PER NON PERDERE LA TESTA

Caro direttore,
desidero manifestare il
mio pieno appoggio alla
linea editoriale della rivista.
Chiedo che questa
non muti indirizzo, nonostante
i violenti attacchi
portati da alcuni lettori,
fermi agli anni ’50. Costoro
sono veramente risibili.
Pertanto continuate
sempre così.

G. Giannetti

Cari missionari,
non sempre sono d’accordo
con alcuni articoli della
rivista; però non concordo
nemmeno con
alcuni lettori che manifestano
il dissenso con
INSULTI E SCHERNI.
Mi impressiona negativamente
il RICATTO di qualcuno
che scrive: «Non vi
manderò più offerte». Le
offerte non sono forse
per le opere missionarie
in favore dei poveri? Ancora:
mi rattrista chi disdice
l’abbonamento alla
rivista, perché non vi ritiene
più cattolici e fa
propaganda presso altri
lettori affinché facciano
come lui.
Pregate per me, affinché
non perda la testa
anch’io. Oggi è facile…
Antonio De Marchi

Pregare per non perdere
la testa. È una preghiera
fondamentale.
Soprattutto per noi.

G. Giannetti Antonio De Marchi




Vescovo «speciale»

Cari amici,
il testo del vescovo Robert
Bowman, apparso nella
rubrica «Battitore libero»
di Missioni Consolata,
giunse anche a me come
messaggio a Bush. Dietro
suggerimento di un sacerdote
amico, don Giovanni
Tonelli, direttore del locale
settimanale diocesano Il
Ponte, ho controllato su
internet. Il testo del vescovo
Bowman è in realtà
vecchio di qualche anno,
ed era diretto a Clinton.
C’è una frase rivelatrice
(fine prima colonna e inizio
seconda): «Recentemente
abbiamo tentato di
farlo in Iraq».
Ciò NON toglie nulla al
valore del testo in sé. E
complimenti per la bellissima
rivista che leggo
sempre con la massima attenzione.

La precisazione del lettore
è pertinente. Noi ne
aggiungiamo un’altra:
Robert Bowman non è
un «vescovo cattolico»
nel significato comune
dell’espressione; egli infatti
appartiene alla United
Catholic Church, una
chiesa indipendente.
In ogni caso, se il contenuto
della lettera era
valido nei confronti di
Bill Clinton, a fortiori lo è
di fronte all’operato della
presidenza di George W.
Bush.

Antonio Montanari




«Se devo andare all’inferno…»

Gentile direttore,
non mi dilungo sul fatto
che la chiesa ormai parli
come Bertinotti o Agnoletto
e che ci sia un antiamericanismo
diffuso, anzi
un antioccidentalismo,
che ricorda nei toni la santa
inquisizione.
So che in questo momento
divento razzista,
fascista e guerrafondaia;
però mi permetto di contestare
l’articolo del vescovo
Robert Bowman
(Missioni Consolata, aprile
2003). Egli accusa l’America
(e Bush in particolare)
di aver mentito sul
terrorismo, che secondo
lui sarebbe la risposta ad
una serie di soprusi americani.
Io vorrei che si riflettesse
su un fatto: se è vero
che il terrorismo è solo la
risposta ad un sopruso,
come mai anche il santo
padre viaggia con una
macchina blindata?
I casi sono due: o la teoria
del vescovo è sbagliata,
oppure si deve pensare
che la chiesa non si è comportata
meglio degli Stati
Uniti (forse perché i preti
pedofili sono stati vergognosamente
protetti proprio
negli Stati Uniti, e,
quando si parla di Palestina,
ricordo una crisi tra il
Vaticano e la città di Nazaret
per la costruzione di
una moschea).
Io propendo per la prima
ipotesi, perché, come
non si possono dare ai genitori
le colpe di un figlio
omicida, così non si può
giustificare facilmente il
terrorismo, il quale ha
molte origini.
Se è vero che il terrorismo
è la ribellione per i
torti subiti, bisognerebbe
studiare di più la storia
mediorientale per rendersi
conto che, prima degli
Stati Uniti, molti torti furono
stati fatti alle popolazioni
locali: prima dai
crociati cristiani, poi dai
turchi, poi ancora da vari
imam musulmani che
hanno approfittato dell’occasione
per avere più
potere.
Io non so dare una risposta
al perché del terrorismo,
né a tutti i guai del
mondo; però noto nelle
stesse parole di Bowman
un pregio della civiltà occidentale:
quello di saper
criticare se stessa.
Non credo che il pacifismo
esasperato di questi
giorni sia la soluzione: il
mondo non è ancora
pronto per una società
senza guerre; la pace la si
deve costruire giorno per
giorno con la buona volontà,
con l’interessamento
per gli altri (a partire
dal vicino di casa, prima
che dell’Iraq), evitando
accuse e toni aggressivi
che creano solo divisione.
Quante persone ho visto
litigare in questi giorni e
quante amicizie rovinate!
Non credo che, così facendo,
siamo nel giusto.
Mi scusi, direttore, per
lo sfogo, ma, se devo andare
all’inferno per non aver
condannato totalmente
la guerra, non avrò almeno
il peccato di aver
mentito sul mio pensiero.
Creda: neanche a me piace
vedere vittime innocenti,
ma forse cinicamente
penso che i 1.000 morti
per la guerra in Iraq siano
meno peggio dei 10.000
uccisi ogni anno da Saddam
Hussein.

