Se ti piace il filetto di pesce persico

Cari missionari, sono contenta che, nel bellissimo numero dedicato interamente al Kenya (Missioni Consolata, ottobre/novembre 2002), abbiate parlato anche dei problemi ambientali che affliggono il paese.
Bene ha fatto Paolo Moiola a elencare i parchi nazionali e a ricordare le cifre che documentano il declino di elefanti e rinoceronti. Questi animali, simbolo del Kenya, grazie anche alla loro maestosa dimensione e alla facilità con cui è possibile fotografarli, hanno attirato le attenzioni dei conservazionisti. Stimolante è pure l’immagine dei fenicotteri del Lago Nakuru.
Il Kenya, oltre che di grandi savane, è anche un paese con grandi laghi, e purtroppo le tragedie che si consumano SOTTO la superficie non sono da meno di quelle che si consumano SOPRA
.
Malgrado l’abnegazione di tanti rangers nei parchi, malgrado le campagne del WWF e i fondi raccolti, su elefanti, rinoceronti e giraffe incombe la minaccia dell’estinzione. E nei laghi un numero incredibile di specie (pesci, crostacei, molluschi) è già scomparso. La scomparsa ha avuto conseguenze catastrofiche sulla vita di tantissimi kenyani.
La catastrofe ha assunto i connotati più vergognosi nel Lago Vittoria, che i colonizzatori anglosassoni hanno piegato alla spietata logica imperialista, infischiandosene delle necessità dei pescatori kenyani, ugandesi e tanzaniani. Infatti anche Tanzania e Uganda sono bagnate da questo lago.
Consideriamo, ad esempio, i danni causati dall’introduzione del PESCE PERSICO del Nilo, decisa nel 1854 dall’amministrazione coloniale britannica, nonostante il parere sfavorevole degli esperti di allora. Il persico del Nilo (un predatore che raggiunge 2 metri di lunghezza e 200 chili di peso) ha conosciuto una espansione enorme, che ha favorito lo sviluppo di una fiorente industria ittica; ma, nello stesso tempo, ha provocato il crollo dei ciclidi (pesci di piccola taglia che, da sempre, costituivano la base alimentare degli indigeni).
Se è vero ciò che ha scritto la biologa Janet N. Abramovitz, nel 1996 il Lago Vittoria aveva perso già 200 tra specie e sottospecie endemiche di ciclidi e le rimanenti 150 erano in grave pericolo. Un altro biologo, Les Kaufman, ricercatore alla Boston University, ha descritto la perdita nel Lago Vittoria come «la prima estinzione di massa di vertebrati che gli scienziati hanno avuto l’opportunità di studiare».
Privata della possibilità di mangiare sia i pesci piccoli (perché spariti) sia i pesci grossi (non catturabili con piccole imbarcazioni), la gente del posto è da tempo costretta a ripiegare su altre soluzioni: ad esempio, comprare a prezzi tutt’altro che accessibili gli scarti della lavorazione del pesce persico fatta nelle industrie impiantate dagli inglesi.
Però queste industrie stanno attraversando un momento non felice, perché le popolazioni di pesce persico sono a loro volta in forte calo, e per effetto della diminuzione delle specie predabili, e per effetto dell’inquinamento, e per effetto della pesca eccessiva, condotta da vascelli troppo grandi che lavorano per conto di compagnie troppo ingorde.
Il Lago Vittoria NON è un piccolo lago; con i suoi 62 mila chilometri quadrati di superficie (però negli anni ‘50 erano 68 mila) è il terzo lago del mondo, preceduto solo dal Mar Caspio e dal Lago Superiore. NON è modesto per quanto riguarda il volume (in certi tratti raggiunge i 100 metri di profondità). Se, dunque, su un lago così grande l’impatto della «civiltà» è stato così devastante, che speranze possono esserci per i laghi minori?
Il 2003 è stato proclamato ANNO INTERNAZIONALE DELL’ACQUA. Se vogliamo che lo sia anche per il Kenya, cerchiamo di fare qualcosa per il Lago Vittoria (così lo chiamarono gli inglesi in onore della loro regina, ma le popolazioni locali lo avevano sempre chiamato «Nyanza» che significa «ACQUA»).
Ogni volta che ci viene voglia del filetto di pesce persico, cerchiamo di ricordare i danni incalcolabili procurati dall’introduzione di specie esotiche in habitat non in grado di sostenerle. E, soprattutto, cerchiamo di non lasciar sole persone come la professoressa Wangari Mathai, cofondatrice del Green Belt Movement (cfr. Missioni Consolata, ottobre/novembre 2002).
I guai di questa coraggiosa kikuyu con il corrotto regime di Nairobi iniziarono proprio sulle rive del Lago Vittoria: dopo appena un anno di attività, il Green Belt Movement era riuscito a mettere a dimora una quantità di alberi superiore a quella che il governo era riuscito a piantare nei 10 anni precedenti. Però il discorso non è solo quantitativo, ma anche qualitativo: troppe volte la riforestazione è intesa come AGROFORESTRY, come BUSINESS e come introduzione di specie esotiche, dotate di apparati giganteschi, che prelevano acqua a dismisura e creano i presupposti per altro degrado ecologico.
Se il Kenya vuole davvero uscire dalla crisi che lo attanaglia, dovrà restituire alle foreste naturali lo spazio loro sottratto dalle piantagioni di tabacco, cotone, caffè, canna da zucchero, ananas, e fare in modo che anche attorno ai laghi, come il Vittoria, sia ricreata la lussureggiante vegetazione presente fino ad alcuni decenni fa.
Speriamo che almeno i cattolici del Kenya prendano a cuore questi problemi, così come è sembrato di capire dall’intervista di Paolo Moiola ai quattro vescovi e, in particolare, dalle parole pronunciate da monsignor Virgilio Pante.
Aiutiamo il Vittoria a… vincere, ad essere un lago di vita e non di morte.

