INDIA tensioni nello stato del Gujarat

POVERO GANDHI, SEMPRE MENO DI MODA!

Gujarat, uno dei 28 stati dell’«Unione».
Nel 2002 ha riproposto il drammatico «cliché»,
che fin dall’indipendenza (1947)
tormenta il subcontinente indiano:
lo scontro fra indù e musulmani.
Né mancano violenze verso i pochi cattolici.
C’è dell’altro: la religione del giainismo, per esempio.

SANGUE NEL GUJARAT
Che cosa è rimasto del sogno di
tolleranza di Gandhi nel luogo dove
è nato e cresciuto?
Oggi, 27 dicembre 2002, Rajkot
pare una città tranquilla. Pochi giorni
sono trascorsi dalle elezioni, che
hanno concluso un anno drammatico
della storia dello stato indiano del
Gujarat. La tragedia di Godhra, in
febbraio, quando un treno carico di
pellegrini indù fu incendiato da musulmani,
causando la morte di oltre
70 persone, ha segnato l’inizio di una
serie di violenze inaudite, dovute
all’estremismo religioso. La reazione
degli induisti, a marzo, causò
oltre mille morti e decine di migliaia
di senza tetto.
Il capo del governo del Gujarat,
Narendra Modi, non è riuscito a
controllare la situazione. Anzi, la
stampa indiana (che mi pare libera
e critica) lo accusa pesantemente di
aver soffiato sul fuoco, cavalcando
la rabbia popolare e pretendendo di
indire le elezioni in un clima guastato
da tensioni. «Il signore che divide,
che fomenta l’odio tra i cittadini
». Queste ed altre espressioni si riferiscono
al discusso personaggio, la
cui foto occupa da mesi le prime pagine
dei giornali. La vita di Modi,
che abita con l’anziana madre in una
modesta casa nei dintorni di Ahmedhabad,
è sobria, monacale: un
forte contrasto con la veemenza con
cui ha portato il partito induista BJP
(Bharatiya Janata Party) al trionfo
nelle elezioni dello stato…
Lascio l’auto davanti alla statua
bianca del mahatma Gandhi, che a
Rajkot è vissuto da ragazzo, quando
suo padre era il primo ministro del
raja del Saurashtra. Attraverso i giardini
e infilo una stretta via, bordata
dalle bancarelle del mercato. I colori
e gli odori sono quelli tipici dell’India.
La meta è la casa di Gandhi, dove
sono esposte foto e oggetti appartenuti
al mahatma. Nell’elaborare la filosofia
della non violenza, egli certamente
fu influenzato dal giainismo,
la religione che nel Gujarat ha
comunità e centri importanti. Grazie
all’intraprendenza dei fedeli jaina,
infatti, il Gujarat è uno degli stati
più ricchi dell’India. Notevoli sono
le industrie tessili ed elettroniche.
La convivenza tra popoli di diversa
religione, lingua e cultura è una
caratteristica del subcontinente indiano.
Negli ultimi anni, però, si sono
acuite le tensioni tra le comunità
indù, che rappresentano la maggioranza,
e quelle islamiche e cristiane.
L’islam penetrò in India da queste
terre e anche i primi contatti con
l’occidente avvennero qui, in Gujarat.
Quando i britannici decisero di
aprire una base commerciale, scelsero
Surat, mentre i portoghesi
mantennero una colonia a Diu e Daman
fino al 1961.
La regione del Saurashtra, dove
mi trovo, è una penisola stretta tra il
golfo di Cambay a est e il Kutch a ovest,
una landa desertica confinante
con il Pakistan. Essa non fece mai
parte del Raj britannico, ma restò divisa
in piccoli principati fino all’indipendenza.
Oggi molti tra i raja e le maharani,
per mantenere i loro palazzi, hanno
aperto le porte ai visitatori, che possono così godere del fascino di dimore
storiche. Ora tutto pare tranquillo.
Però l’anno che si chiude è
stato traumatico per lo stato indiano
del Gujarat.
PELLEGRINAGGIO SUL MONTE
La città di Junagadh, a sudovest di
Rajkot, è dominata da un colle, circondato
da una fortezza. Scavate
nella roccia sono numerose le grotte
buddiste finemente scolpite. Dentro
le mura possenti sorge una moschea,
costruita con colonne e fregi
di un tempio indù. Il Gujarat ha subito
nei secoli numerose incursioni
islamiche e non è raro trovare questo
tipo di costruzione. Ma l’induismo
ha resistito, a dispetto di tante
devastazioni.
Salgo sulla terrazza, da dove si gode
un bel panorama sui monti vicini
che, domani, saranno meta di una
visita-pellegrinaggio.
Parto prima dell’alba. Quando arrivo
alla base del monte Giar, è ancora
buio, ma la folla preme. C’è un
via vai di portatori e pellegrini, sadu
e venditori. Affronto la ripida ascesa,
che in 3 mila gradini mi porterà
a uno dei più famosi e antichi complessi
templari del giainismo. Passano
le portantine con corpose signore,
pesanti sulle spalle di magri individui
scalzi.
Cerco di resistere alla fatica, ma
ecco che mi viene offerto un bastone
su cui appoggiarmi: Nitika Jain
ha 16 anni ed è curiosa di sapere
tutto di me. Mi segue fino in cima al
monte, parlando fitto e rivolgendomi
tante domande, orgogliosa del
suo buon inglese. «Vengo da Ujain,
dello stato del Madhya Pradesh – mi
spiega -, dove frequento la scuola
nel convento delle suore cattoliche,
la migliore della città. Studio inglese
e informatica». Poi mi presenta
la sua famiglia: i genitori, in abiti
bianchi di pellegrini, una sorella e
un fratellino di 5 anni. Bella gente,
ma nessuno parla inglese.
Il cielo si rischiara e noi affrontiamo
l’ultimo tratto di salita, che ci fa
superare uno strapiombo roccioso.
Quando arriviamo nel luogo sacro,
l’aria si sta riscaldando.
Visito diversi templi; il più grande,
del XII secolo, è dedicato al 22°
saggio (Tirthankara), rappresentato
da una statua in marmo nero, dagli
occhi inquietanti, lucidi, di madreperla.
I templi jaina sono luoghi sereni,
pieni di vita e, sovente, testimoni di
un’arte raffinata. Si trovano templi
giainisti in migliaia di villaggi indiani,
spesso affiancati da ostelli, scuole,
biblioteche, accessibili a pellegrini
di ogni credo.