1. Sul terrorismo (che il
papa condanna) la signora
Donatella ci pare in
sintonia con lo stesso
Bowman: entrambi infatti
invitano a riflettere sulle
cause che lo scatenano.
2. Un pregio della civiltà
occidentale (ma
non solo) è certamente
quello di sapersi criticare…
E pregevoli siamo
anche tutti noi se facciamo
altrettanto, stimolati
magari da qualche «profeta».
3. All’inferno o in paradiso
non si va per le idee,
ma per i propri
comportamenti. Gesù
direbbe: «Non tutti
quelli che dicono “Signore,
Signore!” entreranno
nel regno di Dio,
ma solo chi farà la volontà
del Padre mio che
è in cielo» (Mt 7, 21). Ma
è pure doveroso ricordare
che le idee spesso determinano
i comportamenti,
perché hanno mani
e piedi (Hegel).

Donatella Carpignano




«Mi reputo offeso da…»

Caro direttore,
leggo con disappunto la
lettera del signor LUIGI
FRESSOIA (Missioni Consolata,
maggio 2003). Mi
reputo offeso da quanto
ha scritto questo signore.
Ogni sua frase è uno slogan
privo di significato e
teso solamente ad offendere
chi non ha le sue idee.
Per lui è importante
guadagnare 2.000 euro al
mese, e il mondo può crollare.
Non gli interessano i
problemi che la rivista
(giustamente) ci fa conoscere:
guerra, sfruttamento
minorile, degrado ambientale,
ecc. A Fressoia il
mondo piace così.
Io ringrazio, invece, i
redattori di Missioni Consolata
per il coraggio che
manifestano nell’affrontare
argomenti molto delicati
in maniera approfondita.
Spero, inoltre, che la
collaborazione con GIULIETTO
CHIESA venga
rafforzata, in quanto giornalista
di qualità in un panorama
desolante.
La vostra rivista entra
mensilmente in casa mia e
mi rinfranca nello squallore
giornalistico che ci circonda.
Davanti all’aggressione
cui siete sottoposti,
vi domando di resistere
forti delle vostre idee.

Il signor Luigi Fressoia
è stato criticato anche da
Francesco Benegiamo,
di Galatina (LE), il quale
scrive:
«Ora finalmente il signor
FRESSOIA può sfogarsi
contro Biagi e Santoro,
che pure sono stati mandati
in quarantena… Anch’io
vivo con 2.000 euro
al mese; sono vedovo e ho
quattro figli.
Crede davvero Fressoia
che gli Stati Uniti siano eterni?
Anche l’impero romano
crollò. È il cinese la
lingua più diffusa nel
mondo, non l’inglese. E
devo, io, preoccuparmi di
dire queste cose? C’è ancora
LIBERTÀ DI PAROLA
in questo paese?… “Meditate
gente, meditate”».

