione degli armamenti, funzionamento e logistica della «macchina» bellica). In un interessante articolo Luca Mercalli (11) riprende i calcoli di Luigi Sertorio sui consumi energetici del conflitto iracheno: in ogni giorno di guerra si consuma tanto carburante da fare il pieno a 1.125.000 autovetture, quantità che provoca un’emissione annua di anidride carbonica equivalente a quella di circa 11.500 persone, quantità che «vanifica in pochi giorni gli sforzi di intere nazioni per ridurre i consumi e risparmiare energia, alla faccia del Protocollo di Kyoto».
SE IL «FRESCO» PRIVATO
È PAGATO DAL PUBBLICO
Andrea Fasullo, responsabile del settore clima ed energia del Wwf Italia, ha dichiarato che «un’economia matura è quella che a parità di benefici usa la minor quantità possibile di energia; al contrario, l’ossessione di soddisfare sempre e comunque la crescita dei consumi crea inevitabilmente circoli viziosi del tipo “fa caldo, aumentano i condizionatori, serve più elettricità”, producendo esattamente le condizioni perché i blackout avvengano».
A proposito dei condizionatori, causa di grandi consumi elettrici e conseguenti emissioni di gas serra, Adriano Paolella (12) offre un’importante riflessione, estendibile anche ad innumerevoli altre situazioni: «Il condizionatore è un sistema individuale per avere fresco, ma è anche la soluzione più asociale e di maggior impatto ambientale che si possa mettere in atto. Esso permette di ottenere un fresco privato determinando condizioni di caldo pubblico».
Non servono quindi nuovi impianti, ma la razionalizzazione della rete attuale e un serio programma per le fonti alternative. E, soprattutto, un nuovo modello di sviluppo con minori consumi e un diverso stile di vita da parte di noi tutti.
(seconda parte – fine)
Note:
(1) Le parole sono riprese da quelle dell’economista statunitense Herman Daly, che ribadisce come «Più di metà del commercio mondiale scambia beni identici, che ognuno avrebbe a disposizione anche sul posto».
(2) Fino al livello raggiunto nel 2000 di circa 185,2 Mtep rispetto al 1990 (+14,1%).
(3) Nanni Salio, Politiche globali dell’energia, in corso di stampa
(4) Fonte: Grtn (Gestore Rete Trasmissione Nazionale), www.grtn.it/ita/statistiche/datistatistici.asp.
(5) Si tratta del “Strategic Energy Policy Challanges for the 21st Century”; fonte: Ritt Goldstein, in Azione nonviolenta, aprile 2003.
(6) Luigi Sertorio, Il Potere del Fossile, Edizioni SEB 27, Torino, 2000; Luigi Sertorio è professore associato di Ecofisica alla Facoltà di scienze dell’Università di Torino.
(7) Carlo Bertani, Energia, Natura e Civiltà. Un futuro possibile?, Giunti, 2003.
(8) Michele Paolini, La guerra del petrolio, Editrice Berti, 2003.
(9) Per approfondire, tra gli altri: Michele Paolini, Carlo Bertani, Giulietto Chiesa, Michel Chossudovsky, MC monografico sulle guerre ottobre-novembre 2003.
(10) Worldwatch Institute, State of the World’03, Edizioni Ambiente, Milano 2003.
(11) Luca Mercalli, Clima di guerra: quali sono i costi energetici e ambientali del conflitto iracheno?, Società Meternorologica Italiana, 25 marzo 2003; Luigi Sertorio, Storia dell’abbondanza, Bollati Boringhieri 2002.
(12) Adriano Paolella, Banca del Clima: un progetto per quantificare il risparmio energetico, in Attenzione, rivista del Wwf per l’ambiente e il territorio, n. 20, lug. 2003.
Bibliografia essenziale:
APAT, Annuario dei dati ambientali. Sintesi, Roma 2002
Domenico Filippone, Da onnivori a energivori! L’energia nuovo alimento della specie umana, Itinerari. Sviluppo Sostenibile?, n.5, novembre/dicembre 2001
ENEA, Clima e Cambiamenti Climatici, Roma, dicembre 2002
ENEA, L’energia e i suoi numeri, Italia 2000, Roma, ottobre 2001
ENEA, Noi per lo sviluppo sostenibile, Roma, novembre 1999
Gianfranco Bologna (a cura di), Italia capace di futuro, EMI 2000.
Worldwatch Institute, State of the World’03. Stato del pianeta e sostenibilità-Rapporto annuale, Edizioni Ambiente, Milano 2003
Alcuni siti internet:
www.unfccc.int
www.grtn.it
www.enea.it
www.bancadelclima.it
www.nimbus.it.
www.greenpeace.it
www.wwf.it
Silvia Battaglia