AMBIENTE Acqua delle mie brame
ACQUA DELLE MIE BRAME
Il problema della scarsità d’acqua
si sta rapidamente aggravando,
come dimostrano le sempre
più frequenti guerre per
l’«oro blu» (in Medio Oriente,
regione nilotica,
subcontinente indiano).
Intanto, in Italia il consumo
giornaliero medio pro capite
è di 213 litri e negli Stati Uniti
raggiunge la stratosferica
cifra di 600 litri. È questo
lo «stile di vita»
che vogliamo difendere?
SPRECHI INACCETTABILI
Nel 2000, i paesi afflitti da problemi idrici o da scarsità d’acqua erano 31; secondo le previsioni, entro il 2025 la cifra salirà a 48, compresi India e Cina. Anche se il problema della scarsità d’acqua riguarda tutti i paesi del mondo, i più pregiudicati sono quelli del Sud.
È il Kuwait, con i suoi 10 metri cubi pro capite, il fanalino di coda della classifica sulla disponibilità d’acqua, inserita nel rapporto dell’Unesco. Lo seguono la Striscia di Gaza (52 metri cubi) e gli Emirati Arabi (58 metri cubi). I paesi più ricchi d’acqua sono invece la Guyana Francese con oltre 800 mila metri cubi e l’Islanda (circa 60.000 metri cubi). L’Italia non è esente da questi problemi: a causa della cattiva gestione delle acque, al Sud il 18% della popolazione soffre di carenza idrica.
Si parla di grave crisi idrica quando la disponibilità di acqua pro capite è inferiore a 1.000 metri cubi di acqua all’anno. Al di sotto di tale quantità sono fortemente ostacolati la salute e il benessere economico del paese, mentre sotto i 500 metri cubi è la sopravvivenza stessa ad essere compromessa.
Di fronte a queste cifre, risultano contrastanti i dati sul consumo di acqua nei paesi del Nord: molte famiglie dei paesi ricchi arrivano a consumare oltre 2 mila litri al giorno di acqua di buona qualità (secondo l’Oms la quantità ottimale sarebbe di 150 litri al giorno).
In Italia il consumo giornaliero medio pro capite è di 213 litri, negli Stati Uniti è di 600 litri. Nella seconda metà del secolo scorso la domanda di acqua si è triplicata rispetto all’inizio del secolo, e si stima che, d’ora in poi, raddoppierà ogni vent’anni.
Il contrasto diventa inaccettabile se si analizzano gli sprechi d’acqua, enormi in tutto il mondo:
– il 40% dell’acqua usata per l’irrigazione si perde per evaporazione
– le perdite negli acquedotti oscillano in media fra il 30 ed il 50% (anche nei paesi sviluppati)
– una lavatrice standard consuma mediamente 140 litri a ciclo; lo sciacquone 10-20 litri alla volta; una lavastoviglie 60 litri.
È facile prevedere che l’aumento della popolazione mondiale determinerà un’ulteriore crescita della domanda di acqua, ma intanto è necessario essere consapevoli di chi oggi ne consuma eccessivamente.
POCA ACQUA, POCA SALUTE
La scarsità d’acqua si ripercuote direttamente sulla salute dei suoi abitanti: si stima che l’80% di tutte le malattie ed il 33% delle morti nei paesi del Sud del mondo siano legate alla mancanza d’acqua, alla sua cattiva qualità, all’assenza di impianti di depurazione.
Trentamila persone al giorno muoiono per:
– malattie trasmesse dall’acqua (tifo, colera, dissenteria, gastroenteriti, epatiti)
– infezioni della pelle e degli occhi
– parassitosi
– malattie dovute ad insetti vettori (ad es. mosche e zanzare)
– infezioni da mancanza di igiene.
Il paradosso tra Nord e Sud ritorna anche in tema sanitario: il convegno medico internazionale sulle malattie infiammatorie, tenutosi a Capri il 14 aprile 2003, mette in guardia contro i rischi di un’igiene e pulizia eccessiva (legata inevitabilmente a spreco di acqua potabile), responsabili della distruzione e dell’indebolimento di batteri che difendono l’intestino dalle infiammazioni.
Scarsità d’acqua significa inoltre diminuzione della produzione alimentare e quindi aumento della fame. In questa drammatica situazione, è evidente che troppi uomini si vedono negato il proprio diritto all’acqua, ossia alla vita stessa.
L’ACQUA,
DA DIRITTO A MERCE
Se la risorsa acqua è stata finora considerata un «diritto inalienabile» dell’umanità, al 2° Forum mondiale dell’acqua all’Aia ( 2000) il termine diritto è stato sostituito da «bisogno». Però, mentre «diritto» obbliga le istituzioni ad assicurare a tutti quel diritto fondamentale, «bisogno» attenua i toni e trasforma l’acqua in un bene economico, una merce come qualsiasi altra, sottoponibile a concorrenza, da quotare in borsa, da privatizzare.