Marco Bellodi




Il pericolo «Cina»

Egregio direttore,
leggo il numero di aprile e
rimango stupito dell’articolo
sulla Cina. Per quanto
interessante, lo trovo
assoggettato su posizioni
economiche pericolose e
ideologiche. Come viene
messo bene in evidenza
dagli articoli dell’ingegnere
Battaglia, esistono limiti
allo sviluppo imposti
dal nostro stesso pianeta.
Se un mercato come
quello cinese iniziasse a
consumare come quello
occidentale, presto dovremmo
dire addio al
mondo, data la limitatezza
delle risorse e l’inquinamento
provocato.
Comunque mi complimento
per la linea editoriale
e vi esorto a continuare
lungo questo percorso.

Condividiamo le sue
preoccupazioni, signor
Luca. E sono condivise
anche dall’articolista
Mirco Elena quando
scrive: «Gli effetti positivi
o negativi [derivati
dalla modeizzazione in
Cina] ricadranno direttamente
o indirettamente
sul resto del pianeta».
Ma la Cina non si fermerà
sulla strada della
«modeizzazione», se
non lo farà anche l’occidente,
che finora ha battuto
la pista dell’«usa,
getta e inquina». Dobbiamo
rivedere tutti i
modelli di sviluppo.
(NDR: l’ingegnere Silvia
Battaglia cura «Una sola
madre terra», rubrica di
Missioni Consolata sui
problemi dell’ambiente).

Luca Poitre




Il «bello» dell’Africa

Spettabile rivista,
abbiamo letto l’articolo
«Non solo moda, però»
su Missioni Consolata di
aprile. Ci ha molto colpito
l’interessante esperienza
di valorizzare il bello
della cultura africana.

Il lettore ha colto il vero
significato dell’articolo.

Matteo Tamagnini




Pace «dai tetti»

Cari missionari,
un grazie per la pace che
con la rivista avete predicato
e state predicando coraggiosamente
«dai tetti».

«Dai tetti», cioè dall’alto,
ma per guardare anche
verso il basso e parlare
a tutti indistintamente.

