IRAQ IL GRANDE IMBROGLIOuna guerra assurda, crudele, illegale
QUALI SENTIMENTI AI TEMPI DELL’IMPERO?
La pietà per i morti. Il dolore per le distruzioni.
La preoccupazione per le macerie
che hanno sepolto il diritto internazionale.
La rabbia per l’ingiustizia
eretta a verità assoluta e incontestabile.
Ma anche la speranza suscitata in molti
da un movimento planetario
che non ha paura di opporsi all’arroganza
dei «liberatori».
«Una guerra che non doveva
aver luogo – ha detto
monsignor Michel Sabbah,
patriarca di Gerusalemme – (1).
Perché niente giustifica che un paese,
qualunque esso sia, invada un altro
paese. Se ogni nazione si permette
di invadee un’altra perché
più debole o perché si dice che è cattiva,
allora è la fine del mondo. Chi
può stabilire i criteri di cattivo o
buono? Questa guerra non doveva
aver luogo e ora deve cessare quanto
prima, perché continuare vuol solo
dire continuare ad ammazzare e a
riempire i cuori di odio».
«Ferite profonde – ha scritto L’Osservatore
romano, il quotidiano della
Santa Sede (2) – segnano il volto
dell’umanità del Terzo millennio.
Sono i segni indelebili del dolore impresso
sui volti innocenti dei bambini
colpiti dalla guerra. Sono le cicatrici
difficilmente rimarginabili
nei cuori dei familiari delle vittime.
Sono i fossati di odio scavati tra i popoli.
(…) In città sventrate dai bombardamenti,
e nelle cui strade si spara
senza pietà, uomini, donne, bambini
cercano disperatamente la fuga,
verso mete ignote e non meno insidiose(…)».
IL PAPA AMICO
DI TERRORISTI E DITTATORI?
I sostenitori di questa guerra (una
minoranza assoluta in ogni paese,
eccetto che negli Stati Uniti) pensavano
di poter aver facilmente il sopravvento
sul movimento pacifista
mondiale (3). Invece, così non è stato.
A spiazzarli ha contribuito in maniera
sostanziale il papa in persona
che, fin dall’inizio della crisi, non ha
mai smesso di gridare contro la follia
della guerra.
«Di fronte a questa testimonianza
cristiana contro la guerra – ha
scritto padre Enzo Bianchi,
priore del monastero di Bose
(4) -, quanti avevano ritenuto
che la chiesa si fosse ormai
rappacificata con il potere
del libero mercato e omologata
all’ideologia
occidentale si sentono frustrati
e delusi (5). Ogni
giorno intervengono sui
mass media o per criticare
il papa (…) o per fornire
distinguo e interpretazioni
riduttive al suo magistero:
il papa non è
pacifista, la papa contrasta
ma non condanna questa guerra
contro l’Iraq, il papa si distanzia dal
pacifismo di vasti settori del mondo
cattolico… Salvo essere puntualmente
smentiti da ulteriori interventi(…)» (6).
DOVE SCOVARE
LA «VERITÀ»?
La verità, com’è noto, è la prima
vittima della guerra. Vengono i brividi
a pensare cosa sarebbe accaduto
se l’informazione fosse stata limitata
ai reportages dei networks televisivi
statunitensi, come la Cnn o la
Fox News (non a caso la televisione
preferita dal segretario alla difesa
Donald Rumsfeld, uno dei superfalchi
dell’amministrazione Bush), o
agli editoriali del Washington Post o
ancora ai resoconti dei giornalisti arruolati
(«embedded») insieme alle
truppe anglostatunitensi. I bombardamenti
sarebbero diventati operazioni
chirurgiche; i morti civili spiacevoli
effetti collaterali; la resistenza
all’invasione terrorismo; gli scud iracheni
armi di distruzione di massa;
gli aiuti umanitari vero scopo della
guerra. Invece, per fortuna il monopolio
informativo statunitense è
stato rotto, soprattutto dalla televisione
panaraba al-Jazeera, invisa ad
ambo i contendenti (buon segno,
questo) e che ha pagato con il sangue
il suo essere sul campo. Non è
stata l’unica.
L’8 aprile un carro armato statunitense
ha ucciso
due reporters dell’agenzia
Reuters, che
stavano lavorando all’Hotel
Palestine, dove
alloggiava la maggior
parte dei giornalisti
non «embedded».
«Siamo indignati – ha
detto Reporters sans
frontiers (la più importante
organizzazione internazionale
per la libertà
di stampa) – dall’atteggiamento
dell’esercito americano,
il cui comportamento
nei confronti dei
giornalisti non ha smesso
di deteriorarsi, soprattutto
nei confronti di quelli non
incorporati».
