Iraq – Che succede tra Caldei e Assiri?

L’Iraq è un paese a maggioranza musulmana, ma è anche terra di antichissima cristianità, dove la parola di Dio giunse già dal 54 A.D., quando San Tommaso, nel suo viaggio verso l’Estremo Oriente, la predicò nell’area che ancora era chiamata Mesopotamia.
Guerre e persecuzioni hanno contribuito a diminuire drammaticamente il numero dei cristiani d’Iraq, ridotti oggi a non più di 600 mila. Sono pochi ed anche divisi i cristiani d’Iraq. Se non si contano le confessioni di derivazione anglosassone (protestanti, evangelici, avventisti) la maggior parte di essi appartengono alle chiese assira dell’est, sira, armena e soprattutto cattolica caldea che ne accoglie circa il 70%.
Nell’Iraq del dopo Saddam dove l’ansia di libertà si è concretizzata nel sorgere di una miriade di partiti (si dice ce ne siano già 85) anche i cristiani stanno cercando una loro visibilità politica. Per adesso, sono rappresentati, nell’Iraqi Goveing Council, il governo provvisorio iracheno voluto ed insediato dall’amministrazione Usa nel luglio scorso, da Yonadam Kanna, capo dell’Assyrian Democratic Movement, ma da subito questa nomina ha creato dei malumori, specialmente tra i membri della chiesa caldea che, forti del loro essere maggioritari, chiedono un proprio rappresentante nell’organismo di governo. Ne abbiamo parlato con monsignor Jacques Isaak, segretario generale del sinodo dei vescovi caldei e rettore dell’Università pontificia di Baghdad.

«Le differenze tra caldei ed assiri, che fanno quasi tutti capo alla chiesa assira dell’est, esistono – dice monsignor Isaak – e la più grossa è che la chiesa caldea vuole e riconosce l’autorità del pontefice romano, mentre la chiesa dell’est la rifiuta».
«Noi caldei, inoltre, rappresentiamo la maggioranza dei cristiani in Iraq, e sebbene il nostro atteggiamento verso i diversi poteri che si sono succeduti nel nostro paese sia sempre stato di maggiore accettazione rispetto a quello tenuto dagli assiri, ora è venuto il momento di avere una rappresentanza politica distinta».
Rappresentanza politica distinta chiesta ufficialmente da 19 vescovi sui 20 che hanno partecipato al sinodo che si è tenuto ad agosto a Baghdad per nominare il nuovo patriarca, e che hanno emesso a proposito un documento ufficiale ispirato da monsignor Sarhad Jammo, vescovo dell’eparchia di San Diego in Califoia.
«Ho cominciato a pensare che fosse necessario stabilire dei confini politici tra gli assiri ed i caldei già 30 anni fa – ci dice monsignor Jammo -, ma sono stato sempre frenato nel farlo dalla posizione ufficiale al riguardo assunta dal nostro precedente patriarca, Mar Bedaweed I, che nel 2000 dichiarò di essere un assiro dal punto di vista etnico ed un caldeo dal punto di vista religioso».
«Noi non accettiamo chi si fregia del titolo di rappresentante dei “caldeo-assiri” – continua monsignor Jammo – perché questo è un tentativo da parte degli assiri di inglobare i caldei e di fae un punto di forza. Gli assiri in Iraq sono pochi, e sanno di non poter contare nulla nel paese, se non in alleanza con i caldei. Sebbene già in passato io abbia riconosciuto la legittimità di entrambi i nomi, non accetto la denominazione comune di caldeo-assiro, e per questo sostengo il congresso dei partiti e delle associazioni caldee che si terrà a Baghdad il 24 febbraio del 2004, e che finalmente ci vedrà protagonisti non solo della vita religiosa del paese, ma anche di quella politica».
Gli assiri, pochi in Iraq e molti in diaspora, hanno un’abitudine radicata al confronto politico, i caldei, molti in Iraq e meno all’estero, solo ora, con la caduta del regime e la scomparsa del precedente patriarca, sono quindi liberi di esprimere le proprie rivendicazioni sulla scena politica.

