Storie di barboni e volontari

BARTOLOMEO NON HA LE CHIAVI

ERA UNA SERA D’INVERNO
Alcolisti, malati di mente, ex-carcerati, malati di Aids e da qualche anno anche tossici e immigrati. Il mondo dei «senzafissadimora», meglio conosciuti come «barboni», è sempre più popolato. E sempre più difficile da gestire.

QUANDO ESMERALDA URLAVA
Sul finire degli anni ’70 appartenevo
a una parrocchia che gestiva
una mensa in cui andavano a mangiare
i poveri. Lì mi occupavo di anziani
e malati. Un giorno, andando
in Fiat (dove lavoravo come operatore
sociale), mi imbattei in una
donna. Era sporca, vestita malamente,
scalza, scarmigliata e urlante.
E la gente, vedendola, scappava.
Quello che più mi colpì non era
tanto lo stato della donna, ma proprio
il vedere che la gente scappava.
E allora, mi chiesi, dovrei scappare
anch’io? Mi avvicinai sorridendole.
Lei smise di gridare. Disse di
chiamarsi Esmeralda. Le domandai
perché gridasse e lei mi rispose in
piemontese: «Grido al mondo la
mia disperazione». L’accompagnai
in un bar a mangiare qualcosa e mi
raccontò la sua storia di donna dimessa
da un ospedale psichiatrico.
Poi, assieme, facemmo uno strano
itinerario: dalla stazione di Porta
Nuova alla mensa del Cottolengo,
dove incontrammo tante persone
come Esmeralda.

BARTOLOMEO
AVEVA 54 ANNI

L’associazione «Bartolomeo &
C.» è nata 23 anni fa, precisamente
in una notte d’inverno del 1980. Andavamo
in giro a fare la ronda, cioè
a cercare i nostri amici barboni e
perché non gelassero portavamo loro
panini, coperte e roba calda.
Quella sera non trovammo Bartolomeo
al suo solito posto, nella
stazione di via Fiocchetto. Così cominciammo
a cercarlo, fino a che
arrivammo nel centro storico di Torino
in via Conte Verde, vicino al
Duomo, dove sorgeva una casa diroccata
nella quale Bartolomeo
qualche volta si rifugiava.
A un certo punto inciampai in un
mucchio di cartoni e nylon e, mentre
cercavo di rialzarmi, vidi spuntare
un piede. Allora chiamai i ragazzi,
togliemmo i cartoni e sotto
trovammo il cadavere assiderato di
Bartolomeo. Bartolomeo aveva 54
anni. Noi che non avevamo ancora
scelto un nome per il nostro gruppo,
quella notte decidemmo di chiamarci
«Bartolomeo & Compagni».
Quell’evento fece definitivamente
maturare in noi la scelta di continuare
a cercare queste persone
chiamate popolarmente «barboni»,
aiutandoli in primis conquistando
la loro fiducia e poi elaborando dei
programmi per loro. Ad esempio la
reiscrizione anagrafica, in modo tale
che potessero riacquistare un’identità,
visto che molti di loro erano
stati «cancellati» dall’anagrafe e
vivevano nel totale anonimato.
Chiedemmo alla polizia ferroviaria
il permesso di transitare in stazione,
per contattare la gente che di
lì transita. Aprimmo un ufficio all’interno
della stazione centrale, poi
affittammo alcune stanze, dove collocammo
i malati di mente e successivamente
i malati di Aids.
All’epoca a Torino i dormitori
erano molto pochi, alcuni in situazioni
davvero allucinanti. La città
allora non garantiva quasi niente e
quindi cominciammo a rompere le
scatole al sindaco del tempo, Diego
Novelli, che si rivelò sensibile a
queste problematiche, tanto che mi
chiamò ad andare a lavorare all’ufficio
per i «senzafissadimora», nato
nel 1981. Poi venne aperta la casa
di accoglienza di via Marsigli a cui
fecero seguito tanti altri interventi
sul territorio.