Rita e Eugenio Mattei




LA PACE NON SI AMMAINA

Passata la buriana della guerra del Golfo, sconfitto
Saddam, conquistati i punti strategici di
Bassora, Mossul e Baghdad, occupati i pozzi
petroliferi dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti,
anche il circo massmediatico internazionale, accorso
come mosche sulle piaghe purulenti di una «sporca
guerra preventiva», fa dietro front e tutto rientra
nel grigio anonimato del tran tran dell’informazione
soporifera dei giorni feriali.
Restano sul terreno le migliaia di morti innocenti e
senza volto, falcidiati da una potenza di fuoco tanto
impressionante quanto imperturbabile di fronte ai
lutti e tragedie causati dall’arroganza.
Durante i giorni del conflitto, larga parte dell’opinione
pubblica italiana e internazionale si era schierata
apertamente per la pace con manifestazioni, sit
in, incontri, dibattiti, digiuni e preghiere, stimolata
e sostenuta dall’autorevole presa di posizione di Giovanni
Paolo II. Egli non ha mai smesso di alzare la
voce, in forza anche dell’esperienza vissuta sulla sua
pelle durante la seconda guerra mondiale, diventando
così un punto di riferimento per tutti i costruttori
di pace e persone di buona volontà.
Un simile atteggiamento è stato stigmatizzato e
scheito da quella parte di società che, di fronte ai
problemi del mondo, non vede altra soluzione che
«mostrare i muscoli» e «menare le mani», appoggiati
dalle nostrane Platinette dell’informazione,
sempre pronte a incensare l’imperatore di tuo.
Ci preme sottolineare come i veri amanti della
pace non aspettano le sollecitazioni dei mass
media per prendere posizione. Da anni organismi
e associazioni cattoliche hanno organizzato e
proposto incontri sulle realtà tragiche del sud del
mondo: le guerre dimenticate che i nostri missionari
non hanno mai smesso di segnalarci e che noi, pur
con la limitatezza della nostra voce e mezzi, abbiamo
sempre offerto come spunti di riflessione alla comunità
ecclesiale e alla società civile.
Quanti incontri sulla tragedia dei Grandi Laghi, Timor
Est, Medio Oriente, indios e minoranze etniche,
bambini soldato, ex Unione Sovietica…!
A volte, pur avendo invitato relatori
di prestigio, ci si ritrovava solo con pochi amici: la
stragrande maggioranza della gente non veniva coinvolta
perché i grandi mezzi di comunicazione di massa
(ma anche i piccoli e mediani di casa nostra) se ne
guardavano bene dal coinvolgere e informare, preferendo
ammannire notizie pruriginose e piene di
suspense alla «grande fratello», per vendere qualche
copia in più o attirare ulteriori allocchi.
Di chi la responsabilità, allora, se la mobilitazione
di massa avviene solo quando il circuito
dei mass media fa da cassa di risonanza
agli avvenimenti importanti? Come spiegare il risalto
dato dai mass media inteazionali agli
interventi di Giovanni Paolo II sulla pace in Iraq,
con il disinteresse totale di tutte le altre volte che lo
stesso pontefice ha alzato la voce per porre un freno
alla tragedia dei Grandi Laghi?
Perché la Cnn o Al Jazeera non calano in massa in
Cecenia o in Sudan, inondandoci di informazioni di
prima mano sulla tragedia di questi popoli dimenticati
e su altre situazioni che attendono di essere presentate
al vasto pubblico internazionale? Chi muove
le fila dell’informazione planetaria?
Su queste situazioni, ognuno può farsi un’opinione,
grazie ad altri canali d’informazione: perché, allora,
non insistere su una vera, autentica e corretta mole
di notizie, in grado di aiutare le coscienze a leggere
la realtà e interpretarla, come le riviste missionarie
e la Misna fanno in maniera irreprensibile, senza
mai demordere di fronte alle mille difficoltà?
Vogliamo sottolineare questi interrogativi proprio
adesso che, finita la guerra in Iraq, tutto
sembra attenuarsi, favorendo il qualunquismo
di quei maliziosi che trovano mille scuse per non
prendere alcuna posizione di fronte ai problemi della
pace, ma sono sempre pronti a sbeffeggiare tutti
coloro (papa compreso) che, proprio perché hanno a
cuore le sorti della pace nel mondo, si impegnano senza
risparmiarsi ogni volta che essa è messa in pericolo
da texani, talebani o cosacchi di tuo!
La bandiera della pace non sarà mai ammainata dalle
nostre coscienze.