«In tempo di guerra – ha scrito
padre Giulio Albanese,
direttore della Misna (7) -,
l’informazione rischia di sortire
effetti devastanti sulle coscienze
di tanta gente. (…) Il gergo,
in certi salotti dell’etere, è quello dei
fumetti di guerra, dove muoiono i
cattivi e vincono i buoni».
Certo fa male al cuore e all’intelligenza
vedere come nei salotti televisivi
nostrani si è discusso della guerra,
con le mappe dell’Iraq su cui
muovere le pedine e gli ospiti (generali
in pensione, direttori di giornale,
attori, politici) a disquisire sull’avanzata
degli «alleati».
Salotti dove 500 morti iracheni
non meritavano che un cenno perché
tanto erano soldati del dittatore
(e dunque «cattivi»), mentre alcuni
morti dell’altra parte erano subito
assurti al rango di eroi. Era così pericoloso
l’esercito di
Saddam? Quasi tutte le
vittime anglo-americane
sono state uccise dal
cosiddetto «fuoco amico
» o da incidenti. In
settimane di guerra non
si è alzato in cielo un solo
aereo iracheno, mentre
un esercito di poveri
diavoli con i sandali o
addirittura scalzi ha affrontato
un esercito iper-
tecnologico. Sono
girate foto in cui gli iracheni
fatti prigionieri
apparivano con la testa
in un sacchetto nero
(proprio come i talebani imprigionati
nella base statunitense di Guantanamo)
e un numero segnato sulla
spalla. Morti o prigionieri che fossero,
nessuno di loro ha avuto l’onore
della prima pagina, come la
soldatessa Jessica.
E poi dove saranno finite le fantomatiche
«armi di distruzione di massa
» (chimiche, batteriologiche e
quant’altro) di Saddam? Se c’erano,
come mai non sono state utilizzate?
Forse, a questo punto, la speranza è
che vengano trovate quanto prima
altrimenti i «vincitori» potrebbero
andare a cercarle in altri paesi… (8).
LA GUERRA COME STRUMENTO
DI «LIBERAZIONE»?
È stata una guerra di liberazione
per scacciare il dittatore Saddam e
imporre la democrazia (occidentale)
ai popoli dell’Iraq?
«Che i responsabili – ha scritto
monsignor Shlemon Warduni, vescovo
ausiliare di Baghdad (9) – di
quest’aggressione al popolo iracheno
ascoltino il pianto dei bambini, il
grido delle madri e dei padri sofferenti
e la disperazione delle ragazze
e delle donne, che sentano la sofferenza
di tutti gli iracheni (…), che
cessino di mandare missili e bombe
(…). Noi responsabili delle chiese
cristiane, insieme ai nostri fratelli
musulmani in Iraq (…), ringraziamo
tutti quelli che lavorano per fermare
l’aggressione contro di noi, e specialmente
il santo padre Giovanni
Paolo II. Chiediamo di continuare
la preghiera e l’opera assidua per influenzare
quelli nelle cui mani sta la
decisione della cessazione di quest’aggressione
ingiusta sul nostro
martoriato popolo, causa della morte
di bambini, vecchi, donne, malati,
mentre i nostri giovani al fronte
devono difendere con lealtà la loro
patria».
Ora vedremo come gli anglo-
statunitensi si comporteranno,
come gestiranno la
transizione verso la «democrazia
». Vedremo quale ruolo
assegneranno alle Nazioni Unite,
umiliate come mai nella
loro storia.
Dicono: avete visto come gli
iracheni festeggiavano le nostre
truppe che entravano a Bassora,
Baghdad e nelle altre città? A
parte i legittimi dubbi sull’entità
numerica della folla festante, dopo
12 anni di embargo e settimane
di bombardamenti martellanti,
paura, morte, distruzione, chi
mai non festeggerebbe la fine di un
siffatto incubo? La foto della statua
di Saddam abbattuta ha fatto il giro
del mondo. Il timore è che ci si ricordi
di quella e si dimentichino le
migliaia di morti (quasi tutti iracheni),
le immense distruzioni, il concetto
perverso di «guerra preventiva
», la pericolosità dell’«unilateralismo
statunitense».
Forse vale la pena ricordare quanto
successo in Afghanistan. Quanto
tempo è durata la felicità della gente
per la cacciata dei talebani?
QUALE BOTTINO
PER I «VINCITORI»?
