Oro, diamanti e pietre preziose non mancano.
Ma dove finiscono i loro proventi?
A quanto ammontano?
Come vengono investiti?…
A dispetto delle ricchezze, la povertà penalizza
soprattutto i villaggi, dimenticati dallo stato.
Per risolvere i problemi, si fa strada una nuova strategia,
fondata sulla «concorrenza» degli stessi poveri.
L’apporto della chiesa è oggi più che mai necessario.
La chiesa cattolica deve puntare
su nuove strategie per aiutare
la popolazione a superare
la grave situazione economica del
Tanzania e valorizzare le ricchezze
del suolo.
Questa dichiarazione è stata fatta
da alcuni professori dell’università
di Dar es Salaam, insieme ad altri intellettuali,
nel Simposio internazionale
organizzato dalla Commissione
«Giustizia e pace» della Conferenza
episcopale del Tanzania.
Il Simposio, con lo slogan «Poveri,
salviamoci a vicenda!», ha approfondito
i problemi della povertà
e dello sgretolamento dell’associazionismo
che incombe sulla popolazione,
nonostante che il Tanzania
sia una nazione tranquilla, dove regna
la pace e con un’unica lingua, lo
swahili.
Il professore Haji Semboya ha dichiarato
che la chiesa ha vaste possibilità
di animare la gente, specialmente
i più poveri, affinché prenda
coscienza dei suoi diritti e delle sue
capacità di migliorare la situazione.
Il docente ha stimolato i vescovi cattolici,
con il cardinale Polycarp Pengo
in testa, a collaborare nell’educare
la popolazione, perché la chiesa è
parte del popolo del Tanzania. Il suo
apporto è oggi più urgente che in
qualsiasi altro periodo della storia.
Le difficoltà sociali non dipendono
dalla mancanza di risorse, ma dal
cattivo sistema economico: un sistema
ritenuto da tanti incapace di
produrre e distribuire beni alla maggioranza
dei cittadini.
A parere di Haji, in Tanzania abbondano
oro, diamanti, nonché la
pietra preziosa tanzanite, superando
molti altri paesi; però l’economia
dipende troppo dagli aiuti estei,
che comportano vincoli ed anche
«trappole» da parte di coloro che
concedono prestiti.
Nazioni come Botswana, Australia
e Sudafrica possiedono minerali
e operatori nel settore; però questi
paesi hanno accordi «societari» e,
perciò, i guadagni vengono ripartiti
fra tutti i soci, mentre il Tanzania incassa
solo tasse fiscali.
Haji ha sfidato i partecipanti all’incontro
con la seguente domanda:
«Chi conosce la quantità d’oro,
diamanti e tanzanite che ogni anno
si produce nel paese?». L’interrogativo
ha destato scompiglio, supposizioni
e dubbi. Ma nessuno ha saputo
dare risposte certe.
Un corrispondente del settimanale
cattolico Kiongozi,
giunto al Ministero delle miniere,
non è riuscito a contattare il
commissario ad hoc per conoscere il
quantitativo di minerali estratti in
Tanzania e quanto il paese si avvantaggi
dei giacimenti affidati a privati,
sia tanzaniani sia stranieri. Tuttavia
alcuni addetti dello stesso Ministero
hanno risposto che i dati sono
in elaborazione e che saranno notificati.
Ma finora non si è saputo nulla.
I delegati al Simposio hanno pure
denunciato che, negli accordi del
settore minerario, i cittadini non godono
di alcuna partecipazione e sono
tenuti all’oscuro di tutto.
Un impiegato del Ministero delle
miniere (non ha voluto rivelare il nome)
al giornalista di Kiongozi ha ricordato
che gli accordi sono segreti:
«Sai… tutti i contratti lo sono, ma
specialmente quelli in campo commerciale.
Nessuno vuole che la gente
conosca troppo da vicino l’ammontare
del suo capitale e l’andamento
del business!».