Tre sono i principi fondatori della politica promossa dai fautori dell’economia di mercato applicata anche all’acqua: considerandola un bene economico, l’acqua può essere venduta, comprata, scambiata; essendo un bisogno, e non più diritto, gli uomini diventano consumatori/clienti di un bene/servizio da rendere accessibile secondo le logiche di mercato; deve essere trattata come una risorsa preziosa (l’oro blu), destinata ad essere sempre più rara e quindi anche strategicamente importante.
Da ciò conseguono la liberalizzazione, la deregolamentazione e la privatizzazione dei servizi idrici, e quindi la priorità all’investimento privato. Tuttavia, la privatizzazione dei servizi d’acqua non si è tradotta necessariamente e dappertutto in un miglioramento dei servizi o in una riduzione dei prezzi, né in una diminuzione della corruzione o nella creazione di un circolo virtuoso di investimenti.
Nella maggior parte dei casi e specialmente nei Paesi del Sud, i prezzi sono saliti alle stelle (basti pensare al caso di Cochabamba in Bolivia, di Manila nelle Filippine, di Santa Fé in Argentina…), la corruzione si è manifestata nelle concessioni ai privati, l’indebitamento dei paesi poveri è aumentato, il miglioramento dei servizi ha paradossalmente avvantaggiato i gruppi sociali più abbienti. La decisione in materia di gestione delle risorse idriche passa quindi dai soggetti pubblici ai privati: è la mercificazione della vita stessa (vedi Dichiarazione conclusiva del 1° Forum alternativo mondiale dell’acqua, Firenze 21-22 marzo 2003). Affinché l’acqua rimanga un bene comune dell’umanità, è nato un movimento internazionale d’opinione che opera per un «Contratto mondiale per l’acqua».
Uno dei prossimi boom economici sembra inoltre essere legato all’acqua in bottiglia: secondo uno studio preliminare commissionato dal Wwf, in tutto il mondo i consumatori pagano dalle 500 alle 1000 volte di più per una bottiglia d’acqua che, almeno nel 50% dei casi, ha le stesse caratteristiche dell’acqua di rubinetto, con solo un po’ di sali e minerali aggiunti. Intanto i fiumi, che dovrebbero rappresentare la fonte della maggior parte dell’acqua potabile, sono sempre più minacciati dall’inquinamento. Disinquinare le risorse di acqua pubblica, piuttosto che affidarsi ciecamente all’acqua imbottigliata, diminuirebbe invece l’entità di due problemi ambientali: il trasporto delle bottiglie e l’elevata produzione di rifiuti di plastica.
GUERRE E CATASTROFI
In alcuni paesi le tensioni politiche per l’accesso all’acqua potabile sono cresciute a livelli allarmanti. Secondo alcuni le «guerre per l’acqua» potrebbero essere alle porte, se non già sotto i nostri occhi; secondo altri rappresentano già la causa di oltre 50 conflitti nel mondo, tra i quali la stessa guerra contro l’Iraq.
La metà dei villaggi palestinesi non ha acqua corrente, mentre tutte le colonie israeliane ne sono provviste. In Brasile sono presenti l’11% delle risorse idriche dolci del pianeta, ma 45 milioni di brasiliani non hanno accesso all’acqua potabile. Entro il 2025 è previsto che le popolazioni delle 5 regioni considerate punti caldi del conflitto idrico (regione del Lago d’Aral, bacini del Gange, del Giordano, del Nilo, del Tigri-Eufrate) aumenteranno tra il 32% e il 71% (vedi box).
Secondo Vandana Shiva, le guerre dell’acqua non sono un’eventualità futura: ne siamo già circondati, anche se non sempre sono immediatamente riconoscibili come tali. Possono presentarsi come guerre tradizionali, oppure come conflitti fra culture, su come si percepisce e si vive l’esperienza dell’acqua. Conflitti tra la cultura della mercificazione e quella opposta del dare, ricevere acqua come dono gratuito. «Immaginate un miliardo di indiani che, abbandonata la pratica dell’offerta dell’acqua presso i piyao, ricorrono a quella in bottiglie di plastica per placare la sete. Quante montagne di rifiuti di plastica ne deriverebbero? Quanta acqua sarà distrutta dalla plastica buttata via?» (Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua, 2003).
C’è ancora un ulteriore insospettabile aspetto legato al problema acqua. Come si è visto in MC marzo 2003, spesso catastrofi come alluvioni, cicloni o siccità sono tutt’altro che naturali. Al contrario, a causa dell’effetto serra ed al conseguente riscaldamento del pianeta, questi fenomeni estremi sono destinati ad aumentare.
