La fame non fa più notizia, neppure quando raggiunge
proporzioni catastrofiche: 13 milioni di
persone sono colpite dalla carestia in sei paesi
dell’Africa Australe (Mozambico, Zimbabwe, Malawi,
Zambia, Lesotho e Swaziland); altri 6 milioni
rischiano di morire di fame in Etiopia, una calamità
più devastante che negli anni ’80 e ’90.
Al di là delle emergenze, 40 mila persone muoiono
ogni giorno per fame o malnutrizione.
Ma non se ne parla: quello della fame è diventato un
problema imbarazzante e scandaloso.
Il «Piano d’azione», varato da 180 paesi al World
Food Summit di Roma nel 1996, si prefiggeva di dimezzare
la popolazione affamata nel mondo entro il
2015. L’ultimo rapporto della Fao, Situazione dell’insicurezza
alimentare nel mondo 2002, ammette
che gli affamati sono diminuiti appena di 2,5 milioni
l’anno, invece dei 24 milioni programmati.
Eppure, a detta degli esperti, la soluzione tecnica
per sfamare tutti esiste, se si volesse. A parole,
tutti lo vogliono; ma le soluzioni pratiche
vengono spesso contestate e rifiutate. E non è l’unica
contraddizione, a cominciare dalle cifre.
I numeri della fame sono molto discussi: secondo il
rapporto della Fao a soffrie sarebbero 840 milioni.
A questi bisogna aggiungere altri 300 milioni di malnutriti.
Per altre organizzazioni le statistiche sarebbero
molto più elevate.
L’assurdo, poi, è che l’85% degli affamati nel mondo
vivono nelle campagne, dove si produce il cibo.
Cause della fame non sono solo siccità e calamità naturali,
ma anche meccanismi perversi: guerre e instabilità
politica, corruzione e inettitudine di governi
locali, Aids e altre epidemie, maneggi di multinazionali
e finanziari, disuguaglianze e ingiustizie
sociali… Base di tutto, però, è la povertà: il cibo c’è,
specialmente nei paesi sviluppati, ma la gente non ha
soldi per comprarlo.
Per salvare dalla fame i sei stati dell’Africa Australe,
il «Programma
alimentare
mondiale» dell’Onu
ha inviato migliaia di
tonnellate di cereali,
metà dei quali proveniente
dagli Stati Uniti,
in gran parte modificati
geneticamente. Inizialmente
vari governi hanno rifiutato l’aiuto: «Meglio
morire di fame che avvelenati» diceva il presidente
dello Zambia. Ma poi hanno accettato il «dono».
Oltre che dal rischio per la salute, tale rifiuto è motivato
da ragioni economiche: se i semi geneticamente
modificati venissero seminati, potrebbero contaminare
altri prodotti agricoli da esportazione, che verrebbero
rifiutati dai mercati europei, dove i cibi transgenici
sono banditi.
Ma le conseguenze più disastrose per le economie agricole
dei paesi in via di sviluppo (pvs) vengono dalle
eccedenze alimentari dei paesi ricchi. Grazie ai forti
sussidi governativi agli agricoltori e allevatori europei
e americani, cereali, latte, zucchero… vengono
immessi nei mercati dei pvs a un prezzo inferiore al
costo di produzione, facendo concorrenza ai produttori
locali. Al contrario, i prodotti agricoli dei psv sono
soggetti alle restrizioni doganali dei paesi ricchi.
E tutto in barba ai dogmi della globalizzazione, concorrenza,
libero mercato…
«Igoverni europei potrebbero mandare, ogni
anno, 21 milioni di mucche da latte in un
viaggio attorno al mondo, con scali nelle più
grandi città» sottolinea un volantino della Cafod,
Ong cattolica inglese, promotrice della campagna
Flying cows (vacche volanti) per invocare regole commerciali
uguali per tutti. Una mucca europea, infatti,
riceve in media un sussidio di 2,20 euro al giorno:
cifra che costituisce il reddito medio di metà della
popolazione mondiale, quasi 3 miliardi di persone.
La somma che l’Africa perde a causa delle regole
commerciali ingiuste è maggiore di quella richiesta
per cancellare il suo debito estero.
«Causa della fame è la povertà – afferma Civiltà Cattolica,
nov. 2002, n. 3658 -. L’unica soluzione sembra
essere quella di mettere gli affamati in condizione
di produrre il cibo per sopravvivere… I paesi ricchi,
più che trasferire o “donare” le proprie eccedenze,
con effetti disastrosi per l’agricoltura dei paesi poveri,
dovrebbero piuttosto smantellare i sussidi alla propria
agricoltura e favorire
il buon governo dei paesi
poveri, in modo da aiutarli
a combattere la povertà».
Non bastano le scelte economiche;
bisogna fare
scelte etiche.
BENEDETTO BELLESI