Damian Dalu, vescovo di Geita, a
chi gli ha chiesto informazioni sul
pagamento versato alle popolazioni
espropriate delle loro terre (ricche
di minerali) e trasferite altrove, ha risposto
laconicamente: «È uno scandalo.
Nessuno sa niente!». Ma l’affermazione
del vescovo contrasta
con quanto ha prospettato un direttore
distrettuale dello sviluppo, il
quale in un suo rapporto si è dimostrato
soddisfatto del risarcimento
pagato ai contadini e del progresso
realizzato dagli investitori nel distretto.
I partecipanti al Simposio hanno
aggiunto un’altra amara osservazione, e cioè: anche quando è evidente
che gli accordi penalizzano i cittadini,
non si fa nulla per modificare
la situazione, perché i contratti
firmati sono considerati «parola sacrosanta
di Dio».
Il professore Mkandala, dell’università
di Dar es Salaam, ha ricordato
che molte direttive sui
piani di sviluppo nazionale vengono
prese dal governo centrale; la loro
applicazione dovrebbe riguardare i
villaggi, ma in loco non si arriva mai.
Il docente ritiene che ai tanzaniani
non serve un’economia retta dalle
leggi del mercato neoliberista, poiché
non hanno strumenti per parteciparvi.
Rispetto al potere centrale, la chiesa
è in una posizione migliore, perché,
data la sua organizzazione decentrata
(diocesi, parrocchie, cappelle),
raggiunge anche i gruppi più
piccoli, sparsi nei villaggi. Mkandala
ha concluso: «Nel distretto è all’opera
un ottimo servizio scolastico;
esistono buone direttive e validi
strumenti per l’uso e il risparmio di
denaro (banche). Nello stesso tempo
nel distretto vivono migliaia di
coltivatori, sparpagliati in numerosi
villaggi: sono questi che devono essere
aiutati ad entrare nei programmi
economici del libero mercato. In
Tanzania la spina dorsale dell’economia
resta l’agricoltura».
Al termine del Simposio internazionale,
che ha visto personaggi di
Tanzania, Uganda, Kenya, Botswana,
Eritrea, Regno Unito, Germania,
Belgio e Olanda, i delegati hanno elaborato
alcune proposte da presentarsi
al presidente del Tanzania,
Benjamin William Mkapa.
Le proposte evidenziano soprattutto
un dato: gli sforzi per superare
la povertà non saranno mai efficaci
se gli stessi poveri, che vivono
nei villaggi e nei quartieri periferici,
non saranno fatti partecipi delle decisioni
generali che riguardano la loro
vita.
Nel consegnare le proposte al
presidente della repubblica
Mkapa, il professore Beda
Mutagahywa ha dichiarato: «Ecco le
conclusioni salienti, elaborate insieme,
sui problemi e modi di combattere
la povertà. In questo paese c’è
bisogno estremo di progetti pubblici
e di servizi sociali: servizi a favore
della popolazione, rivolti con maggiore
precisione e determinazione
soprattutto alla massa dei diseredati:
donne, bambini, giovani e anziani;
handicappati, carcerati, prigionieri
in attesa di giudizio, persone
vittime di credenze antiquate».
Si è pure ribadita la necessità di
rinnovare gli strumenti di potere, di
valutare la loro efficienza nei vari distretti
per renderli più efficaci, di
accertare che i progetti di sviluppo,
destinati al popolo, siano concretamente
realizzati.
Chiudendo il Simposio, il presidente
Mkapa ha affermato che i tanzaniani
dovranno lavorare con maggiore
energia, perché il lavoro è il
primo mezzo per vincere la povertà.
Ha aggiunto che i bisogni hanno
tante facce e voci; ecco perché è necessario
l’apporto di tutti: dal governo
ai singoli, dagli apparati pubblici
alle organizzazioni non governative.
