«Quello»… non si tocca!

Egregio direttore,
mi riferisco all’editoriale,
«Tre domande» (Missioni
Consolata, marzo 2003).
Il vangelo di Giovanni
presenta un Dio che si incarna
per amore dell’uomo.
Nei sinottici questo
concetto non sembra contraddetto.
Non appare evidente,
cioè, la diversa
impostazione dei vangeli
espressa nell’editoriale e
che, se ben considerata,
conduce a due concezioni
antitetiche, delle quali
quella privilegiata dall’editoriale
porta ad una
conclusione inquietante.
Secondo l’articolista, infatti,
la seconda persona
della Santissima Trinità
non si identifica con il Gesù
di Nazaret, perché questi
sarebbe entrato a far
parte di essa secondariamente,
per assunzione
(innalzamento da uomo a
Dio), e non sarebbe stato
sempre coevo con le altre
due persone della Trinità.
Qui compare una contraddizione,
perché, dicendo
che confondiamo la
preesistenza del Verbo
con quella di Gesù, dissociamo
Gesù dalla seconda
persona della Trinità e,
ammettendo che Gesù di
Nazaret è entrato in seguito
nella Trinità, sembra
che ne aumentiamo il numero
delle persone.
Nell’incarnazione non è
l’uomo Gesù che è entrato
in Dio e ha cambiato il
volto di Dio. L’uomo, imperfetto,
non può cambiare
Dio, perfetto. È Dio
che cambia l’uomo, perché
si abbassa a lui per amore,
entrando nella storia
e innalzandolo a Sé col
farlo Suo figlio.
Facciamo attenzione a
non cedere all’antica tentazione
di rovesciare i
concetti, assolutizzando la
vita terrena rispetto a
quella celeste e lasciando
riaffacciarsi un materialismo
che, cacciato dalla
porta, sembra rientrare
dalla finestra.
Se non ho ben capito,
mi si potrà correggere.

Dante Alighieri, al termine
de La Divina Commedia,
immerso nei misteri
dell’incarnazione
del Verbo e della Trinità,
esclama: «All’alta fantasia
[quella del grande
poeta] qui mancò possa»
(Paradiso, XXXIII, 142).
E noi che dovremmo
dire? I misteri della fede
non si toccano. E, certamente,
la vita terrena non
è un assoluto.

Luciano Montanari

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