La guerra non piace, ma
Cari missionari,
le guerre sono sempre di più e le violenze sempre più atroci, anche perché troppi uomini sono affascinati dall’idea della guerra e provano un immenso piacere nel far male ad altri uomini o nel vedere, attraverso i mass media, scene reali o simulate di tortura, mutilazione, morte.
Riuscite a spiegare in altro modo il boom del «turismo di guerra», il crescente interesse che riscuotono i «war games della domenica» e le dimensioni assunte dal fenomeno del mercenariato?
Continuiamo pure a dire che guerra e terrorismo sono frutto dell’ingiustizia; ma diciamo anche che persino in Italia (che vari stereotipi vorrebbero abitata da uomini con una specialissima attitudine per la pace) la guerra piace, a tal punto che molti connazionali si arruolano nelle milizie irregolari e negli eserciti privati, quando vedono che non è possibile con le forze armate regolari.
Mario Pace
Fano (PS)
Post scriptum
E che dire della «battaglia delle arance» di Ivrea, dove, con il pretesto della fedeltà a tradizione e folclore, ogni anno decine di persone restano ferite in modo anche grave e oltre 2,5 milioni di arance vengono sprecate?
Come possiamo credere all’italiano amante della pace e alieno per natura da ciò che è violenza, quando si arriva a spendere 100 euro (in Cina è il mensile di un metalmeccanico) per salire sopra un carro del carnevale e partecipare al getto di arance da posizione privilegiata?
La guerra non piace a nessuno, ma… «serve». Almeno lo si spera e lo si fa credere sempre e dovunque.
Prima dell’ultimo conflitto contro l’Iraq, un editoriale rilevava: «Il motivo di fondo [per una guerra preventiva] pare essere la posizione geopolitica che l’Iran occupa nell’area medio-orientale. Il Medio Oriente, in particolare i tre stati maggiori produttori di petrolio e di gas naturale (Iraq, Iran e Arabia Saudita) è un’area vitale per l’economia degli Stati Uniti: potervi accedere liberamente è d’importanza fondamentale per tutto l’Occidente» (La Civiltà Cattolica, 18 gennaio 2003).
Che poi si raggiunga subito lo scopo è un altro discorso, e un altro ancora che si entri in un’«avventura senza ritorno». Giovanni Paolo II lo sta gridando da almeno 13 anni. Ma non è ascoltato.
Mario Pace