L’uomo è diventato «energivoro», cioè consuma sempre più energia.
Ma l’energia non è né illimitata né gratuita. L’attuale sistema energetico
comporta spreco di risorse naturali, inquinamento e impatti ambientali,
costi economici e sociali. La scorsa estate siamo stati sommersi da fiumi
di parole in occasione di alcuni blackout. Ma non uno dei nostri politici
e presunti esperti che abbia detto l’unica cosa veramente determinante:
«Il nostro stile di vita consuma troppa energia e per questo è insostenibile».
(Prima parte)
Scrive Mario Rigoni Ste in un bellissimo articolo (1) del 29 settembre 2003, all’indomani del tanto discusso blackout italiano: «Questo “buio-fuori” potrebbe far accendere la “luce-dentro”. Chissà se un blackout sarà capace di far riflettere la gente così dipendente dal “progresso”?».
Se non tutti i mali vengono per nuocere, in effetti anche un evento come il blackout può riaccendere la consapevolezza sul proprio stile di vita, sulle caratteristiche di una società completamente dipendente dall’uso di energia, non solo per i bisogni fondamentali, ma anche per tutti i desideri superflui: energia per i trasporti, per le industrie, per il riscaldamento, per l’illuminazione, per il cinema, il teatro e la musica, per computer e televisione, per fare la doccia, ma anche per lo spremiagrumi elettrico, per la scopa elettrica, per lo spazzolino elettrico, per fare la spesa di giorno in un ipermercato con la luce artificiale.
La capacità dell’uomo di utilizzare energia è quasi illimitata: da onnivoro, l’uomo è diventato «energivoro» (2).
Un’occasione per approfondire seriamente la questione energetica si trasforma invece molto spesso in frasi fatte e in preconcetti che presentano di volta in volta aspetti parziali del problema: «bisogna costruire subito nuove centrali», «il futuro è nelle fonti rinnovabili», «bisogna investire nelle energie pulite», «l’Italia è un paese del Terzo Mondo» e via di seguito.
Fare ordine sul tema energetico è estremamente complesso; indirizzare il dibattito esclusivamente sulle fonti di energia pulita può essere limitante e fuorviante, sia per le implicazioni ambientali sia per quelle sociali e di stabilità internazionale. Cosa si nasconde quindi dietro l’utilizzo di energia, dietro il gesto di «inserire la presa nella corrente»?
RINNOVABILE?
L’energia di un corpo (un organismo vivente, un oggetto, un macchinario…) può essere definita come la sua attitudine a compiere lavoro. L’energia può assumere forme diverse: può presentarsi come energia chimica, termica, meccanica, elettrica, elettromagnetica, nucleare.
Le fonti di energia possono essere classificate in vari modi:
• fonti primarie (carbone, petrolio, gas naturale, uranio, radiazione solare, vento, geotermia, idraulica, maree, biomassa): includono sia le materie prime energetiche sia quei fenomeni naturali che rappresentano possibili fonti di energia se opportunamente convertiti nelle forme adatte all’utilizzazione (ad esempio il vento può essere utilizzato per generare energia tramite il movimento delle pale eoliche);
• fonti secondarie (elettricità, idrocarburi, idrogeno, metanolo…): includono quei prodotti e quelle forme di energia che derivano da una trasformazione precedente delle fonti primarie. Ad esempio, l’elettricità è una fonte secondaria perché può derivare da un’opportuna trasformazione del petrolio, del vento, della forza dell’acqua.
Tra le fonti primarie si possono ulteriormente distinguere:
• fonti non rinnovabili, che si sono originate dalla decomposizione di sostanze organiche accumulatesi durante le diverse ere geologiche; esse si trovano in natura in quantità limitata e hanno bisogno di tempi estremamente lunghi per riformarsi: ciò fa sì che rappresentino risorse esauribili: si tratta dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale), ma anche dei combustibili nucleari (uranio, torio…);
• fonti rinnovabili, che traggono origine da fenomeni naturali che stanno alla base della vita del pianeta: la radiazione solare (trasformabile in energia solare), il vento (energia eolica), l’acqua (energia idraulica), il calore della terra (energia geotermica), la biomassa, le maree.