L’ISOLA PER BERE ALCOOLICI
Dopo aver attraversato rade foreste
di alberi di tek e le brulle pianure
del Kathiawar, arrivo a Somnath,
in riva al Mare Arabico. Qui sorgeva
il tempio d’oro di Somraj, il dio
della luna, che secondo la leggenda
è stato riedificato in argento, poi in
legno e infine in pietra. La fama del
ricco tempio giunse anche al terribile
Mahamud Ghazni, che nel 1024
scese dal suo regno afghano per razziare
e distruggere il sacro edificio.
Oggi il tempio di Somnath è una
costruzione complessa, ma senz’anima,
essendo stato rifatto negli anni
’50. Il sito è spettacolare, alto sulla
vasta spiaggia, battuta da onde. I
frammenti di pietra dell’antica costruzione
sono stati raccolti e vengono
conservati in un piccolo tempio
indù, trasformato in museo. Nel
villaggio si notano uomini con il copricapo
islamico e donne avvolte da
un manto.
Proseguo lungo la costa del Mare
Arabico e arrivo a Diu, l’isola che fu
un’enclave portoghese fino a pochi
anni fa e ora dipende dal governo
centrale di Delhi. Le strade della cittadina
sono animate e gli alberghi
pieni di visitatori. Questo è l’unico
luogo, nel Gujarat, dove è possibile
bere alcornolici e oggi, ultimo giorno
dell’anno, i locali sono presi d’assalto.
Le chiese e il forte che domina
l’abitato sono magnifici, ma malinconici.
La grandiosa chiesa di san Paolo
(l’unica rimasta aperta al culto) è in
uno stato penoso di abbandono. Il
chiostro, ricco di piante, è circondato
da un porticato splendido dall’intonaco
azzurro. Salgo attraverso
l’ampia scalinata che porta al primo
piano, dove sono le aule di catechismo.
Cerco un sacerdote o un fedele
che mi possa guidare nella visita,
ma non incontro nessuno. Uscendo,
l’unica persona desiderosa di darmi
qualche notizia è la venditrice di bibite,
dal suo banchetto sul viale, che
mi parla in portoghese.
L’ultima notte del 2002 la trascorro
a Gir, nella foresta che protegge
gli ultimi esemplari del leone asiatico.
Nel lodge della riserva alcune famiglie
di Delhi si stanno preparando
alla festa di fine anno. Incontro
pure tre ragazze in pantaloni e camicetta:
Medha, Mayanka e Shivika.
Sono «modee» e mettono subito
in chiaro di non volere seguire la tradizione
del loro paese. Viaggiando
in India è un po’ difficile incontrare
donne vestite all’occidentale.
Le giovani parlano molto bene inglese
e ne sono orgogliose. Due di
loro frequentano scuole cattoliche,
anche se sono indù. Stasera staremo
insieme in giardino, intorno al fuoco,
per assistere allo spettacolo dei
danzatori rabari, uomini vestiti di
bianco secondo la tradizione della
regione, con i pantaloni stretti al
polpaccio e l’ampia giacca arricciata
davanti.

