Kenya: l’ospedale di Wamba

Egregio direttore,
a nome degli «Amici di
Wamba» mi congratulo
per il numero speciale di
ottobre, in occasione del
centenario dei missionari
della Consolata in Kenya.
In particolare gli «Amici» ringraziano l’autore
del servizio sulla diocesi
di Marsabit, per non aver
dimenticato l’ospedale di
Wamba e l’«insostituibile
figura di medico dalla
sconfinata generosità»
che è Silvio Prandoni.
Colgo l’occasione per
suggerire di dedicare un
«servizio» al Catholic Hospital
di Wamba e ai 36
anni di costante e silenziosa
presenza del dott. Silvio
Prandoni, vero esempio
di missionario laico.
Da 30 anni la nostra associazione
auspica una valorizzazione
del «laicato
missionario» nella chiesa
cattolica: siamo ancora ai
primi timidi passi.
Coraggio, direttore, è
dalle missioni che bisogna
partire per debellare il
«clericalismo, che è la malattia
infantile del cattolicesimo».

Rilanciamo la palla: tra
gli Amici di Wamba c’è
una penna che possa scrivere
tale «servizio»? Saremmo
felici di pubblicarlo
e dare un altro colpo
al clericalismo.

Ferruccio Gandolini




La provvidenza

Egregio direttore,
sono una lettrice di Missioni
Consolata. Apprezzo
molto la rivista, perché
molto istruttiva… Questa
estate, durante alcune notti
insonni, ho scritto un fascicoletto
sulla divina
provvidenza. Pensieri dettati
dal cuore.

Ecco una riflessione
della signora Giulia, dettata
dal cuore.
«Rivolgo un pensiero a
mia madre, perché ha saputo
allevare con amore,
sacrificio e dedizione sette
figli, fidandosi sempre
della divina provvidenza.
In casa non c’era il superfluo.
Mio padre era un
semplice impiegato delle
ferrovie dello stato, ma a
noi non è venuto mai meno
l’indispensabile, il necessario,
il minimo. Mia
madre aveva capito quale
era il “pozzo d’oro” ove attingere.
Quando si trovava
in forte difficoltà pregava,
e la manna dal cielo
scendeva. Riusciva a risolvere
le situazioni impossibili,
riusciva a tenere sempre
alto l’umore di noi figli
(quattro maschi e tre
femmine).
Malgrado i grandi sacrifici
non mancava mai l’allegria,
il buon umore, la
serenità. Il motto era:
“Non preoccuparti. La
provvidenza vede e provvede”.

Giulia Sciarretta




Scandalo «silenzio»

Cari missionari,
scrivo perché (non per la
prima volta) ho visto un
programma su Rai 3
(«C’era una volta»). Parlava
della prostituzione
minorile in Brasile.
Il giornalista (un «vero»
giornalista) intervistava le
bambine che si prostituiscono
per strada a 9, 10,
12 anni, perché «non hanno
da mangiare», per
«aiutare la mamma»; intervistava
i genitori, taluni
ignari e taluni consenzienti
(per necessità); intervistava
anche alcuni turisti
(italiani) del sesso, non
sempre minorile…
Perché questi programmi
vengono dati in tarda
serata? Perché scandalizzano?
Forse, se venissero
dati all’ora di cena, sarebbe
meglio: molti di noi
smetterebbero di mangiare
e inizierebbero a pensare,
a pensare veramente.
Dopo quel programma,
non sono riuscito a dormire,
pensando al volto di
quelle bambine, una in
particolare… Io conosco il
problema abbastanza bene…
ma non ho mai visto
il volto di una bambina
«di vita».
Mi sono detto: non sentirti
in colpa, perché non
fai quelle cose. Eppure mi
sento in colpa, perché faccio
parte di quel tipo di
società che sfrutta la fame
di una bambina per un…
Dopo quello che ho visto,
tutto diventa piccolo,
insignificante, inutile… di
fronte al volto di quella
bambina, i cui occhi, pieni
di rassegnazione, con la
voglia di sognare ma senza
la speranza di un sogno,
mi guardano ancora
mentre vi scrivo.
Fra poco andrò al lavoro.
Ma quale attività, professione,
impiego o perdita
di tempo è più importante
di quella bambina?
Quale sport, quale «ragazza», quali parole sono più
importanti?
Forse è questo che spinge
voi missionari a partire
per andare da chi ha veramente
bisogno; ma penso
anche che parecchi di noi,
cristiani «perbenisti», non
vogliono vedere quei programmi,
perché «si scandalizzano». Questo mi
riempie di tristezza e, soprattutto,
di indignazione.
Certe cose è meglio non
saperle: rimuovono l’appetito
ed anche la voglia
(probabilmente) di comprare
inutili oggetti che la
pubblicità ci propone o di
ascoltare le stupidate dei
quiz televisivi!
Cari missionari, non abbiate paura di scandalizzare.
L’unico vero scandalo
è stare zitti.