DON MARIO BANDERA




GIOVANI AD ALTO RISCHIO

Due terzi della popolazione dell’archidiocesi
di Tunja (1.286.329 persone), nella regione
nordorientale della Colombia, vivono nella zona
rurale. Un’elevata proporzione di giovani sono AD
ALTO RISCHIO. Cioè, nell’impossibilità di accedere ai
servizi educativi fondamentali (scuola elementare
e media) e, di conseguenza, senza accesso a
un minimo di progresso sociale, economico e
culturale, molti giovani sono attratti o costretti
ad arruolarsi nelle forze sovversive o negli eserciti
dei narcoproduttori, che offrono nuove possibilità
politiche ed economiche.
Per rispondere a una tale sfida,
abbiamo dato vita all’Istituto tecnico
di educazione rurale per lo sviluppo
integrale e sostenibile (Itedris),
destinato alla gioventù adulta (oltre
17 anni).
Formazione e apprendimento avvengono
in équipe e in diretto rapporto
col villaggio di appartenenza. I processi
educativi sono portati avanti in
piccoli gruppi, guidati dai facilitatori
e mediatori pedagogici.
I l programma del progetto
mira a promuovere la crescita
integrale dei giovani,
l’etica della vita
comunitaria pacifica
e produttiva e il
rafforzamento della democrazia
nei gruppi di giovani
adulti ad alto rischio, organizzati
nei propri villaggi
o paesini.
Più specificatamente,
giovani e gruppi sono aiutati a incentivare efficacemente
i progetti prodottivi in campo agricolo,
artigianato, arte, ecc., sviluppando le loro
capacitá intellettuali, morali, sociali, affettive e
religiose. I corsi hanno il riconoscimento accademico
da parte dello stato.
L’archidiocesi di Tunja dispone già di persone
specializzate in educazione rurale; la sua organizzazione
arriva a tutti i luoghi della regione ed
ha fatto dei convegni con altri organismi educativi
di appoggio. Ma ha bisogno di solidarietà.
PROPOSTE DI APPOGGIO
In forma individuale: 5 euro al mese, è il costo
mensile della capacitazione di ogni giovane; 50
euro per un anno; 150 euro per i tre anni di dura
del processo basilare completo.
Per gruppi o parrocchie: 125 euro al mese per
appoggiare un gruppo di 25 giovani contadini;
1.250 euro per l’intero anno; 3.750 euro sostenere
un gruppo fino al termine del processo formativo
(i tre anni).
Tra il gruppo che riceve l’aiuto e il gruppo di
appoggio si puó stabilire un rapporto speciale
di comunicazione e vicendevole informazione.
L’arcivescovo di Tunja, inoltre, si impegna a
inviare rapporti narrativi ed economici richiesti.
E ringrazia di cuore della collaborazione offerta
ai giovani rurali. È un apporto alla pace.

MONS. LUIS AUGUSTO CASTRO Q.
ARCIVESCOVO DI TUNJA-COLOMBIA

MONS. LUIS AUGUSTO CASTRO Q.




Dall’«asiatica» alla «Sars»


In queste pagine Guido Sattin ricorda Carlo Urbani ripercorrendo la sua vita attraverso gli eventi della storia e della medicina.

