Di stampo URSS
Qualche mese fa, in un pubblico intervento, è stato detto dal più alto responsabile del governo italiano che la nostra Costituzione, quando tratta di iniziativa economica, sarebbe impostata secondo l’ideologia «sovietica», imperante nel contesto politico di allora. Di fronte a questa affermazione, a dir poco stupefacente, pare doveroso cercare di capire ciò che effettivamente la magna charta repubblicana afferma e, soprattutto, se può essere fondata una interpretazione del genere.
La nostra Costituzione (una delle migliori del mondo, tanto da essere presa a modello da non poche altre nazioni) nella sua prima parte, «Diritti e doveri dei cittadini», è personalista, solidale e rappresenta il frutto maturo di una positiva convergenza di diversi filoni di pensiero cattolico e laico, tutti animati da un alto senso dello stato democratico e del bene comune per costruire insieme una «casa per tutti i cittadini».
Sappiamo come nei dibattiti alla Costituente, vivaci e battaglieri, si è sempre cercato da tutte le forze politiche rappresentate non di prevaricare gli uni sugli altri, con l’arroganza tipica di oggi, ma, con viva intelligenza, profonda cultura e operosa pazienza, di raggiungere una piattaforma comune di valori umani nel rispetto di tutti.
Cosa dice la Costituzione circa la tematica economica in questione? «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e cornordinata a fini sociali» (art. 41). Due le affermazioni importanti: la libertà di iniziativa privata, o di impresa come qualcuno preferisce; una libertà però non assoluta, ma da situarsi in un contesto di rispetto della persona («sicurezza, libertà, dignità umana»), perché l’attività economica non può essere fine a se stessa o per il benessere di pochi, ma di tutti, poiché esiste «una utilità sociale» dell’economia stessa.
A questo punto viene da chiedersi: questa impostazione è frutto dell’ideologia «sovietica» oppure di una ispirazione genuinamente umana e cristiana?
Chi conosce, anche sommariamente, il vangelo e l’insegnamento sociale della chiesa, specialmente dell’enciclica Rerum novarum, fino ai pronunciamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II e di Giovanni Paolo II, sa benissimo che la tesi circa «l’utilità sociale» dell’economia, assunta dalla Costituzione, è in piena consonanza a questo Magistero. Si potrebbe dire che è la traduzione laica della genuina visione cristiana sui rapporti eticamente corretti tra uomo e beni materiali. Solo chi è inspirato da un pensiero neoliberista e, purtroppo, governa di conseguenza, può trovare nel testo costituzionale una impostazione «sovietica».
D’altronde non è il caso di meravigliarci più di tanto. Ai tempi di Leone XIII, il papa della Rerum novarum, in cui si affermava che il lavoro dell’uomo non è merce, che la persona viene prima del profitto, che è lecito agli operai associarsi per difendere i loro giusti diritti, parecchi, anche nel cosiddetto «mondo cattolico», dicevano che il papa era diventato «socialista»! C’è di più: probabilmente se si continua a leggere nella Costituzione, l’accusa di essere «sovietica» potrebbe ancora diventare più grave. Infatti l’articolo 42 dice: «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurae la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».
Dunque non solo l’attività economica, ma pure la proprietà privata deve rispettare e adempiere una funzione sociale. Addirittura si afferma che la società (e perciò chi governa) deve fare in modo, con opportune leggi, che tutti possano accedervi. Evidentemente perché i costituenti erano convinti che l’uomo è più importante delle cose e che occorreva evitare il rischio quanto mai reale per cui, avendo pochi il possesso di molto o moltissimo, i molti non giungano mai neppure al possesso di poco. E questo certo non è conforme alla volontà di Dio al riguardo.
Insegna il Vaticano II nella Gaudium et spes: «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli e pertanto i beni creati devono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità; pertanto quali che siano le forme della proprietà, si deve sempre tenere conto di questa destinazione universale dei beni» (69).
Allora la nostra Costituzione reca l’impronta «sovietica», oppure, felicemente e genuinamente, quella biblica-cristiana, anticipando perfino, in una certa misura, il dettato conciliare?… È perciò triste dover constatare come alcuni politici, con relativi loro sostenitori che pur dicono di inspirarsi ai princìpi sociali cristiani, possano pubblicamente fare certe affermazioni, senza neppure suscitare motivate e giuste reazioni.
Sebastiano Dho, vescovo di Alba