IL DOMINIO
DEI COMBUSTIBILI FOSSILI
Proviamo ora a dare qualche dato significativo sull’energia (3):
• a partire dal 1992, il consumo mondiale di energia ha registrato incrementi significativi e si prevede che fino al 2020 continuerà a crescere ad un tasso del 2% annuo;
• l’incremento maggiore nell’impiego di energia si è verificato nel settore dei trasporti, nel quale il 95% dell’energia che viene consumata deriva dal petrolio. Si prevede che il consumo di energia in questo comparto crescerà ad un tasso dell’1,5% all’anno nelle nazioni industrializzate e del 3,6% nei paesi in via di sviluppo;
• i combustibili fossili rappresentano circa l’80% del totale mondiale dell’energia prodotta e consumata, in calo rispetto all’86% circa registrato nel 1971;
• attualmente, il 20% della domanda mondiale di energia esistente di olio e gas proviene dall’Asia. E, dato ancor più importante, più del 50% della crescita della domanda che viene registrata annualmente proviene da questa regione;
• l’energia nucleare rappresenta il 16% della produzione mondiale di energia elettrica, ma ci sono continue preoccupazioni sulla sua sicurezza e sul suo rapporto costo/efficacia, in particolare per quanto riguarda il materiale di scarto, le scorie radioattive, le spedizioni trans-
frontaliere (cioè da una nazione all’altra), lo smantellamento dei vecchi impianti;
• le modee fonti di energia rinnovabile rappresentano circa il 4,5% del totale dell’energia prodotta.
In Italia (4), negli ultimi 20 anni i consumi energetici dell’industria sono rimasti costanti, mentre si è registrato un notevole aumento nel settore civile e in quello dei trasporti. Attualmente l’utilizzo di energia termica, ossia sottoforma di calore, rappresenta il 54,2% dei consumi totali e il 92% circa di tutti gli usi finali domestici (basti pensare all’utilizzo massiccio di dispositivi elettrici come scaldabagni, stufette, condizionatori, foi e fornelli) e viene soddisfatto tramite il ricorso a fonti non rinnovabili, specialmente gasolio e metano.
L’attuale sistema di produzione dell’energia elettrica avviene quasi totalmente bruciando i combustibili fossili: semplificando, il calore generato dalla combustione (energia termica) viene trasformato in energia meccanica attraverso una turbina, e successivamente in elettricità (energia elettrica) tramite un alternatore elettromagnetico. Questi passaggi fanno sì che solo una quota compresa tra il 35% ed il 55% del calore prodotto (dipende dal tipo di centrale usata) diventi elettricità: la restante parte viene dispersa nell’ambiente.
Il fatto che una forma pregiata di energia, quale l’energia elettrica, venga poi utilizzata per ottenere forme di energia di scarso pregio, quale il calore a bassa e media temperatura (è il caso dello scaldabagno elettrico), è un’assurdità fisica (5) traducibile in spreco di risorse naturali non rinnovabili, inquinamento e costi economici!
HA UN FUTURO
LA CIVILTÀ INDUSTRIALE?
L’allarme lanciato periodicamente per sollecitare l’utilizzo di fonti rinnovabili che sostituiscano il massiccio uso di combustibili fossili si basa spesso sulla scarsità delle risorse non rinnovabili.
Secondo i dati ufficiali delle multinazionali del petrolio, negli ultimi 50 anni le riserve di petrolio e gas naturale sono aumentate, anche se con un rallentamento nell’ultimo periodo: un forte calo della produzione di petrolio si manifesterebbe quindi non prima del 2050.
Secondo alcuni analisti, invece, il petrolio scoperto alla fine degli anni ’80 sarebbe estratto tramite tecnologie avanzate da giacimenti già utilizzati. In questo caso la produzione mondiale di petrolio inizierebbe a diminuire già intorno al 2015 (secondo i pessimisti, 2010), non necessariamente per mancanza della risorsa ma per i costi troppo elevati che richiederebbero le opportune tecnologie. Ovviamente, nel caso l’offerta diminuisse e la domanda crescesse (sia a causa dell’aumento dei consumi pro capite, sia a causa dell’aumento della popolazione mondiale), sarebbero prevedibili gravi conseguenze sui prezzi e sulla stabilità dei mercati.
Fra i numerosi studi, spicca la Teoria di Olduvai (6), proposta da Richard C. Duncan, che ha analizzato i dati di produzione e consumo dell’energia pro capite a livello planetario, dal 1960 (dati storici) al 2060 (previsioni).
Secondo questa teoria, la «civiltà industriale» durerebbe circa 100 anni, presentando alcuni eventi particolari: 1930, inizio della civiltà industriale; 1979, raggiungimento del massimo valore assoluto di produzione del petrolio fino ai nostri giorni; 1999, fine del petrolio a buon mercato; 2000-2001, conflitti in Medio Oriente ed escalation del terrorismo internazionale; 2006, picco di produzione del petrolio; 2012, blackouts elettrici permanenti previsti in tutto il mondo; 2030, produzione pro capite di petrolio uguale a quella del 1930.
Anche se in campo energetico l’Italia è dipendente dall’estero per l’83%, valore praticamente costante dal 1971 ad oggi, lo sforzo nel produrre energia elettrica a partire da fonti rinnovabili risulta esiguo.
Se la Olduvai Theory può sembrare pessimista, in realtà il declino della civiltà industriale potrebbe essere causato da un insieme complesso di concause già in atto: impoverimento delle riserve fossili, sovrappopolazione, danni ambientali, inquinamento, riscaldamento globale, desertificazione, conflitti per l’appropriazione delle risorse.
(Fine prima parte – continua)
Silvia Battaglia