Ave Baldassarretti




In bassorilievo

Spettabile redazione,
nel numero di aprile 2003 vi è un bell’articolo su san Bonifacio Vinfrido. Vi è raffigurato un bassorilievo rappresentante Pipino il Breve, re dei Franchi, che mi ha interessato.
Vengo a chiedere una cortesia, se possibile. Si conosce l’epoca o il secolo del bassorilievo di Pipino? Ringraziando, aggiungo i miei complimenti per la rivista.

Felicitazioni per i suoi interessi. Il bassorilievo è del 10° secolo.

Osvaldo Sestili




Ex profugo somalo

Egregio direttore,
spero ardentemente che la pateità sua reverenda pubblichi la presente e la recapiti alla reverenda suor Giannasilvia Quaranta, missionaria della Consolata. La suora è stata superiora nella mia parrocchia S. Cuore di Gesù a Mogadiscio, Somalia.
Ella riuscì a creare un ambiente familiare nella comunità locale. Durante i mesi mariani, tutti noi indistintamente ci riunivamo nella navata della chiesa per recitare il S. Rosario ogni giorno. Inoltre, durante la S. Quaresima, ogni venerdì andavamo alla via crucis.
È da menzionare, altresì, la madre superiora che insegnava ai neocomunicandi e cresimandi, ma anche a noi adulti, che frequentavamo l’insegnamento molto interessante.
Personalmente, sono legato alla reverenda suor Giannasilvia da filiale rapporto. Ogni volta che avevo problemi personali e familiari, il suo grande cuore era aperto per me e potevo rifugiarmi. Inoltre Lei è stata la maestra della mia cara figlia Mona Lisa.
Poi, sebbene vivessimo separati da immensa distanza, io e la mia reverenda madre spirituale eravamo vicini col cuore, nelle preci. Quando una delegazione della mia diocesi andò a Roma per la beatificazione di Giuseppe Allamano, un amico fraterno era membro della nostra delegazione, Fulgenzio Benedetto Osman, che venne anche al mio studio tecnico professionale. Io rimasi male della sua improvvisa partenza.
Ad ogni modo lo pregai di salutarmi la molto reverenda Giannasilvia, se l’avesse incontrata durante la sua visita in Italia. La incontrò, e lei mi mandò una cartolina che conservavo in mezzo al mio breviario: ogni giorno, quando recitavo le ore liturgiche, ricordavo questa straordinaria suora. Purtroppo, durante la mia permanenza in Kenya come profugo, un incendio distrusse completamente il campo-rifugiati. Ma, nelle mie preci, ricordo sempre la reverenda suor Giannasilvia Quaranta.
Grazie in anticipo, pateità sua reverenda. Nel Signore.


Hugo ci rimanda anche alla triste vicenda di tanti profughi somali. Ora egli vive in Canada. La sua lettera è bella non solo per l’affetto che lo lega a suor Giannasilvia, ma anche per lo stile un po’ aulico.

Hugo G. Yassin




“Guerra giusta”?

Egregio direttore,
è proprio vero, come dice un proverbio, che non si finisce mai di imparare. E Missioni Consolata, maggio 2003 (Iraq: l’immoralità della guerra «giusta»), mi erudisce affermando che S. Agostino è immorale. Sì, S. Agostino che, dopo il sacco di Roma nel 410 dei Visigoti, nel «De Civitate Dei» formulò la teoria della «guerra giusta». Aggiungo: Beardo di Chiaravalle fu teorico delle Crociate, in quanto «guerre giuste», e vi partecipò come combattente; Gregorio XIII «benedì» nel 1572 il massacro degli Ugonotti; Giovanni Paolo II proclamò Beato (il 27-4-2003) padre Marco d’Aviano (Carlo Domenico Cristofari), che galvanizzò le truppe cristiane contro i turchi e per carità di… Mi fermo. Già scrissi che la Bibbia è… piena di guerre.
È vero: ci furono anche papi che dissero no alle guerre. Ma allora la guerra non è un dogma né materia di fede, bensì… politica.
La prima guerra la fece Caino e sappiamo che fine fece Abele. Per non fare quella fine, quando ero ragazzo, ci fu una guerra di 6 anni, che ha dato a noi occidentali quasi 60 anni di pace (però anche allora c’era chi diceva no alla guerra: dovevamo tenerci Hitler?).
Le guerre si fanno per molti motivi, anche per il petrolio. Vorrei vedere i pacifisti, se qualche paese, in cui governano i Saddam, ci chiudesse i rubinetti del petrolio e del gas, cosa farebbero. Ma, principalmente, le guerre si fanno perché ci sono troppi paesi, non democratici, con a capo troppi Caino.

