UN SEME CHIAMATO… AMICIZIA

mons. Giovanni Battista Pinardi,
ausiliare di Torino ai tempi
del beato Giuseppe Allamano,
stretto amico di mons. Filippo Perlo
e di altri missionari della Consolata,
è in corso il processo di beatificazione.

«Il buon seme è gettato; fecondato
da tante fatiche,
dolori e illimitata fiducia in
Dio, fruttificherà il cento per uno».
Così si esprimeva il cuore di un vescovo,
mons. Giovanni Battista Pinardi,
che si apriva alla confidenza di
un altro vescovo, mons. Filippo Perlo,
primo successore del beato Giuseppe
Allamano alla guida dell’Istituto
dei missionari della Consolata.
L’indizio di un sincero legame tra
i due grandi pastori del secolo scorso
ci viene offerto dalla lettera di felicitazioni
che mons. Pinardi scrisse
al Perlo nell’agosto 1945, in occasione
del giubileo sacerdotale di
quest’ultimo.
Parroco e ausiliare di Torino il primo
(1880-1962), missionario e vicario
apostolico del Kenya il secondo
(1873-1948), che cosa alimentava
l’amicizia di questi due vescovi, così
differenti tra loro per stile ed esperienza
pastorale concretamente vissuta?

La loro amicizia
cominciò ai tempi degli studi nel seminario
di Torino. Nato a Castagnole
Piemonte (TO) il 15 agosto
1880, Giovanni Battista Pinardi era
di sette anni più giovane del Perlo,
nato nel 1873 e ordinato prete nel
1895.
Il loro legame continuò anche
quando il Perlo, dopo un breve periodo
di attività pastorale e servizio
come economo al santuario della
Consolata, entrò tra i primi nell’Istituto
missionario fondato dall’Allamano.
In occasione del suo invio in
Kenya, nella prima spedizione missionaria,
l’allora giovane chierico Pinardi
partecipò come cantore alla
celebrazione della partenza.
Ordinato sacerdote nel 1903 e
consacrato vescovo nel 1916, mons.
Pinardi seguì sempre con commozione
e interesse l’opera del Perlo,
attraverso due testimoni di eccezionale
importanza: il canonico Giacomo
Camisassa, zio di Filippo, e, soprattutto,
il beato Giuseppe Allamano,
del quale mons. Pinardi si
disse, visitandolo nel 1926, «uno dei
suoi più affezionati discepoli».
Mons. Pinardi stimò grandemente
l’attività missionaria di mons. Perlo,
ritenuto l’anima e l’artefice delle
fondazioni missionarie in Kenya, poi
consacrato vescovo nel 1909 nel santuario
della Consolata. «Pochi come
il sottoscritto – confidava mons. Pinardi
a mons. Perlo – hanno seguito
la tua vita, i tuoi sacrifici, i tuoi dolori,
le tue aspirazioni di vero missionario
del Signore; perciò doverosamente
e sentitamente mi sento accanto
ai tuoi confratelli…».
Ecco ciò che ha accomunato e alimentato
l’amicizia tra queste due figure
luminose di pastori: il sacrificio
della propria vita per il vangelo.