Questi contrasti sicuramente daranno vita ad un dibattito che promette di essere agguerrito ed interessante, dal quale però è tenuta fuori l’istituzione che in Iraq vede lavorare insieme i cristiani: il Babel College, l’Università pontificia affiliata all’Università urbaniana di Roma, che accoglie studenti caldei, assiri, siri ed armeni.
Il Babel College è diretto da monsignor Jacques Isaak che ha proibito la diffusione di volantini e scritti che trattino la questione politica. È un uomo di cultura monsignor Isaak, e quali siano le sue posizioni politiche, vuole che esse non guastino l’atmosfera di collaborazione ed amicizia tra studenti appartenenti alle diverse chiese, che ha sempre caratterizzato il suo collegio.
«C’erano due studenti, un caldeo ed un assiro che distribuivano volantini al riguardo, li ho chiamati ed ho detto loro che erano liberi di farlo al di fuori delle mura del collegio, ma non all’interno. È nostro compito trasmettere i valori della cristianità ma anche offrire ai nostri studenti, la maggior parte laici, gli strumenti culturali adatti ad affrontare il futuro del paese. Bisogna tenere la cultura divisa dalla politica, almeno per ora, e dare ai giovani la possibilità di formarsi, studiando, un’opinione personale. Il dialogo potrà aiutare il paese nel cammino verso la pace, dialogo sia tra le diverse confessioni cristiane, sia con i musulmani: per capirsi bisogna parlarsi».
Il Pontifical Babel College di Baghdad, che accoglie studenti delle diverse confessioni cristiane, è in questo senso un’istituzione unica. Per l’anno accademico 2002-’03 gli studenti iscritti erano 280, la maggior parte laici e tra essi c’erano anche molte donne.
I corsi, che durano 7 anni e che comprendono materie come filosofia, teologia, lingua siriaca, araba ed inglese sono stati interrotti il 17 marzo, ma il giorno stesso della caduta della statua di Saddam in piazza al Furdus, evento che ha mediaticamente segnato la caduta del regime, si è tenuta la prima riunione operativa dei dirigenti del collegio.
Durante il conflitto le postazioni missilistiche che l’esercito iracheno aveva posto lungo le mura estee hanno fatto del collegio un bersaglio. I danni sono stati ingenti. Sono stati distrutti il Centro dell’Arte Sacra, la sala computer, molti infissi estei e l’impianto di condizionamento dell’aria, ma la volontà di ricominciare era tanta ed i lavori sono iniziati appena possibile con un criterio di priorità che potesse favorire la ripresa degli studi.
Infissi, impianti di condizionamento e nuovi servizi igienici hanno avuto la precedenza, ma si è proceduto anche al recupero del Centro dell’Arte Sacra e della sala computer che conta oggi 13 postazioni, ed alla sistemazione ed ampliamento della biblioteca per passare dai 12 posti a sedere ai 90 attuali, e per accogliere i libri che sono stati ad essa destinati per lasciti ereditari, compreso quello del defunto patriarca Mar Bedaweed I.
Ad aspettare, invece, dovrà essere la St. Aprham Hall, la sala conferenze da 750 posti la cui costruzione era iniziata da qualche anno. Nei giorni successivi alla caduta del regime i saccheggiatori hanno colpito anche il Babel College portando via ciò che era più facilmente asportabile. Nel caos generale monsignor Isaak aveva chiesto protezione agli americani che però non l’hanno accordata. A distanza di mesi quella mancata protezione è considerata provvidenziale. «Ora abbiamo solo 5 guardie armate, 3 musulmani e 2 cristiani, ed è meglio così. Se gli americani avessero accettato di proteggerci saremmo stati accomunati a loro. Il fatto che le guardie siano locali, invece, ci ha fino ad ora accordato una sorta di immunità perché la gente può distinguere tra noi, cristiani iracheni e gli americani, forza di occupazione».
Che i rapporti tra questa massima istituzione di studio cristiana ed il mondo musulmano siano improntati alla collaborazione più che allo scontro lo si capisce dal fatto che da quando, ad ottobre, i corsi sono ripresi, il numero dei docenti musulmani che si occupano dell’insegnamento della filosofia è passato da 5 a 7, e che ci sono già stati dei contatti tra il Babel College e la facoltà di studi islamici di Baghdad che ha richiesto un docente che possa spiegare agli studenti musulmani la storia del cristianesimo. Una facoltà ecumenica ed interreligiosa, quindi, che rappresenta una speranza ed un augurio in un paese che deve fare i conti con divisioni etniche e religiose.
I progetti per il Babel College sono molti, monsignor Isaak, malgrado impegnato anche a dirigere due riviste: Nagm al Mashrik (Stella d’Oriente) e Beit Nahrein (Mesopotamia) è un vulcano di idee ed iniziative.
«Vogliamo che il Babel College diventi anche una facoltà di lingue perché non è un bene che i nostri sacerdoti parlino solo l’arabo. A questo proposito abbiamo già contattato l’ambasciata di Francia che si è impegnata ad inviarci da Parigi un docente, ed anche l’ambasciata britannica. Speriamo, in un prossimo futuro, di poter insegnare anche l’italiano».
Oltre alla facoltà di teologia e filosofia il Babel College ospita il Cathechetical Christian Institute dove, in 3 anni di corsi, vengono formati i catechisti. Il college si trova in una zona difficile da raggiungere per molti studenti, e si è così deciso di trasferire temporaneamente i corsi presso la chiesa di Mar Elyia e di istituire dal prossimo anno una sede dell’istituto anche a Mosul per evitare agli studenti provenienti dalle regioni del nord il viaggio bisettimanale di andata e ritorno da Baghdad.
Molte idee e progetti quindi che sicuramente sotto la guida di monsignor Isaak si realizzeranno perché all’interno delle mura del collegio, ora libere da missili, tutti i cristiani, ed anche i musulmani, possano imparare a convivere pacificamente.
Luigia Storti

Luigia Storti