L’articolo a cui si riferisce il signor Banti è titolato «Il grande imbroglio» e lo strillo è «una guerra assurda, crudele, illegale». Non compare la frase «S. Agostino è immorale»…
Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica (pp. 566-567), il ricorso alle armi è sottomesso alle seguenti e rigorose condizioni:
– che il danno causato dall’aggressore sia durevole, grave, certo;
– che tutti i mezzi per porre fine al conflitto siano stati inefficaci;
– che ci siano fondate ragioni di successo;
– che il ricorso alle armi non provochi mali peggiori di quello che si vuole eliminare.
Quando queste quattro condizioni si verificano contemporaneamente (ed è un elemento molto significativo), si può ricorrere alla «guerra giusta».
Il catechismo citato risale al 1992. Ad 11 anni di distanza, un nuovo testo potrebbe anche rivedere la «guerra giusta», specialmente alla luce degli interventi di Giovanni Paolo II.

Rinaldo Banti




“Tracotante e “minaccioso”

Egregio direttore,
sono un lettore (non abbonato) di Missioni Consolata. Più volte mi sono trovato in disaccordo con certe scelte editoriali piuttosto indigeste: ad esempio, il dossier sul G8 di Genova di due anni orsono; oppure alcuni articoli un po’ troppo turistici, pubblicati ultimamente.
Per il resto la rivista è molto interessante, grazie ai temi sociali ben argomentati ed all’approfondito esame del mondo missionario, al quale dedicherei più spazio. Inoltre (appuntamento imperdibile) le lettere nella rubrica «Cari missionari».
Ma, leggendo Missioni Consolata di maggio, mi sono arrabbiato a causa dello scritto tracotante e minaccioso di Luigi Fressoia, il cui «credo» così si condensa: io ho 2.000 euro in tasca ogni mese e… chi se ne fotte di quanto mi sta intorno! (Direttore, mi scuso con lei e con i lettori, ma la prego di pubblicare l’espressione, perché è l’unica che renda correttamente il senso).
Il Fressoia evidentemente non legge la rivista. Non legge gli articoli sull’ambiente soprattutto: gli scritti di Silvia Battaglia non sono politici o propagandistici. Troppo facile dare del comunista a Giulietto Chiesa senza approfondie i contenuti. Tutti siamo anticomunisti.
Fressoia, invece, si riempie la bocca di slogan ed insulti, senza spiegare perché a lui questo mondo piaccia così tanto, con i suoi morti di fame e le sue ingiustizie. Già, dimenticavo! Lui ha in tasca 2.000 euro al mese…
Non polemizzo ulteriormente. Questo mio sfogo nasce dalla sensazione di sentirmi profondamente e personalmente offeso dalle parole del vostro abbonato. Insultando voi, mi sento insultato anch’io.
Esprimo piena solidarietà a lei, ai redattori, ai collaboratori e ai missionari che lavorano per la rivista.

Il dissenso da Missioni Consolata è legittimo, anzi doveroso. La nostra charta magna ci ammonisce: «Guai a voi, quando tutti vi loderanno!» (Lc 6, 26). Tuttavia il signor Martonello ha ragione: il dissenso deve essere motivato con fatti. Un’altra considerazione: Missioni Consolata conta 72-76 pagine e va giudicata in base ad esse, nel loro insieme.

Roberto Martonello




Una delle voci più indipendenti

Spettabile redazione,
spero tanto di poter leggere ancora qualche articolo di Giulietto Chiesa tra le pagine di Missioni Consolata.

Giuliano




L’onestà non è di parte

Cari missionari,
a volte chi afferma la ricchezza dell’incontro con l’altro si sente solo. Però è importante trovarsi a fianco di religiosi che, ogni giorno, impegnano vita e fatica per vivere coi più deboli e affermare che anche l’informazione è importante, tanto che non si può lasciarla in mano a chi vuole solo servire i propri interessi. Grazie
Avete il coraggio di dare spazio ai pensieri mai banali, sempre disinteressati, di una persona onesta, che aiuta ad aprire gli occhi su tanti inganni del sistema mediatico: Giulietto Chiesa.
È di sinistra? E con ciò? Ognuno ha simpatia per una parte piuttosto che per l’altra, ma l’onestà non è di parte. I nostri occhi ed orecchi, se si arrischiano ad approfondire, possono riconoscere l’onestà di un viso e una voce anche al di là del pregiudizio per un’appartenenza.
Grazie. Voi missionari vi giocate la vita per un sogno e lo trasformate in vita. Fatecelo sapere… Ci sono in giro tanti occhi e tanti orecchi stanchi di superficie, assetati di verità e profondità.

Saremo sempre all’altezza del compito cui la lettrice ci chiama?