La quantità totale dell’acqua rimane la stessa, ma i tempi impiegati a precipitare sottoforma di pioggia possono essere molto più rapidi che in passato, causando ad esempio fenomeni alluvionali devastanti. Ogni giorno, una quantità di acqua poco maggiore di quella contenuta nel Mar Caspio (il lago più grande del mondo) evapora dalla superficie del pianeta per ricadere sottoforma di pioggia, grandine e neve. Al contrario, fenomeni di siccità prolungata e di progressiva desertificazione potranno rendere sempre più critica la già grave situazione legata alla disponibilità di acqua.
E NOI, NEL NOSTRO PICCOLO?
Nonostante lo sforzo di distinguere le varie problematiche legate all’acqua nelle implicazioni ambientali, sociali ed economiche, è evidente come tutte le sfaccettature della questione siano strettamente legate fra loro e come non sia possibile cercare di risolvere un aspetto del problema tralasciandone gli altri.
Anche se a prima vista pare impensabile, anche in questo caso una parte importante della responsabilità ricade su tutti noi, singoli cittadini:
– dal punto di vista del nostro comportamento quotidiano
– come attenzione e senso critico che dovremmo manifestare nei confronti delle politiche perseguite dai governi e dagli organismi inteazionali
– dal punto di vista delle capacità e voglia di formarsi ed informare.
Capire allora che l’acqua può essere considerata rinnovabile soltanto:
– se il suo prelievo non è più veloce della formazione delle riserve d’acqua (ad esempio delle acque sotterranee) e
– se il livello di inquinamento dell’acqua restituita all’ambiente dopo il suo uso non ne pregiudichi il suo riutilizzo.
Noi beviamo la stessa acqua che bevevano gli antichi romani, i nostri pronipoti berranno la stessa acqua che beviamo noi. Come scrive Vandana Shiva: «Il ciclo dell’acqua ci connette tutti e dall’acqua possiamo imparare il cammino della pace e la via della libertà».
L’AFA, IL GOVERNO, I CITTADINI:
BENESSERE PRIVATO, MALESSERE PUBBLICO
Ma i consumi non dovevano «far girare l’economia»? Siamo stati tormentati per mesi con l’ormai (purtroppo) nota pubblicità televisiva che ci ricordava come i consumi facciano bene all’economia… e oggi, 26 giugno 2003, il ministro per le attività produttive Antonio Marzano in persona, alle 13.30 sul Tg1, ci implora di consumare meno energia, di risparmiare, di usare meno possibile i condizionatori, addirittura di spegnere anche la lucina rossa del televisore… Se il ministro ci parla in questo modo in prima notizia, se la notizia dura ben 9 minuti, se tutti i Tg la ripropongono, allora c’è da preoccuparsi: la situazione dev’essere proprio grave.
Ma andiamo con ordine. Nella puntata precedente abbiamo sottolineato come i consumi facciano girare non solo l’economia, ma facciano anche impazzire il clima. Nessuno scienziato negherà l’eccezionalità del mese di giugno 2003, dominato da un caldo rovente fuori da qualsiasi media stagionale: avvisaglie dell’effetto serra? Scatta comunque la corsa all’acquisto non solo di ventilatori, ma dei famigerati condizionatori d’aria: 400-1.000 euro in cambio del tanto desiderato fresco. Peccato che i condizionatori consumino molta energia elettrica, troppa… Chi si azzarda a criticarne l’uso smodato per motivi ambientali viene tacciato di petulanza, di «terrorismo» ambientale e via dicendo.
Le autorità dell’energia decidono di programmare, in tutto il territorio nazionale, dei blackout a macchia di leopardo, perché non c’è energia elettrica sufficiente per soddisfare tutte le richieste. E, quasi come una beffa, scatta il «caloroso» invito a diminuire i consumi: «Non prendete l’ascensore, non aprite il freezer, il traffico può andare in tilt…». Ma allora è vero che c’è un limite ai consumi, che i limiti sono imposti dalla natura e non dall’economia? Come si sentiranno i milioni di cittadini che pensavano di risolvere tutto con i soldi, e che invece si ritrovano un condizionatore nuovo di zecca senza (teoricamente) poterlo usare?