L’AUMENTO
DEI «NUOVI POVERI»

Nel 2001 alla porta della Bartolomeo
& C. hanno bussato 220 nuovi
casi. La stragrande parte sono
maschi (90,53%), l’85,26% disoccupati,
il 3,16% occupati e l’11,58
pensionati. Sono malati di mente,
malati di Aids, immigrati, alcolisti,
ex-carcerati, qualche transessuale.
Il 52,41% sono single, circa il 30%
divorziati o separati, ma il 10% è
sposato. Gli analfabeti sono solo
l’11%, mentre il 45% ha fatto la
scuola media e il 15,26% le superiori.
Sotto il profilo dell’età prevale
la fascia che va dai 30 ai 60 anni
(circa il 60%) ma stanno crescendo
i giovanissimi e gli anziani.
Soprattutto i nuovi poveri hanno
poco a che vedere con i barboni tradizionali.
Il panorama è molto cambiato.
Il barbone tradizionale, il
classico «clochard», è quello che dà
meno problemi, ma sono rimasti
davvero in pochi. In questi ultimi
anni ci troviamo di fronte a persone
molto più giovani e sempre più
«sballate» psicologicamente. Tossici
molto più cattivi, arrabbiati; gente
carente di valori, che ammazza
per un nonnulla. Assistiamo all’aumento
dei sieropositivi, dei tossicodipendenti,
di quelli che abusano di
droga e alcornol.
Troviamo residui di vecchia immigrazione
meridionale che si associano
agli extracomunitari, delinquono
insieme, danno vita a
clan. I vecchi barboni vivono sempre
peggio, spiazzati dai nuovi poveri,
che magari rubano loro il sacco
a pelo e le scarpe. La caratteristica
di questa nuova povertà è
proprio l’assoluta mancanza di valori:
vogliono tutto subito.
C’è gente davvero difficile, magari
con più problemi: buca, batte
e beve. Poi c’è il problema dei malati
sieropositivi e quelli in Aids
conclamato. Casi cronici in cui la
prevenzione non serve più ed è
molto difficile fare capire loro la
necessità di seguire una serie di
norme.

PRECIPITARE
NELLA POVERTÀ

Abbiamo persone che vivono da
barbone ma senza esserlo, persone
che provengono da famiglie disgregate;
e poi immigrati. Decine e
decine di casi di persone normali
precipitate nella povertà. Le cause
sono molteplici, spesso disgregazione
familiare. Gente di buona famiglia,
che però in famiglia non si
ritrova più.
Abbiamo incontrato un ragazzo
di 16 anni che diceva di non sentirsi
giovane: «A casa nessuno mi parla,
nessuno mi vede e nessuno mi
ascolta». Il padre sempre in giro
per lavoro, la madre pure lei assente,
impegnatissima tra bingo, canasta
e amiche. E lui che fa? Non sta
in casa, è pieno di problemi, i genitori
gli danno tanti soldi, ma non sa
come usarli e così viene da noi ad
elemosinare la merenda per poter
parlare.
C’è un signore di mezza età, che
faceva l’agente di scorta a un importante
uomo politico, poi un
giorno molla tutto, lavoro e famiglia,
per approdare a Torino a fare
il barbone. Ora è stato recuperato,
è diventato un operatore della Bartolomeo
& C.. Fa le commissioni e
aiuta me e i volontari.
Esistono anche i poveri da usura.
C’è una donna di sessant’anni, che
faceva la manager e aveva parecchi
attici. Poi l’usura l’ha devastata fino
a condurla sul lastrico. L’esaurimento,
l’insorgere di problemi
mentali, il baratro. Oggi è riuscita
ad avere una casa popolare. Si è rimessa
in quadro, ma vive sempre
con il terrore di rincontrare i suoi
ricattatori. Ci siamo sempre occupati
non solo di assistenza, ma di
promozione. I risultati li abbiamo
avuti grazie a interventi efficaci che
hanno permesso a queste persone
di ristabilirsi psicologicamente e
che adesso ci aiutano a lavorare con
gli altri.
Noi pratichiamo la filosofia del
«dare la canna da pesca e non il pesce». Ai nostri assistiti offriamo dei
lavoretti e, quando hanno qualche
soldo, li accompagniamo in banca
per aprire un conto, imparare a gestirsi,
non spendere più di quello
che hanno, ecc… Hanno bisogno di
essere supportati e seguiti. Hanno
difficoltà ad alzarsi al mattino, a rispettare
i tempi. Ma se una persona
ha problemi di mente, non può
stare nei tempi perché è fuori del
tempo.
Quando vediamo che una persona
ha delle potenzialità, allora la
collochiamo nelle case e, quando
sono in grado di gestirsi da soli, allora
li aiutiamo ad ottenere una casa
popolare, il lavoro se si può, in
modo tale da conquistare una certa
autonomia.