UN’INTELLETTUALE ISLAMICA
Seema è un’intellettuale islamica,
che mi parla apertamente del suo
paese e dei gravi problemi che lo affliggono.
«La laicità dello stato oggi
è in pericolo – mi avverte -. L’India è
una nazione giovane che, tuttavia,
dà forti segni di invecchiamento, vacillando
sotto il peso di una popolazione
che esplode, con una povertà
crescente e carenza di pensiero. La
corruzione è dilagante. Dal sistema
delle caste derivano violenza, rabbia,
frustrazione».
L’India diventò indipendente nel
1947, dopo la sanguinosa spartizione
voluta dal separatismo islamico.
Gandhi allora si oppose fortemente
alla divisione, fatta su basi religiose.
Oggi l’indipendenza è minacciata
dal fascismo indù. Lo stato pare incapace
di fronteggiare le forze determinate
a fomentare paura, violenza
e disordini sulle strade, in base
alle differenze religiose.
La religione riveste un ruolo importante
in India, che vanta un numero
di confessioni e sètte superiore
a qualsiasi altro paese. Induismo,
buddismo e giainismo sono nati qui.
Presente è anche lo zoroastrismo, una
delle fedi più antiche del mondo.
Seema spiega: «I padri della patria
vollero fondare uno stato laico
e democratico, mentre oggi il primo
ministro Vajpayee pare orientato a
sostituire la laicità dello stato con la
teoria indù dell’Hindutva, definendola
aperta e illuminata. Anche Jinnah
(fondatore del Pakistan) aveva
cercato di convincere l’allora opinione
pubblica di un islam moderato,
puro, riformista e progressista.
Invece ne vediamo le conseguenze
in Pakistan, uno stato basato sulla
religione. Dopo 50 anni, il paese è
stretto nella morsa dei fondamentalisti,
coinvolti profondamente nella politica e pronti a strappare il potere
ai militari e ai moderati».
«Oggi noi ci ritroviamo personaggi
come Modi (presidente del Gujarat),
che assomigliano a nuovi Hitler.
Anche il nostro presidente, con
i suoi pensieri vaghi e i ragionamenti
ambigui e indecisi può minare le
fondamenta su cui è stata costruita
la nazione indiana… Nel ’47 Jinnah
diceva che l’islam era in pericolo;
oggi lo si dice per l’induismo. Però
né l’islam, né l’induismo, né il cristianesimo
sono in pericolo. Queste
religioni hanno dimostrato di saper
superare le prove del tempo, sopravvivendo
a battaglie e guerre, fanatismi,
invasioni e purghe, mentre
le nazioni crollavano».
Oggigiorno l’India deve affrontare
un grave pericolo: quello di politici
avidi che usano la religione
per mettere i cittadini gli
uni contro gli altri e distruggere
una nazione
costruita con saggezza
e tenacia sulle sue pluralità
e diversità.

RICORDANDO SAN TOMMASO
Una dimora regale, circondata da
un grande parco, ai margini di una
città portuale disordinata e caotica.
Sono a Bhavnagar. Qui una maharani,
oltre ad aver trasformato il palazzo
in un albergo di grande fascino,
ha creato e mantiene all’interno
una scuola matea per bambine.
Stasera le piccole si esibiranno in una
danza tradizionale, nei loro sari
colorati.
Mi affretto ad uscire, diretta alla
chiesa di St. Xavier, a pochi isolati di
distanza, accanto alle prigioni di stato.
Il complesso include l’edificio
scolastico, e l’unica luce nella sera
proviene dagli uffici del parroco. Mi
accoglie una suora in sari. Padre Emanuel
è un giovane
carmelitano di 36
anni, originario
del Kerala, lo
stato indiano
con la
più alta percentuale di cattolici. «I
frati carmelitani di Maria Immacolata
rappresentano la congregazione
più numerosa nel paese; ma ho molti
confratelli che vivono a Roma per
ragioni di studio».
La comunità cattolica di Bhavnagar
si compone di 170 famiglie, provenienti
da diverse parti dell’India.
Gli uomini lavorano al porto, nell’industria
di smantellamento delle
vecchie navi. Un lavoro durissimo,
fatto con mezzi rudimentali.
Parliamo del Kerala, che visitai alcuni
anni fa. Accanto ad una chiesa
di rito latino, voluta dai missionari,
ne esistono altre due: quella siromalabarese,
fondata secondo la tradizione
da san Tommaso nel 52 d.
C., e la chiesa malangara, stabilita
dai portoghesi di Vasco da Gama
nel 1498. In quest’ultima si distinguono
due gruppi: i siro-ortodossi,
che sono circa 3 milioni e hanno un
catholicos in Kerala, e gli ortodossi
giacobiti, con un patriarca in India
e uno in Antiochia.
Nella città di Bhavnagar operano
cinque scuole cattoliche, perché l’educazione
è una priorità per la chiesa
indiana. Purtroppo le violenze
verso i cattolici sono in aumento: nel
sud del Gujarat si bruciano le chiese
e si terrorizza la gente (*). I soprusi
riguardano soprattutto i «tribali
», i «fuori casta» dei villaggi, fra
i quali operano i sacerdoti.
C’è chi è contrario allo sviluppo e
l’educazione. Pertanto i paria devono
rimanere ignoranti, per ragioni
politiche. Anche le elezioni sono
manipolate e, per farlo, occorre
che la popolazione
sia incapace di disceere.