Il fatto che i poveri aiutino se
stessi non è solo un’alternativa per
rispondere ai bisogni, ma anche una
chiamata rivolta a tutti per lavorare,
per avere nuove idee dalla base e cogliere
«l’assoluto della vita».
È certo determinante chi entra
nella guerra contro la povertà; ma lo
è anche il modo, giorno dopo giorno.
«Nel caso in cui un bisognoso ne
aiuti un altro, entrambi dovranno
sostenersi a vicenda nel cercare i
mezzi per superare la povertà, non
per condividerla… dipendendo
passivamente uno
dall’altro».
(*) Missionario della Consolata
in Tanzania per molti anni,
padre Giovanni Medri si è avvalso
di un «reportage» di Kiongozi
(23/29 novembre 2002),
settimanale cattolico nazionale
in lingua swahili.
PARTENDO DAL BASSO
Le proposte del Simposio
al presidente della repubblica Benjamin W. Mkapa
SIGNOR PRESIDENTE,
grazie di averci onorati della sua presenza
per raccogliere i frutti del nostro
Simposio. Lo scopo è stato la ricerca
di soluzioni e programmi per
aiutare i poveri.
Le seguenti proposte sono della Commissione
«Giustizia e pace» dei vescovi
cattolici del Tanzania e dei partecipanti
al Simposio, provenienti da
varie fedi del nostro paese e di altri
paesi dell’Africa e dell’Europa.
Ci piace ricordare che tutti hanno offerto
il loro contributo gratuitamente,
pagandosi anche il viaggio.
1. LA BASE PER LO SVILUPPO
È importantissimo tener presente che
la base di ogni sviluppo è l’uomo. Di
conseguenza tutte le iniziative per
sconfiggere la povertà devono partire
dalla persona, nella sua dignità, e
abbracciare l’intera umanità. Ciò significa:
accettare tutte le cose che
sono a vantaggio delle persone, di
tutti noi. È necessario accettare con
entusiasmo la cooperazione sociale.
Inoltre è necessario riconoscere che i
beni della terra, la nostra vita stessa
e le nostre diverse capacità sono dono
di Dio.
Noi, appartenenti a religioni diverse,
viviamo a contatto con il popolo e,
perciò, ne conosciamo i bisogni e anche
le soluzioni idonee al progresso.
È di grande importanza rinnovare le
strategie di sviluppo partendo dal
basso, per unire le strategie dall’alto.
È vitale irrobustire gli sforzi che si
compiono nei villaggi: è questa l’azione
dal basso.
Vi sono segni che fanno pensare ad uno
sgretolamento della cooperazione
sociale. Tali segni ci preoccupano. Allora
riteniamo di dover offrire la nostra
opera per l’unità del paese, operando
con i diseredati.
2. I SERVIZI ALLA SOCIETÀ
Molti servizi sociali arrivano fino al
gradino del distretto, ma non a quello
del villaggio. Bisogna rivedere gli
strumenti di governo, per accertare se
i progetti di sviluppo, a partire dall’alto,
giungano alla base. Occorre che
le direttive dei pubblici poteri siano
efficaci e siano controllate nei villaggi
dagli abitanti interessati.
In generale abbiamo scoperto che c’è
un vuoto tra distretti e villaggi. Tale
vuoto deve essere colmato, affinché
la popolazione abbia maggiori vantaggi
dai programmi messi in campo
dal governo. Siamo pronti a lavorare
per colmare il vuoto.
Sappiamo che la cooperazione dei cittadini,
a livello di base, non è facile,
poiché tocca campi diversi. Noi siamo
disponibili a cornoperare con il governo
per cercare i migliori metodi.
3. L’ISTRUZIONE
È necessario rivedere il nostro sistema
educativo e la sua efficienza, per
accertare se coloro che terminano le
scuole sono preparati all’azione e ad
incrementarla. L’educazione all’indipendenza,
associata alla creatività e
responsabilità personale verso la società,
deve essere fortemente inculcata.