QUEL CADAVERE
NELLA CELLA FRIGORIFERA

Alla vigilia di Natale del 2001 fui
chiamata dall’ispettore di un commissariato
di zona, perché avevano
in frigo una persona da 12 giorni e
non sapevano chi fosse. Così andai
alle celle mortuarie dell’ospedale
delle Molinette.
Aveva 35-40 anni. Lo avevano
trovato morto d’infarto davanti al
supermarket delle Molinette e ancora
non erano riusciti a dargli un’identità.
Colpisce vedere che in una
città pullulante di fermenti positivi,
si possa morire nell’anonimato. C’è
gente che se ne va, in silenzio. Sono
tutti «caduti» sul fronte della nostra
indifferenza.
A Torino ci vuole una casa di
pronta accoglienza, aperta 24 ore su
24, gestita dal Comune e dai volontari
insieme. Un luogo che possa essere
un punto di riferimento per
tutti quelli che di giorno e di notte,
se hanno freddo, possano stare lì a
giocare a carte, a farsi la barba, ad
usufruire di una certa rete di servizi.
Questo posto oggi non esiste.
Le persone continuano a girare da
un dormitorio all’altro. C’è gente
che non ha un luogo dove andare
per cambiarsi e lavarsi. Uno dei nostri
va a stendersi le mutande nel reparto
dialisi dell’ospedale Mauriziano!
E poi non c’è continuità sui
casi.
Se una persona viene accolta dal
Comune o dai servizi per l’emergenza
freddo, dopo tre mesi questa
va fuori e più nessuno la segue. Se
non è in grado di pagarsi una pensione
per dormire o se non è in grado
di comprarsi da mangiare, come
fa? L’intervento oggi non è adeguato
ai bisogni delle persone.

DALLA PARTE
DEGLI «ULTIMI»

A queste persone manca la casa e
il lavoro, ma anche tutta una vita
di relazione: non sanno come vivere
il tempo «libero» e, quando sono
in crisi di identità più profonda,
mancano dei referenti che siano in
grado di gestire questi momenti,
aiutandoli ad avere ancora voglia
di vivere, curarsi, riacquistare
un’autonomia. Troppe volte queste
persone non trovano risposte.
Ogni giorno alla «Bartolomeo &
C.» arrivano persone che ci interpellano
come pugni sullo stomaco.
Penso allora a tutti coloro che riempiono
le sedi dei partiti, delle chiese,
delle associazioni e mi chiedo come
mai così tanti tra loro sono prigionieri
di chiusure mentali e
pregiudizi. Penso a quanto disagio
in meno ci potrebbe
essere, se ci fosse meno
burocrazia nell’applicazione
delle leggi.
Oggi si parla molto di
qualità della vita, ma attorno
a noi si respira
ancora troppa intolleranza
verso i problemi
degli «ultimi». Non è
solo colpa dello stato.
Ogni cittadino dovrebbe
avere il coraggio di
guardare in faccia la realtà,
perché tutti siamo in colpa
se il disagio aumenta. E come
aumenta!

