GESÙ E LA SPADA, I SANTI E LA GUERRA…

Nel vangelo c’è proprio tutto?
Caro signor Giancarlo, grazie della lettera comparsa su
Missioni Consolata. Finalmente un discorso educato,
che si fa carico delle obiezioni di chi scrive e che, soprattutto,
non fa ricorso all’ironia che sovente maschera
malamente un complesso di superiorità, per nulla confacente
a chi, oltre tutto, si definisce cristiano.
Ciò detto, ragiono su alcune tue osservazioni che mi
lasciano perplesso. Affermi: «Non mi risulta che nel vangelo
esista una parola a legittimazione di uccisioni a scopo
di difesa». Hai ragione, ma ti domando: «Sei sicuro che
tutto quello in cui crediamo sia chiaramente affermato nei
vangeli o nel Nuovo Testamento? Citare i dogmi di cui nel
tempo, con l’aiuto dello Spirito, ci siamo arricchiti, mi
sembra sin troppo facile. Ti parlo allora dei sacramenti».
Il battesimo e l’eucaristia sono documentati (ma per la
seconda non tutti i cristiani concordano); la confessione
è oggetto di profonda discussione; e gli altri sacramenti?
Non proseguo. Il mio scopo è solo farti riflettere sulla tua
affermazione. Forse con più ragione mi sento di affermare
(e credo tu sia d’accordo con me) che ciò che è
espressamente vietato nel Nuovo Testamento è certamente
male (ma anche qui con dei «distinguo»).
Ti propongo un ulteriore passo, molto emblematico:
tutte le volte che Gesù incontra dei soldati non dice loro
di buttare la spada alle ortiche, ma di fare con onestà il loro
mestiere, che (a scanso di equivoci) è quello di difendere
la comunità (allora erano le popolazioni dell’impero)
con la spada, cioè anche uccidendo.
Parliamo, se lo desideri, delle beatitudini: beati i pacifici
(o «operatori di pace»). Certo il cristiano è operatore
pacifico, ma: le beatitudini sono riferite al singolo individuo;
si può essere operatore di pace pur combattendo
(pensa ai santi militari, per i quali la spada non è stata d’intralcio
alla santificazione).
Consentimi anche un discorso antropologico. Secondo
la tesi da te sostenuta, l’uomo o una società non hanno
mai la possibilità di difendersi se ciò comporta la possibilità
o la certezza di uccidere; pertanto:
– sono moralmente colpevoli i carabinieri che sparano, anche
se contro omicidi o mafiosi e per legittima difesa; – non
sono in sintonia con Cristo coloro che combatterono le
battaglie di Poitier, Lepanto e Vienna, che salvarono la nostra
civiltà e, a mio giudizio, lo stesso cristianesimo;
– fu ingiusta e illegittima la guerra contro il nazismo.
Credo che ci sia sufficiente materiale per meditare sulla
«consistenza» del pacifismo (lo definisco così per distinguerlo
dalla realtà di pace che il vangelo ci chiede di
costruire).
L’ultimo punto: i comunisti che votano contro la guerra
sono motivo di gioia. Consentimi la battuta: hanno sempre
votato contro le guerre, anche durante gli anni del più
oscuro stalinismo, poiché le guerre per loro erano sempre
e solo scatenate dalla insaziabile ingordigia dei biechi
capitalisti, affamatori dei popoli rappresentati da quella
sentina di tutti i vizi che sono gli USA (a proposito: mi
sembra che questi discorsi siano tutt’altro che superati).
È vero: una prostituta guiderà lo stuolo delle vergini, e
il pastore lascerà le pecore fedeli per cercare quella perduta;
ma la prima si è pentita e le pecore fedeli sono difese
da un recinto costruito dal pastore.
Possiamo dire lo stesso dei «fratelli comunisti»?
Proprio quelli (che sono per te motivo di gioia) non hanno
avuto una parola di rimpianto per le moltitudini trucidate
dalla ideologia (sicumera, stupidità, satanismo?) che
ancora professano; le loro mani (le stesse di alcuni che votano
contro la guerra) sono ancora rosse per gli applausi
rivolti al «grande padre Stalin», a Mao, a Pol Pot dopo essere
andati, magari anche a nostre spese, a constatare de
visu i «paradisi» che i suddetti avevano creato.
Tutto ciò ha nulla a che fare con la solidarietà, la giustizia
e la pace; il perdono è la nostra caratteristica, ma
prima del perdono c’è la giustizia. Dobbiamo fare festa
per i peccatori che si convertono, non per quelli che violentano
la verità (non è forse questa la prerogativa della
«Bestia»?).