Un vincitore trova sempre ragioni
per esaltare il proprio successo e
per attirare schiere di adulatori. Chi
salirà sul carro dei «vincitori»? Vi
sono già salite da tempo (per essere
precisi, da prima che la guerra cominciasse)
le compagnie statunitensi
che ricostruiranno l’Iraq (10).
«Per dare un’idea di come lavorano
gli americani- ha scritto il settimanale
Famiglia cristiana (11) -: Usaid
(United States agency for inteational
development, agenzia del dipartimento
di stato Usa) ha appaltato i
lavori di ricostruzione del porto iracheno
di Um Qasr molti giorni prima
che le truppe americane potessero
dire di averlo conquistato».
Ma forse anche gli europei avranno
delle briciole, magari in forma di
una diminuzione del prezzo della
benzina. «Il glorioso esercito – ha
scritto con amara ironia un lettore –
di 8 milioni di autovetture guardi
con attenzione mentre il rumeno di
tuo gli riempie il serbatornio: forse
vedrà che la benzina verde avrà una
strana dominante rossa, non dovuta
al ritorno
dell’odiato piombo, ma al colore
del sangue versato da tutti in
questa assurda guerra in cui tutti
stiamo perdendo» (12).
E gli aiuti per l’emergenza? «Il popolo
iracheno ha già sofferto troppo
per dover patire – ha scritto padre
Albanese – l’ennesima umiliazione
di presunti datori che lesinano offerte
come se fossero elemosine per
tenere a bada la coscienza. Chi è sopravvissuto
alle bombe intelligenti
non mendica le briciole di noi ricchi
Epuloni».
Dicono: questa guerra ha eliminato
un dittatore che favoriva il terrorismo
internazionale. A parte che
questa accusa non è mai stata provata,
ci sarà veramente meno terrorismo
con un protettorato statunitense
insediato in un paese islamico
al centro del Medio Oriente e a pochi
passi dalla polveriera israelo-palestinese?
«Tutte le nazioni ricche – ha spiegato
monsignor Sabbah -, se vogliono
veramente combattere il terrorismo,
devono fare un esame di coscienza,
chiedendosi che ruolo
hanno nel far nascere i terroristi.
L’ingiustizia, l’oppressione imposta
ai popoli più poveri, l’iniqua distribuzione
dei beni, tutto questo fa nascere
il terrorismo. E chi ne è responsabile?
Certamente il terrorista,
ma lo è ancora di più chi è causa della
nascita del terrorista».
DURERÀ
LA «PAX AMERICANA»?
«Gli Stati Uniti – ha scritto nel
2000 il professor Chalmers Johnson
dell’Università della Califoia (13)
– dovrebbero cercare di espletare la
loro leadership attraverso la diplomazia
e l’esempio, anziché la forza
militare e i soprusi economici. (…)
Molti leader americani sembrano
convinti che, qualora venisse smantellata
anche una sola base americana
oltreoceano o si permettesse anche
a un solo paese di gestire liberamente
la propria economia, il
mondo crollerebbe all’istante. Meglio
farebbero a ponderare invece
quale potenziale di creatività e di
crescita verrebbe liberato se solo gli
Stati Uniti allentassero il proprio
soffocante abbraccio. Dovrebbero
inoltre capire che i loro sforzi di
preservare l’egemonia imperiale finiscono
inevitabilmente col generare
molteplici forme di ritorno di
fiamma».
L’obiettivo di costruire un mondo
«conforme agli interessi e agli ideali
americani» è in elaborazione da
tempo (14). «La guerra – si legge su
Rocca, rivista della Pro Civitate Christiana
di Assisi (15) – senza legalità,
senza ragione, senza verità e senza onore,
si profila come un nuovo delitto
fondatore dal quale dovrebbe
nascere la nuova identità americana
come Impero e il mondo come epitome
dell’America».
«Una piccola pietra si staccò dalla
montagna e colpì i piedi della statua
e l’Impero si frantumò» (Daniele
2, 34). Ma, anche senza andare a
sfogliare il libro del profeta Daniele,
la storia insegna che gli imperi sono
sempre caduti. Alcuni rovinosamente,
altri meno.
RIPORRE NEL CASSETTO
LE BANDIERE DELLA PACE?
Che fare dunque? «Sarebbe auspicabile
– ha scritto padre Albanese
(16) – che nel gregge dei “bassotti”
della diplomazia qualche spirito
illuminato invocasse un tribunale
per i crimini perpetrati dal feroce regime
di Baghdad, ma anche dai presunti
liberatori che, violando la convenzione
di Ginevra, bombardano
presidi civili e gettano
dal cielo le
micidiali bombe
a grappolo
che solo menti
perverse avrebbero
potuto
concepire.
