Se ti piace il filetto di pesce persico

Cari missionari, sono contenta che, nel bellissimo numero dedicato interamente al Kenya (Missioni Consolata, ottobre/novembre 2002), abbiate parlato anche dei problemi ambientali che affliggono il paese.
Bene ha fatto Paolo Moiola a elencare i parchi nazionali e a ricordare le cifre che documentano il declino di elefanti e rinoceronti. Questi animali, simbolo del Kenya, grazie anche alla loro maestosa dimensione e alla facilità con cui è possibile fotografarli, hanno attirato le attenzioni dei conservazionisti. Stimolante è pure l’immagine dei fenicotteri del Lago Nakuru.
Il Kenya, oltre che di grandi savane, è anche un paese con grandi laghi, e purtroppo le tragedie che si consumano SOTTO la superficie non sono da meno di quelle che si consumano SOPRA
.
Malgrado l’abnegazione di tanti rangers nei parchi, malgrado le campagne del WWF e i fondi raccolti, su elefanti, rinoceronti e giraffe incombe la minaccia dell’estinzione. E nei laghi un numero incredibile di specie (pesci, crostacei, molluschi) è già scomparso. La scomparsa ha avuto conseguenze catastrofiche sulla vita di tantissimi kenyani.
La catastrofe ha assunto i connotati più vergognosi nel Lago Vittoria, che i colonizzatori anglosassoni hanno piegato alla spietata logica imperialista, infischiandosene delle necessità dei pescatori kenyani, ugandesi e tanzaniani. Infatti anche Tanzania e Uganda sono bagnate da questo lago.
Consideriamo, ad esempio, i danni causati dall’introduzione del PESCE PERSICO del Nilo, decisa nel 1854 dall’amministrazione coloniale britannica, nonostante il parere sfavorevole degli esperti di allora. Il persico del Nilo (un predatore che raggiunge 2 metri di lunghezza e 200 chili di peso) ha conosciuto una espansione enorme, che ha favorito lo sviluppo di una fiorente industria ittica; ma, nello stesso tempo, ha provocato il crollo dei ciclidi (pesci di piccola taglia che, da sempre, costituivano la base alimentare degli indigeni).
Se è vero ciò che ha scritto la biologa Janet N. Abramovitz, nel 1996 il Lago Vittoria aveva perso già 200 tra specie e sottospecie endemiche di ciclidi e le rimanenti 150 erano in grave pericolo. Un altro biologo, Les Kaufman, ricercatore alla Boston University, ha descritto la perdita nel Lago Vittoria come «la prima estinzione di massa di vertebrati che gli scienziati hanno avuto l’opportunità di studiare».
Privata della possibilità di mangiare sia i pesci piccoli (perché spariti) sia i pesci grossi (non catturabili con piccole imbarcazioni), la gente del posto è da tempo costretta a ripiegare su altre soluzioni: ad esempio, comprare a prezzi tutt’altro che accessibili gli scarti della lavorazione del pesce persico fatta nelle industrie impiantate dagli inglesi.
Però queste industrie stanno attraversando un momento non felice, perché le popolazioni di pesce persico sono a loro volta in forte calo, e per effetto della diminuzione delle specie predabili, e per effetto dell’inquinamento, e per effetto della pesca eccessiva, condotta da vascelli troppo grandi che lavorano per conto di compagnie troppo ingorde.
Il Lago Vittoria NON è un piccolo lago; con i suoi 62 mila chilometri quadrati di superficie (però negli anni ‘50 erano 68 mila) è il terzo lago del mondo, preceduto solo dal Mar Caspio e dal Lago Superiore. NON è modesto per quanto riguarda il volume (in certi tratti raggiunge i 100 metri di profondità). Se, dunque, su un lago così grande l’impatto della «civiltà» è stato così devastante, che speranze possono esserci per i laghi minori?
Il 2003 è stato proclamato ANNO INTERNAZIONALE DELL’ACQUA. Se vogliamo che lo sia anche per il Kenya, cerchiamo di fare qualcosa per il Lago Vittoria (così lo chiamarono gli inglesi in onore della loro regina, ma le popolazioni locali lo avevano sempre chiamato «Nyanza» che significa «ACQUA»).
Ogni volta che ci viene voglia del filetto di pesce persico, cerchiamo di ricordare i danni incalcolabili procurati dall’introduzione di specie esotiche in habitat non in grado di sostenerle. E, soprattutto, cerchiamo di non lasciar sole persone come la professoressa Wangari Mathai, cofondatrice del Green Belt Movement (cfr. Missioni Consolata, ottobre/novembre 2002).
I guai di questa coraggiosa kikuyu con il corrotto regime di Nairobi iniziarono proprio sulle rive del Lago Vittoria: dopo appena un anno di attività, il Green Belt Movement era riuscito a mettere a dimora una quantità di alberi superiore a quella che il governo era riuscito a piantare nei 10 anni precedenti. Però il discorso non è solo quantitativo, ma anche qualitativo: troppe volte la riforestazione è intesa come AGROFORESTRY, come BUSINESS e come introduzione di specie esotiche, dotate di apparati giganteschi, che prelevano acqua a dismisura e creano i presupposti per altro degrado ecologico.
Se il Kenya vuole davvero uscire dalla crisi che lo attanaglia, dovrà restituire alle foreste naturali lo spazio loro sottratto dalle piantagioni di tabacco, cotone, caffè, canna da zucchero, ananas, e fare in modo che anche attorno ai laghi, come il Vittoria, sia ricreata la lussureggiante vegetazione presente fino ad alcuni decenni fa.
Speriamo che almeno i cattolici del Kenya prendano a cuore questi problemi, così come è sembrato di capire dall’intervista di Paolo Moiola ai quattro vescovi e, in particolare, dalle parole pronunciate da monsignor Virgilio Pante.
Aiutiamo il Vittoria a… vincere, ad essere un lago di vita e non di morte.

Ave Baldassarretti

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