Nei villaggi si insista su un insegnamento
diligente, favorendo le
scuole artigianali e le nuove tecnologie.
Noi continueremo a cornoperare per una migliore istruzione, per la formazione
artigianale e di nuove tecniche.
4. IL CAMBIAMENTO MENTALE
È penoso scorgere nei villaggi «una
mentalità di dipendenza» nelle opere
di sviluppo, come pure fra i leaders locali.
Dall’esterno, non si apprezzano
le risorse che i poveri possono offrire.
Mancano di partecipazione.
In tale situazione gli sforzi per cambiare
devono essere fatti con la partecipazione
del governo, delle associazioni
religiose e degli stessi abitanti.
È doveroso ricordare che un
posto di responsabilità non è un luogo
per arricchirsi.
5. LE RISORSE NATURALI
L’impiego delle risorse naturali e la loro
privatizzazione riguardano l’intera
nazione. I cittadini hanno diritto di
conoscere come vengono usati i beni.
Perciò è molto importante far conoscere
ai cittadini i progetti di sviluppo,
per associarli in modo più consapevole.
La compartecipazione e una
migliore chiarezza faranno diminuire
i conflitti nella società.
6. VALUTARE IL LIBERO MERCATO
È urgente che il governo valuti i risultati
del sistema del libero mercato,
specialmente tra i poveri. In ogni ambito
si verifichi, il più possibile, se sono
rispettati i diritti fondamentali dei
lavoratori. Il mercato libero, se non è
ben controllato dal governo, finisce
per opprimere maggiormente i bisognosi.
Essi vanno protetti con trasparenza.
7. I PIÙ VULNERABILI
Urgono servizi nazionali e locali, come
pure inteazionali, che vengano
incontro con maggiore attenzione alle
categorie più vulnerabili nella società:
donne, bambini, giovani, vecchi;
e inoltre: portatori di handicap,
quelli in custodia preventiva e in carcere,
quelli legati a credenze e abitudini
ancestrali.
È necessario costruire la società di
tutti, senza esclusioni. I disabili ricevano
i servizi necessari e siano inseriti
nella società, nella scuola e nel
lavoro senza discriminazioni. I diritti
dei detenuti siano rispettati, come
quelli di tutti.
8. I RIFUGIATI
La presenza di molti rifugiati in Tanzania
non solo mette in pericolo la sicurezza
del nostro popolo, ma interferisce
nello sviluppo delle regioni di
confine, dove chi è già povero deve
portare anche il peso di altri poveri.
La comunità internazionale cerchi le
strategie per porre fine ai conflitti
nella regione dei Grandi Laghi, come
ha fatto per Timor Est e Bosnia.
9. I MALATI DI AIDS
Ci si impegni di più per indurre la popolazione
a combattere l’Aids, anche
nei villaggi. Ci si preoccupi dei colpiti
da Hiv, che possono contagiare altri
a causa anche di credenze distorte
e abitudini antiche.
Siano protetti dal governo e dalla società.
Noi ci uniremo maggiormente
all’autorità pubblica per scongiurare
questi mali fra la nostra gente.
SIGNOR PRESIDENTE,
nel Simposio abbiamo capito che l’azione,
partendo dal basso della società,
ci aiuterà ad eliminare la povertà
molto più in fretta rispetto al
passato. La chiesa cattolica e le altre
comunità religiose sono pronte a collaborare
ancora di più col governo.
Invitiamo l’esecutivo ad essere più disponibile
per accordarsi con tutti per
il bene del popolo, specialmente nei
villaggi dove i leaders religiosi sono
più vicini alla gente e godono di familiarità.
mons. Paul Ruzoka,
vescovo di Kigoma e presidente
della Commissione «Giustizia e pace»
prof. Beda Mutagahywa,
animatore dei gruppi
di discussione del Simposio
Giovanni Medri