A proposito di «veri»
scandali (come il turismo
sessuale, che sfrutta persino
i bambini), Gesù
disse: chi scandalizza anche
uno solo di questi
piccoli, sarebbe meglio
che fosse buttato in mare.
Gli scandali sono inevitabili.
Ma guai a chi li
provoca (cfr. Mt 18, 7).

Alessio Anceschi




Israele/Palestina e la «181» del 1947

Egregio direttore,
commento la risposta alla
mia lettera (Missioni Consolata,
settembre 2002).
1) Dossier di giugno sul
Medio Oriente: apprezzato
da incolpevoli filoarabi
e filopalestinesi, come è la
maggioranza dei media e
dei politici fin dai tempi di
Andreotti (forse per la nostra
dipendenza da petrolio
e gas).
2) Sì alla pietà cristiana
per le vittime delle azioni
militari israeliane (condannando
gli eccessi).
Nessuna pietà per i kamikaze
e terroristi, siano
essi palestinesi, baschi, ceceni,
dell’IRA o di Bali.
Non metterei sullo stesso
piano vittime e carnefici.
3) Di Mary Robinson
non mi interessa la storia
personale, ma quello che
ha detto sugli ebrei.
4) Ho letto un paio di
volte Nigrizia e mi basta:
dovrebbe fondare un partito
politico; la leggerei
più volentieri.
5)1882: inizia la colonizzazione
ebraica della Palestina.
29 novembre 1947:
l’Onu approva la risoluzione
181 (Palestina-Israele-
Gerusalemme zona
internazionale). 14 maggio
1948: Ben Gurion proclama
lo stato d’Israele, ed
è subito guerra, perché gli
stati arabi non accettano
lo stato di Israele (se non
sbaglio, ancora oggi sulle
carte geografiche arabe
non esiste Israele)… Da
qui sono nati tutti i guai
per i palestinesi, che dovrebbero
ringraziare i loro
«fratelli arabi».
Non ho mai letto questo
su Missioni Consolata,
oppure mi è sfuggito.

A tutti può sfuggire
qualcosa… Su Missioni
Consolata, dicembre
1998, si legge: «Chiaro,
nel 1947, era il progetto
dell’Onu di costituire in
Palestina uno stato arabo
e uno ebraico. Ma il progetto
fu respinto dai palestinesi:
un grave errore,
perché impedì la nascita
di uno stato palestinese».
La risoluzione 181 dell’Onu
del 1947 e il dramma
dei palestinesi (derivato
dal rifiuto degli stati
arabi) vengono ricordati
anche da Missioni Consolata,
giugno 2002.
A proposito di vittime e
carnefici, si veda la lettera
di Max, da Brescia, a pagina 9.

Rinaldo Banti




«Aifo» precisa

Gentile direttore,
Missioni Consolata di settembre
2002 cita l’agenzia
Fides, che ricorda gli interventi
in Yunnan (Cina)
per i malati di lebbra.
Precisiamo che tali interventi
sono in parte sostenuti
dalla associazione
Aifo: questa, nell’anno
corrente, ha destinato al
progetto Yunnan, realizzato
con le suore Maria Pia
e Deolinda, 63 mila euro.
Tale somma è da aggiungersi
al budget di 142 mila
euro per interventi che
l’Aifo realizza in collaborazione
col governo della
provincia dello Yunnan.
Ci sembra doverosa la
precisazione, in quanto i
fondi sono tutti relativi a
donazioni private.