(*) Secondo un progetto di legge del
26 marzo 2003, in India le conversioni
religiose sono molto ostacolate; anzi,
sono considerate un crimine se si
ricorre alla forza. Nello stato del Gujarat
una simile conversione è punibile
con tre anni di prigione e una multa di
2.100 euro.
Le gerarchie cattoliche, protestanti e
ortodosse hanno criticato il disegno di
legge. L’arcivescovo cattolico Stanislaus
Feandes, di Gandhinagar, teme
che sia uno strumento per spaventare
i cristiani nella testimonianza della loro
fede (ndr).

INDIA: 28 STATI E 7 TERRITORI
Con 1 miliardo e 40 milioni di abitanti,
è il paese più popoloso
del mondo dopo la Cina. Vasta pure
la superficie: 3.287.263 chilometri
quadrati
.
È una repubblica federale o «unione», con capitale New Delhi.
L’unione comprende 28 stati, ciascuno
dotato di assemblea legislativa
e governo propri, e 7 territori
amministrati dal governo centrale
di New Delhi. Il potere è gestito
dal partito nazionalista indù BJP
(Bharatiya Janata Party). Tuttavia
nel 2002 il partito del congresso,
all’opposizione, ha vinto le elezioni
nello stato dell’Uttar Pradesh,
che è cruciale per
il controllo dell’intera unione.
Sempre alta la tensione nello stato
del Kashmir, a causa dei separatisti
musulmani. Anche il Gujarat,
nel febbraio-marzo 2002, è
stato sconvolto da violenze:
oltre 700 i morti.

La religione del giainismo
ANCHE CON IL VELO SULLA BOCCA
La religione del giainismo fu fondata nel VI secolo a.C. da Vardhamana,
detto Mahavira. A 30 anni lasciò la famiglia e i piaceri di una vita
agiata, per dedicarsi alla meditazione e all’ascetismo sulle orme di
alcuni saggi che lo avevano preceduto, chiamati Tirthankara.
Come il buddismo (di cui è contemporaneo), anche il giainismo nacque
come un movimento riformista dell’induismo; ne rifiutava la divisione
in caste, per esempio. Retta fede, retta condotta (con i cinque comandamenti:
non nuocere, non mentire, non rubare, castità, povertà)
e retta conoscenza sono le basi del credo jaina.
Un altro elemento essenziale per la salvezza è il rispetto verso ogni
essere vivente: ecco perché i jaina sono vegetariani rigorosi; e alcuni arrivano
persino a coprirsi la bocca con un velo per evitare di inghiottire
inavvertitamente qualche insetto. Uno stile di vita tanto rigoroso è riservato,
però, alle comunità religiose: 10 mila asceti, di cui 6 mila donne.
Il saddhi (asceta) errante incarna il rispetto per la vita dei jaina:
non ha Dio, né maestri. Accetta le opinioni e i credi diversi, per evitare
ogni forma di violenza. Pulisce la terra davanti ai piedi, per non rischiare
di pestare ogni minimo essere vivente.
Questi principi consentirebbero ad ognuno di diventare un «vittorioso
», liberarsi del proprio io, conseguendo l’illuminazione e la purificazione.
I fedeli laici hanno regole meno severe per la castità e la proprietà,
ma non devono arricchirsi a dismisura.
Sanno che la ricchezza
è un’illusione, uno stato passeggero;
e, quando hanno raggiunto
il benessere, possono decidere
di distribuire le loro ricchezze,
creando fondazioni educative
e caritatevoli.
Il giainismo non ha mai preteso
la conversione di masse, ma
l’esempio dei suoi asceti pellegrini
ha saputo attirare nella comunità
aristocratici, ministri e
persone facoltose.
Oggi i jaina sono solo 3 milioni
e mezzo, ma rappresentano
una delle comunità più influenti
e dinamiche dell’India.
Proprio sul monte Giar opera
Masturbai Lal Bhai, fondatore di
uno dei primi 15 imperi industriali
indiani. Superati i 50 anni,
si è ritirato dagli affari per
dedicarsi ad opere di bene e alla
manutenzione del maestoso
complesso templare sul Giar.

Claudia Caramanti

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