UNA SOFFERENZA «IMPOSTA»

Julien Andavo Mbia vescovo di Isiro-Niangara (Congo R. D.)
Nato nel 1950 a Faradje (Isiro) da famiglia cristiana,
sacerdote dal 1979, mons. Julien Andavo
Mbia ha conseguito la licenza in teologia alle
Facoltà cattoliche di Kinshasa e il dottorato
in teologia morale a Fribourg (Svizzera). Viceparroco,
economo alle Facoltà cattoliche, professore
di morale al Teologato di Bunia, rettore
del Filosofato interdiocesano di Kisangani, è
stato nominato vescovo di Isiro-Niangara il 19
dicembre 2002 e consacrato il 19 marzo 2003.

Monsignor Julien, lei è il vescovo
eletto di Isiro. In questa città
è stato consacrato, il 19 marzo
scorso, dal card. Frédéric Etsou-
Nzabi Bamungwabi, arcivescovo
di Kinshasa. Date le difficoltà
del momento, perché far venire
a Isiro proprio l’arcivescovo di
Kinshasa?
È stato previsto che il card. Etsou
come primo consacrante, affiancato
da mons. Laurent Monsengwo Pasinya,
arcivescovo di Kisangani e dal
nunzio apostolico, mons. D’Aniello
Giovanni.
Vi sono molteplici ragioni per la
presenza del cardinale. È il presidente
della Conferenza episcopale del
Congo. La sua venuta a Isiro vuole
sottolineare l’unicità e l’unità del
paese e della nostra chiesa. Manifesta
la preoccupazione e la sollecitudine
della chiesa universale per una
chiesa locale che soffre. Diventa così
un momento di solidarietà e di incoraggiamento
per i cristiani di Isiro e
anche per me, loro giovane vescovo.
La presenza del cardinale, presidente
della Conferenza episcopale, dell’arcivescovo
Monsengwo, presidente
della Secam, e del nunzio, rappresentante
del papa nella R.D. del Congo,
vuole essere anche un appello alla
coscienza dei nostri dirigenti politici,
che sono molto incerti sul da
farsi. Penso che la questione dell’incoraggiamento
da parte della chiesa
sia veramente importante.
Situazione di crisi. Come la vive
e come sopravvive la gente della
sua diocesi?
C’è una crisi molto acuta sul piano
economico, sociale, e politico. Vi sono
da noi uomini che pretendono di
fare politica, ma non hanno né la capacità,
né i mezzi per farla; non sanno
che cosa sia la politica, arrivano
al potere senza essere eletti e pretendono
di vivere a spese della popolazione.
Una volta il paese stava
bene. Aveva risorse. C’era la coltivazione
del caffè. Ora non esiste più
nulla. La gente si sposta in bicicletta,
anche per lunghe distanze. Ha bisogno
di essere incoraggiata, spinta
a darsi da fare. Perciò è importante
che la chiesa sia sul posto, che io rimanga
tra la gente.
Qual è la consistenza numerica
dei cattolici nella sua diocesi e
che rapporti mantiene con i seguaci
delle altre religioni?
Dal punto di vista numerico, non
ho molto da dire. Non ho le cifre sotto
mano. Ma posso affermare che i
cattolici sono la maggioranza. Ci sono
i protestanti e i kibamguisti, che
però recentemente hanno cominciato
a fare delle affermazioni su Gesù
Cristo e sullo Spirito Santo che li mettono
fuori dal Consiglio ecumenico
delle chiese. Il problema sono le sètte,
le chiese indipendenti
che sorgono
un po’ ovunque.
Vorrei sottolineare
la vitalità della
comunità ecclesiale.
Tutti gli aspetti
della vita sociale,
economica e culturale
sono più o meno
segnati dal cristianesimo,
incluse
le cerimonie funebri,
tanto importanti
nella vita socio-
culturale e
religiosa dell’africano.
Nei funerali
è la famiglia ecclesiale che si confronta
con la morte. Le cerimonie si
svolgono in un contesto cristiano. È
un momento di grazia, per cercare di
radicare ancora di più il vangelo nel
tessuto vivo del popolo.
È necessario che i cristiani siano
aiutati a perseverare nella loro adesione
a Cristo. Bisognerebbe, per
esempio, fare più leva sulla presenza
della beata Clementine Anuarite sepolta
nella cattedrale di Isiro, sviluppae
la devozione, sottolineare i
valori che essa ha rappresentato con
la sua vita. Nei miei giri per il paese,
ho potuto constatare che tutti hanno
desiderio di venire in pellegrinaggio
ad Isiro, per venerare la beata.
L’islam? Per il momento non è un