«Aifo» sta per «Associazione
Amici di Raoul
Follereau»: organizza anche
la Giornata dei malati
di lebbra (26 gennaio).

Michela Di Gennaro




Padre F. J. Couto e Mugabe

Caro direttore,
nel luglio-agosto scorso la
sua rivista ha pubblicato
«Soliloquio africano» di
FILIPE J. COUTO (FJC), riguardante
lo Zimbabwe.
L’autore ringrazia: è dal
1969 che egli scrive, esprimendo
anche pareri non
sempre condivisi dalla redazione…
Però, nel caso
dell’articolo citato, c’è stata
una piccola confusione
che è bene chiarire.
L’articolo di FJC è preceduto
da un’introduzione
dove si legge: «Non
comprendiamo… perché
certi presunti padri della
patria (in Africa) debbano
continuare impunemente
a commettere delitti
e soprusi contro i propri
cittadini, con la complicità
dei politici occidentali».
FJC non ha scritto questo.
Egli suggerisce di
considerare Mugabe, presidente
dello Zimbabwe,
«padre della patria». Afferma
che Mugabe non intende
fare la fine di Kaunda,
presidente dello Zambia:
cioè «non vuole
affrontare rappresaglie,
processi giudiziari o prigione;
perciò non se ne
andrà senza garanzia d’immunità»; si afferma che è
«saggezza democratica accordargliela». L’articolo
prosegue: «La democrazia
reale è fatta di compromessi,
non solo in Africa».
FJC propone una soluzione
politica offrendo una
«garanzia d’immunità»
a Mugabe. Però non dice
che Mugabe debba «continuare
impunemente a
commettere delitti e soprusi
contro i propri cittadini
», come si legge nell’introduzione
all’articolo.
FJC ritiene che sia la redazione
autrice di tale affermazione.
FJC pone alcune domande:
– Perché non si è detto esplicitamente
(come in
passato) che l’affermazione
era della redazione?
– La redazione ha le prove
che Mugabe sta «impunemente
commettendo delitti
e soprusi contro i propri
cittadini, con la complicità
dei politici occidentali»?
– Può la redazione, a beneficio
di dubbio, tollerare la
seguente opinione di FJC:
cioè che su Mugabe, politico
e presidente dello
Zimbabwe, si dicono troppe
cose negative e che,
quindi, non bisogna credere
subito a tutto ciò che
si dice su di lui?…
Ora parlo in prima persona:
tutti vogliamo contribuire
alla soluzione dei
problemi in Africa. La nostra
rivista missionaria
può fare molto, ma sono
necessarie affermazioni
basate su una «sostanza
reale», e non su ciò che
sentiamo dalla radio e dalla
cronaca politica.

1. Da sempre le introduzioni
(o sommari) agli
articoli di Missioni Consolata
sono opera della
redazione.
2. Che alcuni «padri
della patria» siano stati
personaggi negativi è documentato
dalla storia: si
pensi a Mobutu in Zaire,
Bokassa in Centrafrica,
Barre in Somalia… Però
non ignoriamo i «padri
della patria» onesti (pur
con i loro limiti), come
Nyerere in Tanzania o
Senghor in Senegal.
Nel caso di Mugabe, egli
è stato attaccato anche
da Pius Nkube, arcivescovo
di Bulawayo, oltre
che dai mass media (secondo
The Economist
Global Agenda, 13 marzo
2002, la vittoria del presidente
nelle elezioni del
2002 fu un furto).
Le riflessioni di FJC sono
sempre gradite: essendo
anche discutibili, stimolano
la riflessione e il
pluralismo.

Filipe J. Couto




Il team «Mongolia»

Cari missionari,
complimenti per la scelta
del «team Mongolia»: due
uomini e due donne. Siete
in evoluzione, «crescendo
nella consapevolezza della
volontà di Dio».

Nel frattempo i missionari
sono diventati sette:
quattro donne e tre uomini
(4 Italia, 2 Argentina,
1 Colombia).

Sheila Warren




TOCCA A LULA!!