Noi che siamo nati alla metà degli anni ’50, che abbiamo visto arrivare nelle nostre case i primi elettrodomestici, che siamo cresciuti con la Tv dei ragazzi in bianco e nero e che andavamo a dormire dopo Carosello; noi che abbiamo frequentato le scuole superiori nei turbolenti anni successivi al 1968 e le Università nel cupo decennio degli anni ’70 e ’80; noi che siamo cresciuti nei grandi ideali di quegli uomini che, al di là delle diverse ideologie e fedi, volevano cambiare il mondo, che abbiamo pianto la morte di Gandhi, Che Guevara, Luther King, John Kennedy, papa Giovanni, Salvador Allende; noi che abbiamo visto crescere e cadere l’Unione Sovietica, la Cina di Mao, che abbiamo visto sconfitta l’apartheid del Sud Africa, morire con Franco l’ultimo fascismo d’Europa, cadere i colonnelli greci; noi che, nati nel pieno della tragedia dell’Ungheria, abbiamo vissuto poi quelle del Vietnam, della Cecoslovacchia, del Cile e dell’Argentina, della Cambogia dei Khmer Rossi, le guerre in Palestina, il terrore di Sendero Luminoso in Perú; noi che abbiamo vissuto le bombe fasciste degli anni Settanta in Italia e poi la pazzia del brigatismo rosso; noi che, credenti o non credenti, abbiamo però creduto insieme nella possibilità di un mondo migliore fatto di pace, libertà e giustizia sociale; noi che in quegli anni, e con la storia che correva intorno a noi, siamo diventati medici e poi siamo andati a lavorare in Africa, in Asia ed in America Latina, lo sapevamo. Noi sapevamo che un certo tipo di progresso umano si scontrava con l’ambiente che ci circonda e lo comprometteva con l’acqua contaminata, con l’aria appestata dai fumi, con le medicine mal utilizzate, con la concentrazione degli abitanti nelle città e l’abbandono delle campagne, con la manipolazione della natura, con la nostra ricchezza e con la nostra povertà. Èil 19 ottobre del 1956 e a Castelpiano, in provincia di Ancona, nasce Carlo Urbani. Diarrea, parassitosi e broncopolmoniti nei bambini, tubercolosi e malaria negli adulti sono le malattie infettive che di più uccidono nel mondo in quegli anni. Nel 1957 vengono isolati in Cina i primi casi di «influenza asiatica», un’altra pandemia che però, grazie al progresso medico, non provoca i danni della «spagnola» del 1918.  È il 1965. Carlo frequenta le scuole elementari e, con 4 anni di ritardo (è del 1961 la scelta dell’American Medical Association), viene introdotta in Italia la vaccinazione antipolio con il vaccino di Sabin. Dal 1966 è resa obbligatoria. Nel 1967 il vaiolo è ancora endemico in 31 paesi del mondo. Solo in quell’anno tra 10 e 15 milioni di persone furono colpite dalla malattia. Di queste, circa 2 milioni morirono e, tra coloro che erano sopravvissuti, milioni rimasero sfigurati o ciechi. Carlo Urbani finiva le scuole medie e sicuramente anche lui portava su di un braccio il segno della vaccinazione antivaiolosa.  Diarrea, parassitosi e broncopolmoniti nei bambini, tubercolosi e malaria negli adulti continuano ad essere le malattie infettive che di più uccidono nel mondo. Nel 1968 si scatena l’ultima grave pandemia, l’influenza di Hong Kong che provoca in Europa decine di migliaia di morti (20.000 nella sola Francia) fra le persone anziane o già debilitate da altri disturbi. Nel 1969 Piero Sensi, ricercatore della Lepetit, scopre le rifamicine e da queste nel 1969 mette a punto la rifampicina, antibiotico attivo contro la tubercolosi. È l’ultimo dei grandi antibiotici scoperti e tutt’ora utilizzati nella terapia della tubercolosi; evidentemente la ricerca sulla tubercolosi, ha smesso, d’allora, di essere una priorità per l’industria farmaceutica.  Nel 1973 la pandemia di colera coinvolge anche l’Italia toccando Napoli. Carlo frequenta il liceo a Jesi.  Diarrea, parassitosi e broncopolmoniti nei bambini, tubercolosi e malaria negli adulti sono sempre le malattie infettive che di più uccidono nel mondo.  Nel 1976 viene isolato per la prima volta il virus Ebola. L’Ebola è un virus in grado di provocare gravi febbri emorragiche e deve il suo nome al fiume della repubblica democratica del Congo, dove fu isolato per la prima volta. Probabilmente il contagio alla nostra specie è avvenuto dalle scimmie e da qualche altro mammifero della foresta africana, ma l’origine e la modalità di trasmissione rimangono un mistero. A oggi si sono registrate quattro epidemie di Ebola: nello Zaire, nel Sudan, nel Gabon e nella Costa d’Avorio. La mortalità ha raggiunto l’88% dei casi rilevati. La morte sopraggiunge dopo circa 72 ore dall’insorgenza dei primi sintomi. Attualmente non si conosce una cura all’infezione di Ebola, né un vaccino. L’Ebola è stata elencata dalla Nato tra i 31 agenti potenzialmente utilizzabili nelle azioni di bioterrorismo.  