vero problema. È presente, ma non
ha una reale influenza. Non ha peso
sulla fede in quanto tale. Le poche
conversioni sono per interessi politici
o economici.
Quali sono le linee pastorali che
intende seguire nel suo ministero
apostolico?
La priorità, per me, è principalmente
legata agli agenti pastorali, a
tutti i livelli: sacerdoti, suore, laici,
persone consacrate, sia congolesi che
provenienti dall’estero. Attraverso il
mio ministero, intendo infondere loro
fiducia, contare su di loro e dire
che, benché vescovo, non tocca solo
a me condurre il gregge.
Oggi, l’episcopato congolese parla
della chiesa-famiglia: famiglia che,
come comunità domestica e come comunità
ecclesiale, parrocchiale e diocesana,
rifletta i valori evangelici.
Anche questo vuol dire inculturazione
del messaggio a tutti i livelli. Il
vangelo deve dire qualcosa di concreto
nella vita personale, nella famiglia
e nella società, indicarci cosa
significhi essere salvati da Gesù. Bisogna
quindi portare la gente a fare
una lettura contestualizzata del vangelo,
affinché possiamo essere evangelizzati
integralmente.
Cosa si aspetta dai missionari e
missionarie?
Per quanto riguarda il rapporto con
i missionari, vorrei far notare che il
processo di evangelizzazione non è
finito, non è mai finito; finché l’uomo
vive, vi sarà evangelizzazione. È
in questo senso che la chiesa è universale.
Non è la chiesa della mia famiglia
o della mia società, o di Isiro:
è la chiesa di Gesù che chiama tutti
gli uomini, di ogni colore, a vivere la
vita di Dio là dove si trovano; una vita
di carità, di comunione, al di là di
ogni frontiera. È così che i missionari
conservano sempre il loro posto,
anche quando i cristiani sono molti.
Perché l’evangelizzazione è permanente
ed è sempre da riprendere. La
presenza del missionario è fonte di

coraggio, perché si tratta di un uomo,
di una donna venuti da lontano,
condotti qui solo dalla fede. Il missionario,
quindi, non deve supplire
soltanto a una mancanza, per cui
quando questa mancanza viene colmata,
ha finito il suo compito. Il missionario
è un testimone di Gesù e tutti
noi ne abbiamo bisogno.
Il Congo è devastato dalla guerra.
La gente di Isiro come vede
la guerra? Ha qualche speranza
che presto finisca?
La guerra è imposta alla gente. Non
è voluta. La gente vuole la pace. Tutti
si augurano che la guerra finisca
presto. Ma si ha l’impressione di trovarsi
in una tragica impasse (vicolo
cieco) e non si sa come uscie. Per
farla finire, è importante tagliare i legami
che essa ha con i paesi esteri.
I mezzi per fare la guerra, infatti,
vengono dall’estero, dall’Uganda, dal
Rwanda. Questi paesi, purtroppo,
hanno una stampa efficiente, pronta
a mostrare come essi non c’entrino
con la guerra, ne sono fuori. Ma la
realtà è diversa.
E la società civile?
La società civile, purtroppo, non è
bene organizzata. A questo proposito,
faccio di nuovo un richiamo alla
stampa che può svolgere un ruolo
molto importante, soprattutto sostenendo
la volontà della popolazione e
incoraggiandola.
La chiesa congolese è una chiesa
di martiri. Si fa qualche cosa
per conservae la memoria?
È importante salvaguardare la memoria
dei martiri, a livello parrocchiale,
diocesano e nazionale. Per
questo sono importanti gli archivi
storici. Ci dovrebbe essere un gruppo
incaricato di raccogliere dati e
fatti che costituiscono la storia di
uomini e donne che hanno dato la
vita per Cristo e per i loro fratelli e
sorelle. Non vi è niente di peggio che
ignorare la memoria, perdere le tracce
del proprio passato. Bisognerebbe
che, a tutti i livelli, si potessero
avere le testimonianze che possono
incoraggiarci nella fede e meritano
di essere messe in evidenza. Per il
centenario dell’inizio del cristianesimo
nella diocesi, intendiamo prendere
delle iniziative in questo senso.
Avremmo voluto farlo in condizioni
più felici. Ma non siamo noi i padroni
della storia.

Giovanni Battista Antonini