Daniela




Mercanti di salvezza

In questo numero iniziamo una nuova rubrica: «al supermercato delle religioni, viaggio-inchiesta tra i “nuovi” culti». Si tratta di un fenomeno allarmante anche per la società civile: governi di vari paesi europei (Francia, Belgio, Italia…) hanno censito il numero delle cosiddette «nuove religioni» e stilato rapporti sulla loro attività, da quando alcune di esse sono venute alla ribalta con gesti di suicidi collettivi o gravi violazioni delle leggi
Esse costituiscono una sfida per le chiese cristiane, per quella cattolica in particolare: non è un mistero il fatto che molti movimenti religiosi, fortemente ultraconservatori e integralisti, sono sovvenzionati dal governo americano, per contrastare l’attività che la chiesa svolge in difesa della giustizia e dei diritti umani nei paesi in via di sviluppo.

Nel mondo, secondo lo specialista americano Gordon Melton, tali gruppi sono circa 20 mila; la loro espansione interessa principalmente l’America Latina e l’Est. Ma anche in Italia, oggi, alcuni parlano di «invasione delle sètte»; altri di «invasioni di sigle». Il numero di adepti, infatti, rimane relativamente stabile e ridotto; ogni giorno nascono nuovi gruppi; ma altrettanti scompaiono.

Psicologi e sociologi spiegano che tale fenomeno emerge soprattutto nei periodi di crisi e transizione, come quella che stiamo vivendo. Da una parte, secolarizzazione della società, avvento dell’individualismo, massificazione e globalizzazione, fallimento delle ideologie… provocano il bisogno di sicurezza e salvezza, ricerca di significato per la propria esistenza, anelito a una società differente da quella attuale.
Dall’altra, nonostante il grido di Nietzsche: «Dio è morto», l’uomo è per natura religioso e la religione è una dimensione necessaria nella vita. Da qui il pullulare di movimenti, gruppi, logge, magia bianca e nera, religioni occulte ed esoteriche, riti diabolici: un mercato di salvezza per tutti i gusti, dove fioriscono commistioni, sincretismi, innovazioni, insieme al pullulare di truffatori di ogni genere, che lucrano sulla religiosità.

Non vogliamo fare di ogni erba un fascio, tanto meno scatenare una caccia alle streghe. Ma è chiaro che gli aneliti religiosi si intrecciano con interessi economici. Nostro scopo è fare chiarezza sulla natura e i comportamenti di certi gruppi religiosi e aiutare a non cadere nelle loro trappole, dalle quali, una volta scattate, non è facile liberarsi. Alcune «sètte» o «sigle», adoperano tecniche subdole e raffinate, desunte dalle modee scienze umane, che sfociano in autentici lavaggi del cervello, fino a far perdere la propria identità.

Non esiste un vaccino, ma ci sono medicine preventive. La prima è l’informazione: anche in questo caso vale il detto «se le conosci, le eviti»; un’informazione che, nel rispetto della libertà di coscienza e delle scelte personali, stimoli uno spirito critico più autentico e costruttivo.
In questo caso entra in gioco un secondo antidoto: approfondire la conoscenza della propria fede. La maggioranza di coloro che passano dalla chiesa cattolica a una «nuova» o altra religione, non ha mai gustato la bellezza di Cristo e del suo vangelo.

Anche il cristianesimo, quando cominciò ad affermarsi, fu considerato da ebrei e pagani alla stregua di una «sètta». I romani lo definirono «superstizione nuova e malefica», finché gli scrittori cristiani dimostrarono il contrario con vigore ed efficacia: i valori del vangelo fanno parte dell’anima umana, rispondono alle sue più profonde aspirazioni e si trovano, come «semi del Verbo», in tutte le tendenze culturali e religiose dell’umanità. Semi che hanno bisogno di diventare fiori e frutti di autentica felicità.
Da qui un terzo antidoto: tradurre la fede in testimonianza di vita e impegno missionario: anche in questo caso vale l’ammonimento di Giovanni Paolo II: «La fede la si accresce donandola».
Benedetto Bellesi

Benedetto Bellesi




CARE, FRESCHE, DOLCI ACQUE. MA FINO A QUANDO? (Prima parte)

La disponibilità di acqua dolce è in costante diminuzione a causa dello sfruttamento eccessivo e dell’inquinamento. Miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile, altrettanti non ne hanno a sufficienza. Invece di assicurare
a tutti questo diritto, l’«Organizzazione mondiale del commercio» sta tentando di trasformare l’acqua in una merce, soggetta alle regole del mercato.
Ma anche noi, singoli cittadini, dobbiamo mutare i nostri (cattivi) comportamenti quotidiani. Basterebbe che…