Dal 1° gennaio il Brasile ha un nuovo presidente:
Luis Inácio da Silva, soprannominato
Lula, vincitore delle elezioni presidenziali
tenute lo scorso ottobre, candidato del
Partido dos trabalhadores (Pt). Il 39° presidente
della Repubblica brasiliana proviene dalla classe
dei poveri e degli emarginati: è la prima volta
nella storia del paese.
Dopo tre tentativi andati a vuoto (nel 1990,
1994 e 1998), Lula sembrava deciso a gettare la
spugna, come confessò in un’intervista rilasciata
alla nostra rivista nel 1999 (cfr. M.C. dicembre
’99). Ci ha riprovato e i brasiliani ne hanno premiato
carisma e caparbietà; soprattutto, hanno
dato credito al programma condensato nel motto
elettorale: «Per un Brasile decente».
Contro la più grande concentrazione al mondo
di latifondi, Lula ha promesso la riforma agraria a
favore di centinaia di migliaia di famiglie «senza
terra»; a oltre 34 milioni di persone che vivono
con meno di un dollaro al giorno ha dichiarato
«zero fame»; ad altri milioni al di sotto della soglia
della povertà ha assicurato una più equa distribuzione
delle ricchezze; di fronte al dilagare della criminalità
organizzata e di quella spicciola ha promesso
di garantire la sicurezza di tutta la popolazione;
di fronte a un’economia alla deriva ha
dichiarato guerra alla corruzione.
Per garantirsi il sostegno delle classi medie e
medio-alte e per non allarmare i «poteri forti»,
Lula ha fatto capriole ideologiche: ha moderato la
sua abituale retorica contro il capitalismo, Stati
Uniti e istituti finanziari inteazionali, ha abbracciato
vari principi dell’economia di mercato,
ha abbandonato l’intenzione di rifiutare il pagamento
del debito estero e di rompere i rapporti col
Fondo monetario. Idee che hanno causato travasi
di bile ai più radicali leaders del suo partito.
«Più che povero, il Brasile è un paese ingiusto»
ha affermato il suo ex rivale F. H. Cardoso. Forse
per questo anche i «poteri forti» gli hanno dato
credito, convinti che prendersi cura dei poveri,
combattere l’analfabetismo, riformare la distribuzione
della terra e delle pensioni, non mettono a
rischio i loro interessi. Anzi.
I l 1° gennaio in tutto il mondo si celebra la
Giornata mondiale della pace: sia di buon auspicio
anche per Lula e il popolo brasiliano.
Nel messaggio per tale occasione, Giovanni
Paolo II ripropone i valori dell’enciclica Pacem in
terris, pubblicata 40 anni fa da Giovanni XXIII e
indirizzata a «tutti gli uomini di buona volontà»,
per costruire un’autentica convivenza umana.
Anche Lula appartiene a questa categoria e tali
valori, come «bene comune, diritti umani fondamentali,
verità, giustizia, carità, libertà», fanno
parte del suo programma di governo.
Fare in modo che, come diceva Giovanni XXIII,
non rimangano «solo un suono di voce», non è facile
neppure in Brasile. Cinque secoli di squilibri e
ingiustizie non si risolvono con un decreto presidenziale.
Lula lo sa.
I pericoli ci sono, dentro e fuori: c’è il conflitto
tra la cruda realtà e le aspettative della gente;
ci sono le resistenze del mondo finanziario e
imprenditoriale. Lo «zio Tom» gli ha fatto tanti
auguri, ma lo aspetta al varco, pronto a stringere i
cordoni finanziari.
Egli sa pure che la sua elezione è un’occasione
storica per il suo paese e tutta l’America Latina, da
oltre 20 anni laboratorio mondiale del liberalismo
più selvaggio. Il Brasile potrebbe diventare il laboratorio
per un mercato dal
volto umano e uno sviluppo
sostenibile.
Sempre che Lula
riesca a mantenere
le promesse.
«Ce la faremo
» ha detto il
neopresidente il
giorno della vittoria.
Glielo auguriamo
di cuore,
per il bene dei brasiliani
e di tutti i latinoamericani!

BENEDETTO BELLESI