Mons. Pinardi conobbe
l’intelligenza brillante e concreta dell’attività
di mons. Perlo nella nuova
missione in Kenya, parlandone come
di un terreno completamente da
dissodare e che costò all’intrepido
vescovo missionario «sacrifici senza
nome», al punto da affermare che il
Perlo «…molto ha fatto, quanta
umana azione da Dio benedetta poteva
compiere».
Il sacrificio richiesto a mons. Perlo
toccò sul vivo la tempra della sua
fede, quando il mondo intero fu
sconvolto dalla seconda guerra mondiale,
le cui conseguenze si fecero pesantemente
sentire anche in terra
d’Africa: «L’immane guerra d’Africa
e mondiale si è abbattuta sul terreno
sì bene coltivato – scriveva ancora
mons. Pinardi, riferendosi alla
giovane missione africana -; penso
quanto ha sofferto il suo cuore, nel
vedere il frutto di tante fatiche sue e
dei suoi cari confratelli, ritardato e,
in apparenza, compromesso. Dico,
in apparenza, compromesso».
Ma l’uomo di fede è capace di una
diversa e ben più profonda visione
del mondo, scorgendo la crescita del
regno di Dio anche nelle sue apparenti
smentite e contraddizioni.
Il cuore di mons. Pinardi fu capace
di un sentimento di tanta e tale
compartecipazione alle fatiche del
Perlo per una sorta di connaturalità:
lo stesso mons. Pinardi era provato
nelle stesse sofferenze a motivo del
vangelo, seppure in contesto differente,
custodendo nel suo animo gli
stessi sentimenti che furono già dell’apostolo
Paolo: «È giusto, del resto,
che io pensi questo di tutti voi,
perché vi porto nel cuore, voi che
siete tutti partecipi della grazia che
mi è stata concessa sia nelle catene,
sia nella difesa e nel consolidamento
del vangelo» (Fil 1,7).

Per vocazione
e temperamento, mons. Pinardi non
fu missionario alla maniera del Perlo.
Il «terreno» dove egli si spese come
parroco e vescovo non richiedeva
il primo annunzio, ma una sempre
nuova incarnazione nei diversi
contesti storici: in questo fu davvero
missionario e pioniere, impegnato su
tanti fronti, tra cui spicca quello per
la stampa cattolica. In una congiuntura
storica che sfavoriva ogni iniziativa
di questo genere, nell’ottobre
1917 fondò l’Opera della buona
stampa e sostenne, pagando di persona,
la diffusione della stampa cattolica.
Quando nel 1930 Pio XI chiamò
da Sassari a Torino mons. Maurilio
Fossati, il papa disse al nuovo arcivescovo:
«A Torino avete un vescovo
santo, ma bisogna lasciarlo nell’ombra,
per non avere problemi con
il regime».
Mons. Pinardi non fu più confermato
né vescovo ausiliare, né provicario
generale e se ne stette, apparentemente,
nell’ombra nascosta del
suo servizio di parroco presso la parrocchia
di San Secondo. Ma il chicco
di frumento non teme l’ombra
della terra; anzi, l’accoglie come la
vera possibilità di portare frutto, che
non tardò a maturare. Esso ha il volto
di migliaia di poveri, malati e sofferenti,
che furono quotidianamente
accolti e aiutati da mons. Pinardi.
A San Secondo e in tutta la diocesi
di Torino è ancora vivissimo il suo ricordo
come di un vero padre dei poveri.
«Il buon seme è gettato; fecondato
da tante fatiche, da tanti dolori, da
illimitata fiducia in Dio, fruttificherà
il cento per uno»: quanto mons. Pinardi
scriveva del Perlo delinea bene
il suo stesso ministero pastorale.
È proprio il progressivo approfondimento
dei suoi frutti spirituali che
ha portato la diocesi di Torino ad avviare
il processo di canonizzazione,
che si trova ora depositato presso la
Congregazione romana per le Cause
dei Santi, dove è iniziata la seconda e
più impegnativa fase del processo,
nella speranza di poterlo un giorno
onorare come santo, venerando in lui
un pastore da imitare e un intercessore
da pregare.
Qui tornano a intrecciarsi le storie
dei santi torinesi, perché proprio un
figlio del beato Allamano, un altro
missionario della Consolata come
mons. Perlo, sarà il postulatore della
causa di mons. Pinardi, padre
Gottardo Pasqualetti, al quale vanno
il ringraziamento e l’augurio per
il suo impegno.
«Il buon seme è gettato; fecondato
da tante fatiche, da tanti dolori, da
illimitata fiducia in Dio, fruttificherà
il cento per uno»: la lunga amicizia
tra mons. Pinardi e le missioni della
Consolata è sicuramente uno di questi
frutti. E che la storia continui.

Luca Ramello

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