«Liquido incolore, insapore
e inodore, la cui
molecola è formata da
due atomi di idrogeno e uno di ossigeno
(H2O), presente sulla terra
in tutti e tre gli stati di aggregazione
della materia: solido, liquido
e gassoso».
Nonostante una definizione così
poco entusiasmante, tutti sappiamo
come l’acqua rappresenti
l’elemento essenziale per la vita,
non solo da un punto di vista chimico-
fisico e biologico, ma anche
sanitario, sociale, economico,
nonché aggregativo, estetico, emozionale.
Il corpo umano ne è costituito
per circa i 2/3 del peso corporeo e
gli effetti della mancanza d’acqua
provocano disidratazione e, in casi
estremi, la morte. Al contrario,
la presenza dell’acqua porta benessere
fisico, contentezza, vivacità
e piacere. La si può trovare
sotto le spoglie di nuvole, pioggia,
neve, ghiacciai, fiumi, torrenti, laghi,
mari ed oceani. Essa ci accompagna
anche nel dolore personale:
le lacrime sono costituite
quasi totalmente da acqua. La
presenza e l’abbondanza di acqua
è fonte di benessere e migliore
qualità della vita per ogni persona,
ma anche per gli individui come
popoli, mentre la sua scarsezza
o assenza comporta sofferenze,
malattie e impossibilità di una vita
migliore.
In qualsiasi momento della giornata,
per qualsiasi esigenza più o
meno necessaria, aprendo il rubinetto dei nostri bagni, della cucina,
del giardino o del garage, possiamo
usufruire di tutta l’acqua che desideriamo:
pochi, semplici e ripetitivi
gesti quotidiani ci impediscono
di porci alcune domande fondamentali.
Da dove proviene quest’acqua?
Da vicino o da lontano? Che cosa
ha comportato portare l’acqua fin
qui? Usae troppa significa provocare
qualche tipo di conseguenza
a qualcuno o qualcosa? Non ci
poniamo queste domande perché,
come per le altre risorse naturali, il
luogo comune è che l’acqua sia rinnovabile
e quindi illimitata.
A scuola abbiamo studiato il «ciclo
dell’acqua», espressione che definisce
i movimenti dell’acqua nell’ambiente:
negli organismi viventi,
in atmosfera, sulla terra. L’acqua si
sposta direttamente da laghi, torrenti,
fiumi, stagni verso l’atmosfera,
tramite l’evaporazione, tramite
la traspirazione delle piante e la respirazione
degli animali, per poi
tornare sulla terra sottoforma di
pioggia, neve, grandine…, ritorno
che viene salutato con imprecazioni,
indifferenza o gioia a seconda
del luogo, della quantità e del modo
in cui cade.
Questo ciclo chiuso e ripetitivo si
verifica da centinaia di milioni di
anni: da circa 4 miliardi di anni, la
quantità totale di acqua sul pianeta
nelle sue diverse forme, in effetti, è
rimasta invariata. È la sua disponibilità
per gli organismi e per l’uomo
in particolare che è mutata.

SEMPRE PIÙ SCARSA
L’acqua è sempre stata al centro
del benessere materiale e culturale
delle società di tutto il mondo. Oggi
questa risorsa è in pericolo: nonostante
il pianeta sia costituito da
2/3 di acqua, siamo di fronte ad
un’acuta scarsità idrica.
Benché la superficie terrestre sia
coperta per il 71% di acqua, questa
è costituita per il 97% circa da acqua
salata. L’acqua dolce (il restante
3% circa) è in gran parte intrappolata
nei ghiacci e nelle calotte polari;
il 29% di acqua dolce si trova
sottoforma di acque sotterranee, e
solo uno 0,3% si trova in fiumi e laghi.
Di conseguenza, solo lo 0,8%
circa di acqua presente sul pianeta
è disponibile per i nostri usi, ed in
gran parte si trova nel sottosuolo.
Secondo le stime dell’Organizzazione
mondiale della sanità, nell’anno
2000 un miliardo e 100 milioni
di persone non disponevano di
sufficiente acqua potabile. Se un
quinto dell’umanità non dispone di
acqua potabile, due quinti vivono in
condizioni igieniche precarie a causa
della sua scarsità. Si prevede che
nel 2025 il numero di persone che
vivranno in situazioni a rischio raggiungerà
i 3 miliardi e 400 milioni,
mentre 2 miliardi e 400 milioni soffriranno
la terribile condizione della
mancanza d’acqua.
In quest’articolo e nel prossimo
cercheremo di capire come e perché
le riserve d’acqua potabile siano
in drastica diminuzione e allo
stesso tempo ci chiederemo dove e
per chi c’è, o ci sarà, la più drammatica
scarsità di questo bene indispensabile.