NON RIMANERE
SPETTATORI

Non bastano le scelte politiche,
sociali, culturali, se
non c’è la scelta e una risposta
dentro noi stessi.
Non fare da spettatori, ma
chiedersi cosa stiamo facendo
concretamente per gli altri. Il
nostro è un tentativo quotidiano
fatto di limiti, ma anche di
atti concreti di condivisione.
Che cosa ha fatto Cristo per
gli emarginati? Cristo nasce
da emarginato, le prime persone
che incontra sono i pastori,
non i re. Chiude la sua
vita tra i ladroni.
Noi che lo vogliamo seguire
dobbiamo vederlo e scoprirlo
negli altri. Signore, quando ti
abbiamo visto? Tu eri nell’alcolista,
nel malato di mente,
in quell’amico che si buca…
Se il nostro fratello non ce
la fa da solo a portare la
croce, noi abbiamo il dovere
di aiutarlo.
È ora di smetterla di essere
spettatori. Occorre
diventare protagonisti attraverso
il nostro impegno
concreto e quotidiano.

UN RIPARO, UNA PANCHINA, UN BICCHIERE DI VINO
di Enrica, volontaria della «Bartolomeo & C.»
Al mattino Bartolomeo viene svegliato da svariati
fattori: la voce di un passante, la pioggia
che s’insinua tra le sue coperte, un clacson di
un’auto, l’abbaiare di un cane. Per lui le operazioni
del risveglio sono velocissime. È sufficiente alzarsi
in piedi e sistemare le proprie cose, preparandosi
a… spostarsi.
Bartolomeo difficilmente ha un luogo di lavoro da
raggiungere, raramente delle occasioni fisse d’incontro
con altri. Bartolomeo non ha bisogno di portare
un orologio al polso.
La sua giornata ha come sole tappe costanti i pasti.
Bartolomeo sa che, per poter fare colazione, può
recarsi dalle suore o in altro luogo ove viene somministrata
tra le 8 e le 9. Per avere un piatto di pasta
bisogna andare invece in corso «buonappetito»
tra le 12 e le 13, mentre la tazza di latte serale viene
servita in via «buonanotte» dalle 19 alle 20.30.
Se ha fame, si recherà in quei posti a quelle ore. Se
non ci andrà nessuno se la prenderà con lui.
Durante il resto della giornata Bartolomeo vaga
per la città. Gli incontri con i compagni di strada
sono solitamente casuali. Bartolomeo si reca ai
giardini, perché sa che lì può trovare
il suo amico e bere insieme un bicchiere
di vino di poco costo, comprato
nel supermercato. Se non c’è
da bere, forse potranno fumarsi una
sigaretta. Tuttavia, se quel giorno
Bartolomeo non andrà ai giardini,
nessuno lo cercherà né si preoccuperà.
Nel suo girovagare egli può trovare
un quotidiano abbandonato su una
panchina e trascorre un po’ di tempo
nella lettura. Se è fortunato, può
commentare le vicende politiche
con un’altra persona, appena conosciuta
su quella stessa panchina.
Qualche volta, se ha contatti con i
servizi sociali, Bartolomeo va dall’assistente
sociale. Nella sua mente
le cose pratiche occupano uno
spazio piccolissimo. Tutto il resto è
lasciato… a che cosa? Proviamo ad
immaginare. Bartolomeo osserva le
cose che capitano: la lite tra due
persone, l’incidente stradale. Dentro
di sé le commenta.
Bartolomeo ricorda il suo passato,
forse ha trascorso anni diversi, nei
quali la sua giornata era simile a
quella di una persona «normale»,
con una casa e un lavoro. Forse li
rimpiange, forse no.
Bartolomeo presta una grande attenzione
al cielo, ai mutamenti meternorologici.
Per lui è importante che
non piova.
Èsera ormai. Bartolomeo stende
le sue coperte in un luogo riparato.
Se fa molto freddo deve bere
del vino, forse molto vino, altrimenti
per lui è impossibile prendere
sonno. Riesce a crearsi un suo
spazio, con le sue cose tutte ammassate
attorno a lui e alla fine …
si addormenta.

Lia Varesio