San Francesco ministro degli esteri?
Caro signor Musso, la tua lettera mi ha lasciato una
sensazione di tristezza: mi è apparsa lontana dallo
spirito di speranza, ma anche di severo ammonimento
che riconosco nelle pagine del vangelo.
Ho riletto i quattro vangeli, per vedere se contengono
qualche sostegno a taluna delle gravi obiezioni da te avanzate.
Non vi ho trovato nulla, ad eccezione di un passo (Lc
22, 35-38). Francamente, mi sembra che la parola di Dio
dovrebbe essere letta più con il cuore che con l’intelletto,
colta nel suo insieme profondo piuttosto che analizzata con
l’atteggiamento del giurista, puntualizzando sui termini e sulle
virgole.
Per introdurci a ciò che, secondo il mio cuore, è lo spirito
del vangelo, nulla mi sembra più adatto di due preghiere.
In una si dice: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li
rimettiamo ai nostri debitori»; nell’altra: «Porta in cielo tutte
le anime, specialmente le più bisognose della Tua misericordia
». Altrove ci sono stati impartiti questi ammonimenti:
«Così anche il mio Padre celeste farà
a ciascuno di voi, se non perdonerete
di cuore al vostro fratello» (Mt
18, 35)… «non giudicate per non essere
giudicati, perché col giudizio
con cui giudicate sarete giudicati e
con la misura con la quale misurate
sarete misurati» (Gv 7, 1-2)… «chi di
voi è senza peccato, scagli per primo
la pietra contro di lei» (Gv 8,7).
Non pare anche a te, signor
Antonino, che lo spirito del messaggio
di Cristo sia proprio quello
del perdono, accanto a quello del fiducioso abbandono in
Lui? «Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e
odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e
pregate per i vostri persecutori… Se amate quelli che vi amano,
quale merito ne avrete? Non fanno così anche i pubblicani?
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa
fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?» (Mt
5, 43-47).
Tu mi chiederai: è possibile fare politica con il vangelo?
La risposta mi sembra chiara: non solo si può, ma si deve.
Un vescovo del nord Italia, subito dopo l’attentato al World
Trade Center, quando ferveva il dibattito su quale risposta
dare al terrorismo, si è espresso alla tivù in questi termini.
«San Francesco mi sta bene come santo, ma non come
ministro degli esteri». Il papa, però, nel messaggio
per la giornata mondiale della pace (1° gennaio 2002), ci
ha ammoniti: «Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia
senza perdono». Perciò non dobbiamo temere di dire anche
ad un vescovo: «Rifletti, perché alla luce del vangelo ora
stai sbagliando». Qualcuno, a suo tempo, lo fece con il vescovo
Romero, in Salvador, ed è stata una illuminazione,
che ha portato il vescovo alla conversione.
La giustizia? Può essere una di quelle parole «contenitore», prive di significato definito o, meglio, alle quali ciascuno
sembra essere libero di attribuire il contenuto che più
preferisce. Così c’è la giustizia dei carabinieri, che sarebbero
legittimati ad uccidere i «malfattori» in nome della legalità;
c’è quella di George W. Bush in nome della civiltà occidentale
e quella di Bin Laden in nome dell’islam; c’è la giustizia
che Sharon invoca per gli ebrei, quella reclamata dai
palestinesi, quella che Milosevic pretende per i serbi, quella
che le nuove destre estreme europee reclamano in nome
del diritto alla salvaguardia della propria identità culturale…
Tutti rivendicano la legittimità dell’uso della forza in nome
della loro giustizia, ovviamente l’unica degna di questo nome.
Così si perpetua il gioco al massacro.
C’è poi la giustizia del «discorso della montagna», al quale
si ispira il papa: la giustizia dei «poveri in spirito», dei «miti
», dei «misericordiosi», degli «operatori di pace» e… degli
utili idioti pacifisti. Tu dici: «Le beatitudini sono riferite al singolo
individuo». Così esisterebbero un’etica cristiana individuale
e un’etica cristiana sociale, che possono anche essere
antitetiche? Dici ancora: «Tutte le volte che Gesù incontra
dei soldati non dice loro di buttare la spada alle ortiche,
ma di fare con onestà il loro mestiere… anche uccidendo».
Ma questo non è scritto nel vangelo
o negli Atti degli apostoli. Io ho trovato
solo un passo, che potrebbe
prestarsi a qualche equivoco e che
recita: «Chi non ha spada venda il
mantello e ne compri una» (Lc
22,36). Ma non credi che sia lo sfogo
amaro di Colui che si trova davanti
all’ostinato rifiuto del mondo di
accoglierlo? Ha operato il bene, eppure
lo tratteranno come un malfattore.
Allora si acquistino pure delle
spade, così si avrà un motivo in più
per calunniarlo. «Perché vi dico: deve compiersi in me questa
parola della Scrittura: e fu annoverato tra i malfattori»
(Lc 22,37).
Tu dici infine: «Si può essere operatore di pace pur combattendo
(pensa ai santi militari, per i quali la spada non è
stata d’intralcio alla santificazione)». È vero: per esempio,
san Francesco e sant’Ignazio di Loyola sono stati soldati;
però si sono guadagnati la santità non perseverando nella
guerra, ma dopo aver cambiato radicalmente vita, a dimostrazione
che nessun errore è tanto grande da non permettere
una luminosa redenzione, con l’aiuto del Padre, a
patto di non ostinarsi a costruire giustificazioni su giustificazioni,
ma purificandosi in un profondo pentimento.
Invece sembra che, dalla battaglia di Ponte Milvio in poi,
gli uomini si siano dati un gran da fare per elaborare ogni
giustificazione che consentisse loro di professarsi cristiani
pur continuando a fare i propri comodi. Forse il più subdolo
e tragico tiro mancino che la storia ha giocato alla chiesa
è stato, nell’anno 313, l’editto di Milano di Costantino,
quando il cristianesimo è diventato religione di stato (e quindi
strumento di potere) e il convertirsi una faccenda di convenienza
politica.
Ho l’appello contro la guerra di alcuni veterani delle forze
armate degli Stati Uniti. In esso sta scritto: «Se mai i popoli
dovranno essere liberi, deve arrivare un momento in cui
essere un cittadino del mondo ha la precedenza sull’essere
il soldato di una nazione. Quel momento è arrivato».

ANTONINO MUSSO GIANCARLO TELLOLI