DAL FIUME GIALLO
AL LAGO D’ARAL

Gli ambienti d’acqua dolce (fiumi,
laghi, zone umide…) coprono
meno dell’1% della superficie terrestre,
ma offrono un’enorme quantità
di servizi all’uomo: ambiente
per la crescita di pesci e fauna acquatica,
mitigazione delle inondazioni,
assimilazione e diluizione di
scarti e rifiuti, ricarica delle falde
sotterranee, nonché foitura dell’acqua
per i nostri usi quotidiani.
Dal 1950 al 1995, la quantità d’acqua
dolce disponibile pro capite è
però diminuita da 17.000 metri cubi
a 7.500 metri cubi (Unesco Sources,
1996). Sfruttamento eccessivo
delle risorse idriche ed inquinamento
delle acque sono le due cause
principali di tale situazione.
Il Fiume Giallo in Cina si è prosciugato
prima di raggiungere l’oceano;
il lago Ciad, in Africa, nell’arco
di 30 anni si è ristretto da 10
mila kmq ad appena 800; in un periodo
analogo il lago d’Aral ha perso
il 40% della sua superficie ed il
60% del suo volume di acqua potabile.
Quando l’acqua superficiale
non è più sufficiente, si utilizzano le
acque sotterranee, alle quali ricorre
per bere più di un quarto della popolazione
mondiale. Tuttavia, anche
le falde acquifere si stanno esaurendo
a causa dell’eccessivo prelievo
rispetto al naturale tempo di
rigenerazione.
Il prelievo totale di acqua ammonta
a 3.800 Km3, dei quali tuttavia solo 2.300 vengono realmente
consumati, mentre il rimanente viene
letteralmente «perso per strada».
Ben l’80% dei consumi totali di acqua
è opera dei consumatori agricoli;
durante l’irrigazione, però, circa il
60% filtra dai canali di distribuzione
e viene perso per evaporazione,
aumentando la salinità dei terreni e
comportando la riduzione del raccolto.
Tra i consumatori industriali,
i principali sono le industrie farmaceutiche,
chimiche e metallurgiche,
le centrali termiche ed atomiche, le
cartiere.
Tra i consumatori domestici solo
una piccola percentuale di acqua
viene impiegata per bere e cucinare:
la maggior parte è utilizzata per
lavarsi, per lo sciacquone del W.C.(!), per lavare la casa, annaffiare
giardini e orti, pulire strade e città.
Negli ultimi 40 anni, infine, sono
state costruite enormi dighe per la
raccolta di acqua, che a causa della
loro vasta superficie perdono il
7,5% del consumo totale di acqua
per evaporazione, causando anche
cambiamenti importanti del clima a
livello locale, oltre allo spostamento
forzoso di migliaia e migliaia di
uomini.

L’INQUINAMENTO
Dove l’acqua è sufficiente, spesso
è di qualità inadeguata, contaminata
da agenti inquinanti o dal sale. A
livello mondiale, appena il 10% dei
rifiuti (scarichi industriali, residui di
produzioni agricole, rifiuti umani)
viene trattato prima di essere scaricato
nei fiumi; gli stessi fiumi dai
quali si preleva l’acqua a fini potabili,
per l’irrigazione e per l’industria.
Anche le acque sotterranee sono
a rischio di contaminazione da
parte di nitrati, pesticidi, residui radioattivi,
composti clorurati, residui
dell’industria petrolchimica e mineraria…
Le fonti di inquinamento sono
essenzialmente quattro:
1) gli scarichi civili
2) gli scarichi industriali
3) i fertilizzanti e pesticidi usati in agricoltura
4) le piogge acide (vedi glossario).
Le nazioni con la migliore qualità
delle risorse idriche sono Finlandia,
Canada e Nuova Zelanda. Fanalino
di coda il Belgio, a causa delle pessime
acque sotterranee e dell’inquinamento
industriale. Ma 9 paesi su
10 con peggiore qualità idrica appartengono
al Sud del mondo (Marocco,
India, Giordania e Sudan…).
In Egitto, l’estrazione di acqua
dal Nilo ha distrutto 30 delle 47
specie ittiche, mentre altre 25 sono
rare o a rischio di estinzione; in Colombia
il volume della pesca nel fiume
Magdalena è sceso da 72.000 a
23.000 tonnellate in 15 anni; un fenomeno
analogo si verifica nel
Mekong del Sud-est asiatico.
La risorsa acqua è quindi sempre
meno disponibile quantitativamente
e sempre più inquinata.
(FINE 1.A PARTE – CONTINUA)

GLOSSARIO
ACQUA DOLCE: non molto ricca di sali, è rappresentata dalle acque presenti
nei ghiacci e nelle calotte polari, dalle acque sotterranee, fiumi,
laghi. Il 90% delle riserve mondiali è contenuta nell’Antartide, dove è
presente allo stato solido come ghiaccio.
ACQUA SALATA: contiene, come ad esempio quella marina, svariati tipi
di sali, come il cloruro di sodio (NaCl, il comune sale da cucina), il cloruro
di calcio, ecc..
ACQUA POTABILE: ha tutte le caratteristiche fisiche, organolettiche (odore,
sapore…), chimiche e biologiche per essere usata per l’alimentazione.
I requisiti richiesti ed i limiti sono indicati dall’OMS, l’Organizzazione
Mondiale della Sanità. Può essere piovana, superficiale, di
falda sotterranea. Spesso per rendere l’acqua potabile bisogna ricorrere
a processi di depurazione.
ACQUE SOTTERRANEE: risorse idriche che si trovano al di sotto della superficie
del terreno, costituite da acqua penetrata nel sottosuolo attraverso
le piogge, o filtrata nel terreno lungo fessure naturali per la
vicina presenza di fiumi o laghi.
ACQUE SUPERFICIALI: acque presenti sulla superficie terrestre, circolanti
(es. fiumi) o ferme (es. laghi).
FALDA ACQUIFERA: acqua sotterranea, che scorre o stagna, in strati permeabili
del terreno, fra strati non permeabili.
PIOGGE ACIDE: l’anidride solforosa, inquinante gassoso emesso dai processi
di combustione (industrie e traffico), a contatto con la pioggia si
trasforma in acido solforico, che si scioglie nelle gocce dell’acqua piovana
stessa. I danni delle piogge acide sono particolarmente gravi per
le piante e la fauna, ma i suoi effetti colpiscono anche la salute umana.
Senza dimenticare i danni prodotti a edifici e monumenti che dalle
piogge acide vengono «corrosi».