Nel 1976 a Filadelfia, tra i partecipanti ad un convegno della legione americana, si manifesta un’epidemia che per questo viene denominata la malattia del legionario. Si tratta di una forma di polmonite che successivamente viene chiamata «legionella » e che si sviluppa nell’acqua, distribuendosi con gli impianti di condizionamento. Continua tutt’ora ad essere una malattia pericolosa e silente, ed interessa particolarmente hotels ed ospedali. Il 26 ottobre 1977 l’ultimo caso conosciuto di vaiolo viene registrato in Somalia, quando Carlo sta frequentando l’Università di Ancona ed iniziava a formarsi come medico. Nel 1981 vengono descritti i primi casi di Aids. La «peste del secolo» è iniziata. In questi anni Carlo si laurea in medicina e chirurgia all’Università di Ancona. Ancora diarrea, parassitosi e broncopolmoniti nei bambini, tubercolosi e malaria negli adulti sono le malattie che più uccidono nel mondo.  L’«encefalopatia spongiforme bovina» (ESB), una malattia neurologica degenerativa che colpisce i bovini in maniera costantemente fatale, fa la sua comparsa come nuova malattia nel Regno Unito nel 1985. Viene descritta ufficialmente nel novembre 1986, ma ancora non si immagina il coinvolgimento umano. Carlo si specializza in malattie infettive presso l’Università di Messina. Il 31 maggio 1988, come ogni altro giorno, 1.000 bambini sono paralizzati dalla polio. La maggior parte di loro vive nei paesi più poveri. Nello stesso giorno, a Ginevra i leaders sanitari del mondo hanno deciso di eradicare la poliomielite per sempre.  È il 1989 quando viene individuato il virus dell’epatite C (Hcv). Contrariamente agli altri virus dell’epatite (A, B, D ed E), questa infezione porta, in un numero straordinariamente alto di casi, alla malattia epatica cronica. Si perfezionano i controlli sul sangue e si scopre che, negli anni anteriori, migliaia di persone sono state infettate da questo virus, trasmesso con le trasfusioni e con la dialisi.  Carlo lavora come medico presso l’Ospedale di Macerata. Nel 1991 la pandemia di colera per la prima volta arriva in America Latina, contagiando migliaia di persone in Perù.  Nel 1994 le Americhe sono certificate libere da polio.  La nuova variante della malattia di Creutzfeld-Jakob ha fatto la sua comparsa nel Regno Unito nel 1995. Il ministro della sanità inglese successivamente (marzo 1996) ammette che 14 persone sono decedute in seguito a questa nuova forma della malattia e che probabilmente si sono ammalate per aver assunto tessuti bovini infetti da Esb. Le dichiarazioni del ministro della sanità inglese Stephen Dorrell nel marzo 1996 e la pubblicazione dei risultati di queste ricerche nel 1997 scatenano una crisi economico-sociale con notevoli conseguenze sulla zootecnia europea; la crisi è dovuta ad una marcata perdita di fiducia da parte dei consumatori nei confronti del prodotto carne. Carlo entra in «Medici senza frontiere » (Msf) e parte per la Cambogia con la famiglia. Lavora in un progetto per la lotta alla «schistosomiasi», una malattia parassitaria intestinale.  Hong Kong, 1997: l’influenza aviaria provoca la morte di 6 persone. L’anno seguente l’Organizzazione mondiale della sanità la inserisce tra le malattie determinate da nuovi microrganismi capaci di provocare infezioni nell’uomo e invita ad aumentare la sorveglianza. Il 26 novembre 1998 viene segnalato l’ultimo caso di poliomielite nella regione europea. Si tratta di un bambino di nome Melik Milas di 33 mesi, che viveva in un piccolo villaggio della provincia di Agri, in Turchia al confine con l’Iran. Non aveva ricevuto nessuna vaccinazione contro la polio ed è stato colpito da un poliovirus di tipo 1.  Nel 1999 Carlo Urbani viene eletto presidente di «Medici senza frontiere» – Italia (e trova anche il tempo d’inventare questa rubrica per Missioni Consolata).  Nel gennaio 2000, dopo poco più di 10 anni dal lancio dell’iniziativa di eradicazione, sono soltanto 30 i bambini che ogni giorno nel mondo sono paralizzati dalla polio. Ma ancora 30 tutti i giorni.  Tre interi continenti sono già liberi da polio e sempre nel 2000, la regione del Pacifico orientale, che comprende la Cina, viene certificata come libera dalla poliomielite. Nell’anno 2000, 3,8 milioni di persone si sono infettate con l’Hiv nell’Africa a sud del Sahara e 2,4 milioni di persone sono morte per Aids. Nello stesso anno 30.000 persone si sono infettate in Europa occidentale e 45.000 nell’America del Nord. Dall’inizio della pandemia di Aids sarebbero morte 21.800.000 persone.  È il 2000 ed ancora diarrea, parassitosi e broncopolmoniti nei bambini, tubercolosi e malaria negli adulti sono le malattie che più uccidono nel mondo.  Carlo inizia la sua collaborazione con l’«Organizzazione mondiale della sanità» (Oms) e con la famiglia parte per Hanoi, in Vietnam. Da 10 anni se ne parla, ma il primo caso italiano di «mucca pazza» scoppia a gennaio 2001. Crollano i consumi di carne, psicosi tra i banconi dei supermercati e delle macellerie, caccia a prodotti alternativi. Partono i controlli che portano a trovare decine di mucche italiane infette. Le autorità prima minimizzano, poi, sull’onda emotiva di un’opinione pubblica sempre più preoccupata, prendono i primi drastici provvedimenti.