Il fatto tragico non è comunque questo: al contrario, la «necessità» di energia elettrica sarà il pretesto per la costruzione di nuove centrali elettriche, nuove dighe, nuove strutture che impatteranno il nostro già ferito territorio, che incentiveranno nuovamente i consumi, che di conseguenza incrementeranno il fenomeno dei cambiamenti climatici… in un circolo vizioso senza fine. Forse toerà la «necessità» di costruire le famigerate centrali atomiche: con il loro sfrenato consumismo, gli italiani rischiano di far tornare in auge il problema del nucleare che essi stessi avevano allontanato con il referendum del 1987. In questi casi, il paradosso è una costante: in caso di costruzione di nuove centrali, non mancheranno le manifestazioni di protesta della popolazione locale (che le centrali non le vuole sul proprio territorio) o quelle di soddisfazione di coloro che vogliono più energia per utilizzare i condizionatori (che «fanno girare l’economia»…). La stessa giornalista del Tg1 ci presenta l’invito a risparmiare energia, vestita in giacca nera, mentre fuori ci sono 38 gradi…
Come se non bastasse, un altro «invito» ci viene rivolto in questi giorni: risparmiare acqua. In molti comuni, non dell’Africa ma del ricco ed industrializzato Nord Italia, l’acqua viene razionalizzata e distribuita in container di plastica, a causa della siccità. Così, mentre la AEM di Torino propone con entusiasmo al cittadino «proiettato nel futuro» di cambiare il contratto di casa da 3KW
a 4,5 o addirittura a 6KW, in modo che possa utilizzare tutti gli elettrodomestici che desidera (in particolare il condizionatore), molti gestori di centrali elettriche sono costretti a chiudere gli impianti per mancanza di acqua.
Che cosa sta succedendo? Forse dovremmo fermarci un momento, sederci, iniziare a pensare, con calma, su cosa stiamo combinando.
Si.Ba.
Le guerre per l’«oro blu»
ISRAELE-GIORDANIA: Israele dipende, per i 2/3 dell’acqua che consuma, dai paesi confinanti con cui condivide il fiume Giordano (Giordania, Palestina, Siria). Nel 1994 è stato firmato un accordo tra Israele e Giordania, ma l’equilibrio è precario, essendo non lontana la penuria d’acqua.
ISRAELE-PALESTINA: durante il Forum Alteativo dell’acqua tenutosi a Firenze nel marzo 2003, un membro della delegazione palestinese in Italia, Belal Mustafa, ha denunciato che l’80% delle risorse idriche palestinesi viene usato da Israele, che ha un controllo pressoché totale delle acque del Giordano. «Per scavare nuovi pozzi c’è bisogno dell’autorizzazione dell’esercito israeliano… la maggior parte degli insediamenti dei coloni sono stati realizzati proprio in base alla presenza di falde acquifere nella zona… gli israeliani hanno a disposizione 260 litri di acqua al giorno pro-capite, mentre i palestinesi solo 70, meno degli 80 litri considerati dal processo di pace di Oslo il loro fabbisogno minimo» (da Rocca, 1 maggio 2003). Problema sottolineato anche da Jonathan Laronne, docente israeliano dell’università Ben Gurion di Tel Aviv, secondo il quale sarebbe necessaria ed indispensabile una gestione comune e pubblica della risorsa idrica per entrambi gli stati.
TURCHIA-SIRIA-IRAQ: le tensioni riguardano la Turchia da un lato e Siria e Iraq dall’altro. Sia il Tigri che l’Eufrate nascono in Turchia, attraversano per un breve tratto la Siria, per poi entrare in Iraq. Questi paesi, dato il clima molto arido, confidano sulle acque dei due fiumi, minacciati però dalla costruzione di 222 dighe, la cui conseguenza è la diminuzione del 35% dell’acqua entrante in Iraq. La Turchia sta inoltre provocando la distruzione di storia e cultura del popolo curdo, a causa delle evacuazioni e deportazioni per la creazione dei nuovi bacini.
IL FIUME NILO: questo fiume è fonte di tensioni per tutti i paesi che attraversa: Uganda e Tanzania, Sudan, Etiopia, Egitto. Questo paese è l’ultimo ad essee attraversato in ordine spaziale: il suo approvvigionamento idrico dipende, quindi, dagli stati a monte. Le tensioni più gravi sono tra Egitto ed Etiopia e tra Sudan e Uganda. Punto strategico è la città di Damazin, sede della diga che fornisce l’80% dell’acqua consumata dalla capitale del Sudan, contesa tra gli eserciti nemici.
IL FIUME GANGE: il Gange, uno dei più grandi fiumi del mondo, attraversa India, Nepal, Bangladesh. Nel 1975 l’India ha costruito una diga nei pressi di Farrakka, riducendo drasticamente l’apporto d’acqua al Bangladesh, e innescando una disputa non ancora risolta.
Si.Ba.
(rielaborato da: Civiltà dell’Acqua, www.provincia.venezia.it/cica; Rocca, rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi, 1 maggio 2003)
Silvia Battaglia