Piccoli gesti quotidiani
Dal rubinetto al water, dalla lavatrice
al lavaggio dell’automobile, ogni giorno
ciascuno di noi spreca varie decine di litri di acqua.
Per questo la nostra responsabilità è grande.

IGIENE PERSONALE: SÌ, MA CON INTELLIGENZA
• Quando ci laviamo i denti o ci radiamo la barba, teniamo
aperto il rubinetto solo per il tempo necessario.
• Preferiamo la doccia al bagno (per immergerci in
vasca sono necessari 150 litri di acqua, per una
doccia circa un terzo).
• Il frangigetto è un miscelatore di acqua che vi consigliamo
di applicare ai rubinetti di casa: sfruttando
il principio della turbolenza, miscela aria al flusso di
acqua, e crea un getto più leggero, ma efficace. Un
frangigetto richiede «solo» 9 litri al minuto per la
doccia. L’operazione è semplice e costa poco, in più
vi farà risparmiare diverse migliaia di litri di acqua
ogni anno.
LAVARE: BIANCHERIA E STOVIGLIE
• Scegliete il ciclo economico ed evitate i mezzi carichi:
azionando la macchina al massimo carico
si possono risparmiare acqua ed energia.
• Un carico completo di stoviglie lavato a macchina
richiede un minor consumo d’acqua rispetto allo
stesso lavaggio fatto a mano. Per lavare i piatti a
mano conviene raccogliere la giusta quantità d’acqua
nel lavello e lavare con quella. In questo modo
si risparmiano alcune migliaia di litri all’anno.
• Fra i diversi modelli di elettrodomestici in commercio
possono esserci differenze notevoli nel consumo
di acqua: da 16 a 23 litri a lavaggio per le lavastoviglie
e da 50 ad oltre 100 litri a lavaggio per le lavabiancheria.
UN GIARDINO BELLO E SENZA SPRECHI
• Il momento migliore per innaffiare le piante non è
il pomeriggio, quando la terra è ancora calda e fa evaporare
l’acqua, bensì la sera, quando il sole è calato.
• Per terrazzi e giardini scegliete i modei sistemi di
irrigazione a micropioggia programmabili, che possono
funzionare anche durante la notte, quando i
consumi sono più bassi. Esistono anche gli irrigatori
goccia a goccia, che rilasciano l’acqua lentamente
senza dispersioni e con un utilizzo ottimale.
• Per le piccole innaffiature (le piante d’appartamento,
per esempio) potete sfruttare l’acqua che avete
già usato per lavare, ad esempio, frutta e verdura.
UNA MANUTENZIONE CHE NON FA ACQUA
Un rubinetto che gocciola o un water che perde acqua
non vanno trascurati; possono sprecare anche
100 litri d’acqua al giorno. Una corretta manutenzione
o, se necessario, una piccola riparazione contribuiranno
a farvi risparmiare tanta acqua potabile
altrimenti dispersa senza essere utilizzata.
NON SCARICATE LA RESPONSABILITÀ… NEL GABINETTO
Il 20% dei consumi domestici d’acqua finisce nello
scarico del bagno. Ogni volta che lo azioniamo se ne
vanno almeno 10 litri d’acqua. Non utilizziamo il
WC come un cestino della spazzatura: adottiamo
scarichi ”intelligenti”, quelli a pulsante il cui flusso
si può interrompere o, meglio ancora, quelli a manovella.
UN’AUTO SULLA STRADA DEL RISPARMIO
Troppo spesso ci curiamo di una carrozzeria splendente
trascurando il seppur minimo rispetto per
l’acqua potabile. Bisognerebbe ricordarsi di utilizzare
sempre un secchio pieno (vale lo stesso esempio
fatto per lavare i piatti). Si potranno risparmiare così
circa 130 litri di acqua potabile a ogni lavaggio e
si eviteranno sprechi inutili.
CONSUMARE CRITICAMENTE E CON PARSIMONIA
Dato che anche i processi produttivi consumano acqua,
è bene evitare gli sprechi (ad es. di carta), preferire
i materiali riciclati, evitare di mangiare frutta
e verdura non di stagione che necessitano una maggiore
irrigazione. Limitare inoltre il consumo di detersivi,
non gettare solventi e sostanze chimiche nello
scarico…
(rielaborato da: www.altroconsumo.it)

Un’altra politica
è possibile

L’acqua è un bene comune e limitato.
Nessun profitto può essere fatto con esso.

