Con quale luce e quali immagini possiamo tradurre il corpo grafico dei Sermões? Luce, questa luce trasformatrice, tropicale, differenziatrice, che è stata essenziale nello stile di Vieira? La pittura è la glorificazione della luce e dello spazio. Esiste una teologia della luce. Prima di tutto c’è la luce.
Julio Bressane, regista brasiliano
«Antônio Vieira, creatore della più grande musica della prosa portoghese, pensa così: dove il dire è fare, l’udire è vedere. Supponiamo che, davanti a una visione stupenda, i nostri sensi escano dalle loro sfere e inaugurino il vedere delle orecchie e l’udire degli occhi!». Lo scrive il regista brasiliano Julio Bressane che, affascinato dalla carismatica figura di padre Antônio Vieira ha raccontato con poesia alcuni episodi significativi della vita di questo missionario e maestro di letteratura, nel film Sermões, presentato in novembre al Torino Film Festival nell’omaggio a questo regista (vedi Missioni Consolata, marzo 2003).
Chi è padre Antônio Vieira? È conosciuto soltanto in Brasile e Portogallo o se ne parla anche in Italia?
Sfogliando la Garzantina della Letteratura apprendiamo che il «missionario e scrittore portoghese» Antônio Vieira, nato a Lisbona nel 1608 e morto a Bahia (Brasile) nel 1697 «visse per lo più in Brasile… Razionalità pratica e idealismo utopico coesistono nella sua opera letteraria, che comprende 200 Sermoni e vari scritti meditativi e profetici (Storia del futuro, 1663). La sua prosa vigorosa è un modello del barocco portoghese».
A parte le brevi note che ricordano la sua opera, a quattro secoli dalla nascita pare che nessuno dei suoi lavori sia stato tradotto in italiano, forse anche a causa della sua movimentata esistenza, meglio tratteggiata nell’Enciclopedia della Letteratura (De Agostini).
«Vieira nel 1625 prese i voti come gesuita (a Bahia, dove risiedeva dal 1614 n.d.r.) e iniziò lo studio della lingua guaranì. Nel 1640 fu inviato dall’ordine in missione diplomatica a Lisbona da Giovanni iv. Tornato in Brasile (1652) attaccò i metodi inumani dello sfruttamento colonialistico, tanto da provocare la rivolta dei coloni contro i gesuiti, che lo indusse a tornare in patria. Morto Giovanni iv (1656), suo protettore, l’Inquisizione lo condannò al ritiro conventuale per eresia sebastianista; ottenne, tuttavia, altri incarichi diplomatici, ma, alla fine, deluso dalla politica, riprese la via del Brasile. I suoi sermoni insieme all’epistolario sono la testimonianza più valida della vastità d’interessi di Vieira: dallo studio dei classici greco-romani, alla scienza rinascimentale, dalla teologia alla teoria dello stato».
Senza conoscere a grandi linee le fasi più salienti della vita di Vieira, è quasi impossibile comprendere il film di Bressane, pur ammirandone le scene, quasi dipinti d’autore, le musiche dei grandi, come Bach, Schumann, Haendel, Albinoni, Gabriel Fauré, e scene di film d’autore (Welles, Dreyer, L’Herbier e altri), inserite ad arte per sottolineare alcuni drammi della vita del missionario o evidenziare il contenuto di qualche sermone.
Come sempre, prima di girare il film, Bressane ha studiato a fondo l’opera di Vieira, con la consulenza del poeta Haroldo de Campos, e ha respirato l’aria di Bahia, riprendendo scene del famoso carnevale, per comprendere meglio l’atmosfera in cui il missionario scrisse i suoi magistrali sermoni fino alla morte.
Infatti il film è stato quasi interamente girato a Bahia, in soli tredici giorni, con pochi attori ben scelti. Spicca la brillante e meditata interpretazione di Othon Bastos, un Antônio Vieira vigoroso, dalla voce armoniosa, possente e affascinante.
Il film è, per ora, in lingua portoghese, con sottotitoli italiani; ma anche se fosse tradotto, alcuni testi dei sermoni dovrebbero rimanere in luso-brasiliano perché è proprio la musica di questa lingua che Bressane vuole trasmettere con il film.
Un critico ha scritto: «In Sermões, padre Antônio Vieira è l’immagine fantasmagorica della parola, del discorso e della retorica. Un film dove ogni elemento assume radicalmente la sua tessitura, secondo la sua natura. La parola scivola tra l’insinuazione e il trauma, tra l’enigma e l’argomentazione. L’immagine cerca angoli e movimento a cui il discorso verbale non arriva. La musica è usata come tessitura acustica, una seconda pelle della pellicola».
Mentre Bressane rivela: «Io penso al cinema – e in questo intendo iscrivermi nella tradizione di quei registi che riflettono sul loro oggetto creativo – come a un organismo intellettuale, smisuratamente sensibile, che confina con tutte le arti, la scienza e la vita… Le interrelazioni che intercorrono tra le conoscenze, il piacere di scivolare, abbattendo le barriere delle discipline e delle categorie, la coerenza della complementarietà, paradimensionale e pluridimensionale, questa è la tela di Sermões… Vieira ha sempre preferito il frammento e il paradosso e ha sempre evitato accuratamente il quietismo».
Bressane si è impegnato a «mappare» il «segno Vieira», per creare nel suo film un’immagine che rifletta linguaggio, forza e bellezza dei sermoni.
Tra i molti tipi di sermoni, che caratterizzano l’opera di Vieira (storico, politico, metafisico… anche sculaccione), il regista brasiliano si è formato su tre «ombre», con le quali ha costruito la sua trama: sermoni-musica, sermoni-pittura, sermoni-cinema.
Il film inizia con la morte di padre Vieira, che declama: «Non mi fa paura la polvere che devo essere. Mi fa paura ciò che dovrà essere polvere. Non temo nella morte la morte. Temo l’immortalità»(sermone-musica).
Subito dopo l’Adagio di Albinoni diviene l’anima di una lunga sequenza in cui, sull’oceano che unisce e divide Portogallo e Brasile, ondeggia e fluttua una barchetta, quasi a voler trasportare i sermoni del famoso predicatore. Argomenta Vieira: «Volete vedere tutto questo con gli occhi? Allora guardate: un albero ha le radici, ha il tronco, ha i rami, ha i fiori, ha i frutti. Così deve essere il sermone» (sermone-pittura).
Molte sequenze sulla vita alla corte di Giovanni iv, in cui Vieira si aggira invidiato e calunniato, ricordano quadri d’autore, mentre alcune scene riproducono autentici capolavori come La Venere allo specchio di Velasquez.
Il dramma della condanna di Vieira da parte dell’Inquisizione, che ricorda tra gli antenati del predicatore una nonna negra o mulatta, è sottolineata dall’innesto di un film sul martirio di Giovanna d’Arco, arsa viva. Intanto Vieira mostra il crocifisso e tuona: «Ciò che penetra attraverso gli occhi convince tutti» (sermone-cinema).
Alla fine del film compare la dotta poetessa messicana, suor Juana Inés de la Cruz (1651-1695), che afferma: «Pur dissentendo da lui, egli innamora con la bellezza dell’orazione, sospende con la bellezza e strega con la grazia ed eleva, suscita ammirazione e incanta con il tutto».
D iceva Vieira: «Leggere è una cosa; rileggere è un’altra». Ciò vale anche per questo film, che va visto e rivisto.
Silvana Bottignole