Questa
guerra, ammettiamolo,
è
una vergogna
per tutti!».
E noi, gente comune? Ritirare le
bandiere della pace dai nostri balconi
e riporle nel cassetto in attesa
della prossima guerra preventiva?
Farsi prendere dallo scoramento
perché, nonostante l’ampiezza straordinaria
del fronte pacifista hanno
vinto George W. Bush e amici?
«Bisogna – ha scritto padre Umberto
Guidotti, missionario a Manaus
(Brasile) – sporcarsi le mani
dietro questa storia che è veramente
sporca. Si tratta cioè di lavorare,
perché se non si lavora non accade
nulla. Passare all’azione, partecipare,
frequentare, militare, sostenere
sindacati, banche etiche, bilanci
di giustizia, obiezione fiscale.
Bisogna lavorare alla costruzione
dell’uomo nuovo: lavorare
al cambiamento del
cuore».
NOTE:
(1) Dichiarazione fatta durante un incontro
con la stampa avvenuto a Torino il 1 aprile.
(2) Sabato 29 marzo 2003.
(3) «Ci sono persone che dicono: il 72 per cento
degli americani appoggia questa guerra.
Quindi chi è contro la guerra è anche contro
gli americani, non solo contro Bush. Risultato:
i pacifisti sono antiamericani. Peccato che
chi cita quel sondaggio si scordi di citae altri
due. Il 51 per cento degli americani è convinto
che dietro l’11 settembre ci sia l’Iraq. E
il 65 per cento degli americani non è capace di
individuare l’Iraq su una carta geografica»
(Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale,
4 aprile).
Sul supporto degli statunitensi alla guerra di
Bush si legga l’impressionante articolo di Vittorio
Zucconi su «il Venerdì» dell’11 aprile.
(4) Su «la Stampa» del 28 marzo.
(5) Si legga ad esempio Angelo Panebianco sul
«Corriere della sera» del 29 marzo: «Per la seconda
volta in un decennio, l’Iraq di Saddam è
stato causa di un equivoco. Oggi, come all’epoca
della guerra del 1991, l’opposizione del
Papa all’intervento americano alimenta la leggenda
di un Vaticano “pacifista” (…)».
«Se i pacifisti – si domanda Curzio Maltese (il
Venerdì, 11 aprile) – sono “oggettivamente dalla
parte di Saddam”, allora chi è contrario alla
pena di morte sarà oggettivamente dalla parte
degli assassini?».
(6) «Si capiscono allora l’uso da parte di Bush
di una propaganda religiosa, dei discorsi sul
Bene e sul Male, i continui appelli a Dio per
giustificare l’assurdo. Il più potente capo politico
della Terra parla come un capo religioso,
come i papi delle crociate, mentre l’ultimo
grande politico rimasto sulla scena mondiale
appare Giovanni Paolo II. Il papa polacco è
l’uomo che ha visto prima e con più lucidità il
crollo dell’impero sovietico, forse è oggi quello
che intravede la caduta dell’impero americano,
i rischi di una guerra permanente, globale,
definitiva» (Curzio Maltese, il Venerdì, 4
aprile).
(7) Nota apparsa sul sito della Misna, l’agenzia
di notizie degli istituti missionari italiani, il
31 marzo.
(8) Non teme, ha chiesto un giornalista durante
una conferenza al centro stampa del commando
anglostatunitense di Doha, che questa
guerra diventi «la prima guerra della storia che
sarà finita prima di aver trovato la propria causa?
» (la Repubblica, 6 aprile).
(9) La dichiarazione, trasmessa da Teleradiopace
di Chiavari, è stata ripresa dalla Misna il
27 marzo.
(10) Ecco qualche nome: Halliburton, Betchel
Group, Fluor, Berger Group.
(11) Fulvio Scaglione su «Famiglia cristiana»
del 30 marzo.
(12) Lettera del signor Marco Masolin su «la
Repubblica» del 6 aprile.
(13) Si veda: Chalmers Johnson, Gli ultimi
giorni dell’impero americano, Garzanti 2001.
(14) A cominciare dal «New american century
project» (si veda: www.newamericancentury.
org) e «Rebuilding America’s Defenses»
per arrivare ai piani di alcuni potenti istituti di
ricerca di Washington (l’American Enterprise
Institute, l’Heritage Foundation, il Center for
Strategic and Inteational Studies) dove lavorano
o hanno lavorato molti uomini vicini all’amministrazione
Bush.
(15) Raniero La Valle su «Rocca» del 1 aprile.
(16) Misna del 7 aprile.
Paolo Moiola