L’obiettivo del «Contratto
mondiale per l’acqua» è garantire
il diritto all’acqua
a tutti gli 8 miliardi di persone
che abiteranno il pianeta nel
2020, a tutte le specie viventi
ed alle generazioni future, garantendo
la «sostenibilità» degli
ecosistemi.
Quali sono i principi fondatori?
1. L’accesso all’acqua nella quantità
(40 litri al giorno per usi domestici)
e qualità sufficiente alla vita deve
essere riconosciuto come un diritto
costituzionale umano e sociale, universale,
indivisibile ed imprescrittibile.
2. L’acqua deve essere trattata come un bene comune
appartenente a tutti gli esseri umani ed a tutte
le specie viventi del pianeta. Gli ecosistemi devono
essere considerati come beni comuni. L’acqua è
un bene disponibile in quantità limitate a livello locale
e globale. Nessun profitto può giustificare un uso
illimitato del bene.
3. Le collettività pubbliche (dal comune
allo stato, dalle Unioni continentali
alla Comunità mondiale)
devono assicurare il finanziamento
degli investimenti
necessari per concretizzare il
diritto all’acqua potabile per
tutti ed un uso «sostenibile» del
bene acqua.
4. I cittadini devono partecipare
su basi rappresentative e dirette alla
definizione ed alla realizzazione
della politica dell’acqua, dal livello locale
al livello mondiale. La democrazia necessita
la promozione di un «pubblico» nuovo, democratico,
partecipato e solidale, e dell’attivazione
di luoghi di partecipazione diretta dei cittadini.
Dichiarazione conclusiva del
1° Forum alternativo mondiale dell’acqua,
Firenze 21-22 marzo 2003

Silvia Battaglia




«CUI PRODEST?» A chi giova il terrorismo?

Ecco la guerra del terzo millennio…
Il terrorismo è la guerra del terzo millennio. Colpisce
quando meno te l’aspetti e ammazza gli inermi, vale a
dire chi non c’entra niente. È la mannaia mascherata
di poteri occulti, studiata ad arte per spaventare le libere
coscienze.
Eppure, a pensarci bene, qualcosa non quadra. Perché
mai questi vigliacchi sono tornati a colpire proprio ora che
la guerra contro Saddam Hussein è finita? La raffica di attentati
a Riad, Casablanca ed Ankara sembra scattata
in ritardo rispetto al presunto orgoglio dell’estremismo
arabo. Come mai, quando le bombe cadevano a grandine
su Baghdad, questi dementi sono rimasti in letargo?
Qualcuno dice che Al Qaeda, il movimento di Osama
bin Laden, è un mostro che ha tali e tante ramificazioni
che potrebbe colpire sempre e ovunque. Dunque – si suggerisce
– è bene tenere sempre alta la guardia, mobilitando
gli eserciti per sconfiggere il famelico nemico. Sarà anche
vero che il miliardario saudita è davvero capace di tutto,
visti i disastri che ha combinato a destra e a manca, da
Nairobi nel 1998 a New York con le Twin Towers nel
2001, fino ai giorni nostri.
Premesso che le armi chimiche del rais Hussein per
ora nessuno sa che fine abbiano fatto (e dire che prima
c’era chi era pronto a giurare di averle viste con i satelliti!),
non è nemmeno stato provato il legame tra il regime
iracheno e Al Qaeda.
Scusate, però, in tutto questo ragionamento manca
una pedina, quella della storia. Per chi non lo sapesse,
lo scenario della campagna attuale contro il
terrorismo era già scritto nel 2000 in un rapporto della
Commissione nazionale sul terrorismo del Congresso
americano (*).
Questo rapporto afferma che, «se gli Stati Uniti vogliono
proteggersi, restare un leader mondiale, devono
sviluppare e perfezionare delle politiche di antiterrorismo
adattate alla rapida evoluzione del mondo». Il rapporto ha
pubblicato la lista dei movimenti considerati come «organizzazioni
terroriste straniere», tra i quali figurano, tra gli
altri, i pazzi di cui sopra.
Ma allora, scusate, a chi giova il terrorismo?
Certamente l’attacco dell’11 settembre 2001 non è servito
un granché ai popoli oppressi del Sud del mondo.
Direi piuttosto che ha fatto bene all’industria bellica
statunitense che ha finanziato (non è un mistero per
nessuno!) l’elezione di George W. Bush alla Casa Bianca.
Anche bin Laden, che nei misteriosi video fatti arrivare
alla televisione in lingua araba Al-Jazeera si proclamava
difensore dei musulmani, tutto sommato sta sempre più
mettendo nei guai l’intero mondo arabo.
Una cosa è certa: questo terrorismo ha già vinto
a modo suo. Se infatti per combatterlo usiamo le armi
all’uranio impoverito o le B52 – quando, per inciso, il kamikaze
di tuo potrebbe essere nascosto dietro l’angolo
del portone di casa nostra – e, soprattutto, le democrazie
rinunciano alle garanzie proclamate dalle loro costituzioni
o dal diritto internazionale, «il serpente – recita un proverbio
africano – ha già posto le sue uova nel nido delle
aquile».

Padre Giulio Albanese è direttore della Misna, l’Agenzia informazione
missionaria, fondata dalla Cimi (Conferenza degli istituti
missionari italiani) e dalla Fesmi (Federazione della stampa
missionaria). Misna ha vinto nel 2002 il «Premio San Vincent di
giornalismo» per il miglior portale internet.
(*) http://www.fas.org/irp/threath/commission.html

GIULIO ALBANESE