29 marzo 2003: Carlo Urbani, medico italiano dell’Organizzazione mondiale della sanità, muore in un ospedale di Bangkok a causa della Sars («Sindrome respiratoria acuta grave»). La notizia si diffonde e provoca grande emozione. «Il dottor Urbani ha lavorato in programmi di salute pubblica in Cambogia, Laos e Vietnam. La sua sede di lavoro era ad Hanoi. Aveva 46 anni. Carlo Urbani era stato il primo medico dell’Oms ad identificare la nuova malattia in un uomo d’affari americano ricoverato all’ospedale di Hanoi. La sua segnalazione precoce della Sars ha messo in allarme il sistema di sorveglianza globale ed è stato possibile identificare molti nuovi casi e isolarli prima che il personale sanitario ospedaliero venisse contagiato. Ad Hanoi, il focolaio di Sars sembra sulla via di essere messo sotto controllo». «Carlo era una persona meravigliosa e siamo tutti costernati – ha detto Pascale Brudon, il portavoce dell’Oms in Vietnam -. Era soprattutto un medico, il suo primo obiettivo era quello di aiutare le persone. Carlo è stato il primo ad accorgersi che c’era qualcosa di molto strano. Mentre in ospedale le persone diventavano sempre più preoccupate, lui era là ogni giorno, raccogliendo campioni, parlando con il personale dello staff e rafforzando le procedure di controllo dell’infezione». È il 2003. È appena terminata la guerra «preventiva» contro l’Iraq ed ancora diarrea, parassitosi e broncopolmoniti nei bambini, tubercolosi e malaria negli adulti sono le malattie che più uccidono nel mondo.  La storia la facciamo noi uomini con le nostre guerre, i nostri interessi economici, ma anche con i nostri ideali, le nostre scoperte, la nostra cultura e la nostra capacità di comunicare. Ma non solo.  La peste, la sifilide e la tubercolosi hanno segnato alcuni secoli della nostra umanità e perfino della nostra cultura.  Diarrea, parassitosi e broncopolmoniti nei bambini, tubercolosi e malaria negli adulti continuano a minare l’esistenza di milioni di individui nell’indifferenza generale. Della Sars si sa ancora poco, ma è un altro segnale di pericolo per il nostro mondo, così come poco prima lo è stato la variante umana della malattia di Creutzfeld-Jakob, Ebola o l’influenza aviaria.  L’Aids ha definitivamente cambiato i costumi sessuali della nostra società e sta tuttora cambiando la nostra umanità, incidendo profondamente in tante culture ed economie del mondo, in particolare dell’Africa. Le malattie infettive e parassitarie, causa e conseguenza di tanti passaggi della nostra storia, continuano ad essere protagoniste dell’umanità e delle sue scelte economiche, politiche e sociali.

Guido Sattin